VILLANO
– Si ignorano luogo e data di nascita. Che fosse originario di Pistoia, lo afferma solo un frammento di cronaca pisana pubblicato da Ferdinando Ughelli; sarebbe in tal caso identificabile con l’omonimo arcidiacono della cattedrale pistoiese attestato fra il 30 ottobre 1140 e il 9 settembre 1142. Il cognome Villani, mai attestato nelle fonti, deve ritenersi un’invenzione degli eruditi moderni.
Le notizie certe iniziano con la nomina a cardinale prete di S. Stefano al Celio, effettuata da papa Lucio II il 23 dicembre 1144. Il suo cardinalato fu peraltro assai breve, perché fra il 15 e il 29 maggio 1146 Eugenio III lo nominò arcivescovo di Pisa, la cui sede era vacante dal 25 maggio 1145, data di morte di Baldovino (anch’egli in precedenza cardinale, come pure il predecessore Uberto, 1133-37; entrambi pisani).
Villano fu per prima cosa inviato dal papa in Sardegna: la legazia apostolica per l’isola era, da qualche tempo, una delle prerogative degli arcivescovi pisani, dal 1138 anche primati di una delle tre province ecclesiastiche sarde, quella di Torres.
Anno e periodo della missione si evincono dal fatto che in un atto di donazione (in sé privo di data) in favore del monastero di S. Maria di Bonarcado, dettato dal giudice di Arborea Barisone alla presenza degli altri tre giudici di Cagliari, Logudoro e Gallura, Villano è menzionato come arcivescovo di Pisa e «cardinale di Roma» (Il Condaghe di S. Maria di Bonarcado, a cura di M. Virdis, 2003, p. 192).
A Pisa egli è attestato per la prima volta il 5 febbraio 1147, ma già il 26 settembre precedente era avvenuta una stipula che, pur non menzionando esplicitamente il nome del presule, annunciava la politica di recupero e accrescimento dei beni temporali dell’arcivescovato pisano, che egli avrebbe perseguito instancabilmente per oltre un decennio: in quel primo caso, il marchese di Massa-Corsica Alberto di Brattaporrata si impegnò a rinunciare alla terza parte del castello e curtis di Livorno, da lui detenuta in feudo da circa venti anni, con facoltà di continuare a incassarne i proventi per un biennio.
Alberto aveva appena sposato una vedova pisana, Calcesana; fra il 1147 e il 1150 Villano riuscì a ottenere da costei, a nome delle due figlie di primo letto, e poi dallo stesso marchese la rinuncia, questa volta dietro corresponsione di forti somme, a tutti i diritti detenuti sull’importante castello costiero di Piombino.
Negli stessi anni, attraverso atti di acquisto veri e propri, l’arcivescovato pisano entrò in possesso fra l’altro di due quote di proprietà del castello di Lari (nelle colline pisane ma in diocesi di Lucca, con la quale Pisa era in guerra dal 1143). Nel 1150 Villano dovette inoltre difendere il castello di Montevaso (non lontano dall’attuale Casciana Terme) dagli assalti del vescovo di Volterra; il 15 ottobre, a Siena, egli ottenne una sentenza favorevole da Guido, cardinale prete del titolo del Pastore, che Eugenio III aveva incaricato di occuparsi della questione.
In quegli anni la posizione di Villano in città era forte. Attorno al 1150 egli provvide a dividere la ‘Selva del Tombolo’ fra il monastero vescovile di S. Rossore (fondato alla fine dell’XI secolo) e i canonici della cattedrale di S. Maria; essi sostenevano di aver ricevuto dall’imperatore Enrico IV tale bene fiscale, del quale il monastero era stato dotato.
Il 30 agosto 1152 Villano acquistò dall’abate di S. Maria di Morrona tutti i diritti di proprietà che ancora spettavano al cenobio (fondato a suo tempo dai conti Cadolingi) sul castello di Montevaso. Due interessanti documenti del 1° dicembre 1152 danno un’idea (certamente parziale) di come l’arcivescovo si procurasse i mezzi finanziari necessari alla sua politica di accrescimento patrimoniale e strategico-militare.
Si trattava di una vendita simulata di un terreno ad alcuni dei fideles che lo assistevano abitualmente nei suoi atti d’acquisto; quel bene fungeva solo da pegno fondiario, a fronte dell’anticipo di forti somme di denaro, la cui restituzione sarebbe stata assicurata dai proventi del ‘ripatico’ sulla città e il territorio circostante (donato dai marchesi di Tuscia dopo la morte di Matilde, e confermato dal re Corrado nel 1139).
Due eventi del 1153 mutarono in senso sfavorevole il contesto in cui Villano aveva sino ad allora operato felicemente: la morte (8 luglio) di Eugenio III, suo estimatore e protettore, e l’esautoramento del ‘visconte maggiore’ Alberto e degli altri vicecomites cittadini da parte dei consoli del Comune di Pisa, che ne incamerarono funzioni e prerogative pubbliche. Era il primo importante segnale di un processo di irrobustimento che in pochi anni avrebbe fatto del Comune un’istituzione in grado di operare autonomamente e occupare gli spazi di potere che gli erano ancora estranei.
Per il momento, comunque, la posizione di Villano si mantenne forte, anche perché egli poteva guardare all’imminente arrivo in Italia del nuovo re dei Romani, Federico I Barbarossa, con meno apprensioni dei consoli. Nel novembre del 1154, con il re già in Lombardia, Villano promosse il potenziamento dell’ospedale del ‘Ponte dell’Ogione’, posto nell’immediato retroterra del Porto Pisano (poco a nord dell’attuale Livorno), spostandolo nella zona detta Stagno, presso la chiesa di S. Leonardo.
Si trattò di un’iniziativa di carattere religioso e assistenziale (volta a ospitare chi arrivava dal mare e a facilitare la percorribilità di quell’area umida), diversa da quelle sulle quali si era concentrato sino a quel momento, ma destinata a produrre importanti risultati politici per l’arcivescovato, visto il successo del nuovo ospedale.
Densi di eventi politici furono anche gli anni 1155-57. Nella tarda primavera del 1155, in coincidenza con il passaggio per la Toscana di Federico I, diretto a Roma, Villano cercò di risolvere l’ampio contenzioso territoriale e commerciale aperto fra Pisa e Lucca, forse in base a un incarico attribuitogli di comune accordo dalle due città; ma la pace non fu conclusa. Nel 1156 presentò contro i consoli del castello di Vicopisano una reclamatio, rivendicando in base al diploma corradiano del 1139 il potere giudiziario (ius placiti) in quel luogo; e il 31 dicembre i «pubblici giudici eletti dai consoli e dal popolo per definire le cause pubbliche e private» accolsero l’istanza, a prova del cambiamento di clima politico (Carte dell’Archivio Arcivescovile..., a cura di S.P.P. Scalfati, 2006, III, p. 32). A ogni buon conto Villano chiese e ottenne (10 febbraio 1157, da Ulm), da parte di Guelfo VI di Baviera (che già da qualche anno il Barbarossa aveva nominato duca di Spoleto, marchese di Tuscia e principe di Sardegna) il rinnovo del diploma di Corrado III.
Il 31 maggio 1157 Villano, recatosi dal papa, ottenne la riemissione del privilegio apostolico che riconosceva le sue prerogative di metropolita, legato e primate, rassicurando nel contempo Adriano IV circa la saldezza dei legami che univano alla sede apostolica non solo la Chiesa, ma anche la civitas di Pisa (visto che anche l’Impero, come prova il titolo portato da Guelfo, si interessava della Sardegna). Subito dopo o più probabilmente nella primavera del 1158 Villano si recò di nuovo in Sardegna come legato; promise al giudice Barisone d’Arborea (che ne scrive in una lettera a Raimondo Berengario IV d’Aragona) solidarietà e aiuto fattivo in una questione riguardante Maiorca. Il 19 febbraio 1158 concluse inoltre un accordo con l’abate del monastero di S. Maria di Serena (in diocesi di Volterra, sottoposto al patronato dei conti della Gherardesca, il più autorevole esponente dei quali – Gherardo VI – era in contatto con lui sin dal 1155): in cambio del diritto di avere una casa a Pisa e una entro il castello di Piombino, Villano ottenne metà dei beni posti lungo il litorale tirrenico fra il Cecina e l’Ombrone. Un’ulteriore prova dell’intesa fra l’arcivescovo e il Comune si ebbe il 22 dicembre 1159: Villano ottenne dai publici pisani iudices la conferma della proprietà della palude di Vecchiano, antico bene fiscale che Enrico IV aveva concesso ai propri fautori pisani, antenati di coloro che ora, secondo il presule, lo detenevano illegalmente.
All’inizio dello scisma papale (settembre 1159) Villano riconobbe immediatamente Alessandro III. Dopo che l’assemblea di Pavia, convocata nel febbraio del 1160 da Federico I, ebbe riconosciuto come papa legittimo Vittore IV (in assenza peraltro di tutti i vescovi toscani), l’arcivescovo pisano prese parte, il 20 marzo 1160, al parlamentum di tutte le città e le famiglie comitali della Marca di Tuscia, convocato dal duca marchese e principe Guelfo VI a San Genesio (nel Valdarno inferiore, sotto l’attuale San Miniato). Come narra il cronista pisano Bernardo Maragone, Guelfo «trattò l’arcivescovo Villano con onori superiori a quelli di tutti i vescovi e i laici d’Italia, e si affidò al suo consiglio» (Annales pisani, a cura di M. Lupo Gentile, 1936, p. 19); è probabile che i due discutessero su una possibile soluzione dello scisma papale diversa da quella stabilita a Pavia. Il 26 marzo, sabato santo, Pisa e il suo arcivescovo accolsero trionfalmente Guelfo VI.
Nei mesi successivi Villano riassunse in pieno il ruolo di prima autorità cittadina, per esempio ricevendo, in estate, l’omaggio feudale e il giuramento di fedeltà da parte del conte Ildebrandino Novello Aldobrandeschi. Nel 1161, però, il Comune cominciò a ricercare rapporti più stretti con l’imperatore, e la divaricazione con l’arcivescovo divenne evidente.
Il 6 novembre 1161 Villano incontrò a Casole d’Elsa i vescovi di Firenze (Giulio) e di Volterra (Galgano), e di lì a poco, armata una galea, raggiunse Alessandro III a Terracina, dove i due festeggiarono insieme il Natale. All’inizio di gennaio il papa si imbarcò con Villano e, dopo una sosta a Piombino (dove «l’arcivescovo tributò grandi onori al signor papa», ibid., p. 24), la nave proseguì verso Livorno e il Porto Pisano, dove i consoli pisani, «per amore e insieme per paura dell’imperatore Federico, decisero di non accogliere Alessandro» (ibid.). L’imbarcazione riprese allora il viaggio lungo la costa, fino ad arrivare a Genova (dove Alessandro III, il 26 gennaio, rinnovò a Villano il privilegio già emanato da Eugenio III e Adriano IV). Fra marzo e aprile l’arcivescovo scortò il pontefice fino a Montpellier, e rimase al suo fianco almeno per tutto il resto dell’anno.
Durante la lunga assenza del presule, il Comune pisano ottenne da Federico I il grande diploma del 4 aprile 1162, che gli attribuì a titolo di feudo la totalità del potere pubblico sulla città e sul relativo districtus. Tale riconoscimento fece sì che, nel maggio del 1162, il conte Ildebrandino tornasse a Pisa e, questa volta, giurasse fedeltà direttamente a «tutto il popolo pisano», promettendo l’obbedienza di «tutte le città, i castelli e i villaggi della sua contea» (ibid., p. 25).
A quel punto, Villano ritenne opportuno ribadire le prerogative ecclesiastiche a lui assegnate e confermate dalla sede apostolica; per la terza volta si recò in Sardegna, ove confermò «con l’autorità papale e sua propria» l’accordo relativo al monastero di S. Saturnino raggiunto fra l’arcivescovo di Cagliari e l’abate di S. Vittore di Marsiglia. Scrivendone a quest’ultimo (19 marzo 1163), Villano si presentò senz’altro come «primate di Sardegna» (Cartulaire de l’abbaye de St. Victor..., a cura di B. Guérard, 1857, p. 468), o a seguito di un’autorizzazione verbale del papa o di propria iniziativa, visto che tutti i privilegi papali (compreso il più recente) gli assegnavano solo la primazia sulla provincia ecclesiastica di Torres.
Alcuni mesi dopo Villano ricomparve a Pisa: forse privo di liquidità per la lunga assenza, l’8 novembre 1163 contrasse un prestito di 50 lire (su pegno fondiario) da Bulgarino del fu Guido dei Casalberti, un giurisperito che fin dal 1160 aveva agito come suo specialis procurator. Ma nel corso del 1164 dovette assistere – e resistere – alle crescenti pressioni imperiali perché Pisa riconoscesse in modo inequivocabile Vittore IV.
L’11 aprile 1164, sabato santo, Villano rifiutò di usare per il battesimo solenne (da celebrare in duomo) il crisma consacrato da Vittore IV (che si trovava a Lucca, in cattive condizioni di salute; morì il 20 aprile), come avrebbe preteso Rinaldo di Dassel, arcivescovo di Colonia e cancelliere imperiale. Così racconta Maragone, che conclude «e così quell’anno, il battesimo pasquale non fu celebrato» (Annales pisani, cit., p. 31). Quel che Rinaldo non aveva fatto (condurre a Pisa il papa ‘imperiale’) lo fece il 30 novembre Cristiano di Magonza: i pisani, dice Maragone, «ospitarono onorevolmente» Pasquale III, il successore di Vittore IV, che si spostò poi a Viterbo. Ciò provocò il nuovo e definitivo distacco di Villano, il quale, «poiché non voleva obbedirgli, si ritirò sull’isola di Gorgona» (p. 34). Alla secessio del presule corrispose un provvedimento di expulsio da parte dei consoli: una condanna, peraltro, ancor soltanto ‘politica’, visto che a Pisa continuò a operare il «visdomino» arcivescovile (il canonico Conte), i cui atti superstiti del 1165-66 evidenziano l’impellente necessità di procurare denaro liquido.
Da allora in poi, Villano non rientrò più in sede. La scelta della Gorgona fu dovuta alla presenza sull’isolotto del monastero benedettino di S. Gorgonio, il cui abate Guido era un suo convinto sostenitore; non però senza un qualche corrispettivo, visto che il 28 marzo 1165, a Livorno, l’arcivescovo gli assegnò spicciativamente, «per l’utilità del suo monastero», un terreno di proprietà della locale chiesa di S. Maria (Carte dell’Archivio della Certosa di Calci..., a cura di M.L. Orlandi, 2002, p. 68). L’arcivescovo assistette dunque da lontano al travaglio della Chiesa pisana, che rimase per ben due anni e mezzo in una situazione di incertezza.
La maggioranza del clero e dei fedeli continuò a opporre resistenza nei confronti di una scelta definitiva in favore di Pasquale III; costui non mancò però di sostenitori convinti, come il canonico Benincasa che non esitò nel 1165 a ‘riscrivere’ la Vita di Ranieri (morto in fama di santità il 17 giugno 1160), descrivendolo come un potente esorcista, unico in grado di difendere la città dall’assalto dei demoni. All’inizio del 1167, con il profilarsi della spedizione imperiale contro Roma e il Regno di Sicilia, Pisa dovette compiere il passo fin qui rimandato. Come leggiamo, di nuovo, in Maragone, a marzo Rinaldo di Dassel impose ai consoli di «riconoscere papa Pasquale come legittimo, e quindi obbedirgli; di far giurare ciò da tutto il clero pisano, e non riconoscere più l’arcivescovo Villano (a meno che anch’egli non volesse obbedire al papa Pasquale)» ( Annales pisani, cit., p. 41), eleggendo un nuovo arcivescovo entro pochi giorni.
Villano, raggiunto e interpellato, rifiutò di accettare, e il 25 marzo i consoli pisani, «obbedendo agli ordini dell’imperatore e del papa Pasquale, elessero solennemente arcivescovo Benincasa, canonico della cattedrale» (ibid.). Si perdono poi le tracce di Villano per un anno, sino all’estate del 1168 quando, secondo gli Annales ianuenses, si recò a Genova (con il fido abate di S. Gorgonio), per cercare di promuovere trattative di pace fra la città ligure, la sua alleata Lucca e Pisa. Si trattò verosimilmente di una velleitaria iniziativa personale, volta a creare le condizioni di un ritorno in sede; non è infatti credibile che (come narrano gli Annales ianuenses) Villano da Genova fosse rientrato a Pisa e di lì avesse raggiunto Portovenere, la sede dei negoziati.
Benincasa continuò a governare la Chiesa pisana sino almeno alla primavera del 1170. Di lì a poco il Comune di Pisa cercò di riprendere i contatti con Villano, del quale tuttavia non si sa nulla fino al 7 marzo 1171, quando a Calci, vicino a Pisa, premiò con la concessione di un terreno due laici pisani legati al monastero di S. Vito (filiale cittadina di S. Gorgonio), che dovevano averlo aiutato nel periodo precedente. Villano restò a Calci ancora per qualche mese, spostandosi poi presso l’ospedale di S. Leonardo di Stagno. Di fatto, fra il 1171 e il 1175 si ebbe una situazione analoga a quella del periodo 1164-67: pur essendo di nuovo riconosciuto come legittimo arcivescovo di Pisa, Villano non tornò più entro le mura cittadine (dove riprese a operare il suo «visdomino»), né ebbe contatti ufficiali con il Comune (che, peraltro, si mostrava disposto a restituire i beni dell’arcivescovato dati in pegno nel 1165 per ottenere finanziamenti immediati in un momento delicato della guerra contro Genova). Al più, Villano si spinse fino alla chiesa-santuario di S. Piero a Grado (posta circa a metà strada fra Pisa e Stagno), dove il 23 ottobre 1174 si trovò insieme a un gruppetto di canonici della cattedrale.
Non è da escludere che proprio a lui, rimasto sempre fedele ad Alessandro III, si dovesse l’idea (realizzata poi dal suo successore Ubaldo) di rilanciare a Pisa il culto petrino, in contrapposizione al culto recente per «san» Ranieri, che l’(anti)arcivescovo Benincasa aveva promosso in modo quasi parossistico.
Dal 1173, nei numerosi atti relativi all’ospedale di Stagno, Villano riprese a intitolarsi correntemente non solo arcivescovo, ma anche «legato della Santa Romana Chiesa e primate di Sardegna», e in effetti cercò di legare all’ospedale dignitari sardi come l’arcivescovo di Torres. L’ultimo suo atto sicuramente datato è del 13 gennaio 1175, e ce lo mostra impegnato a ‘regolarizzare’ la cessione accordata sbrigativamente dieci anni prima all’abate di S. Gorgonio, trasformandola in una normale concessione a livello, sia pure con censo «da esibire e non da consegnare» (Carte dell’Archivio della Certosa di Calci..., cit., p. 130).
Morì il 4 ottobre successivo, forse a Stagno, e non sappiamo se fosse sepolto a Pisa.
A succedergli, sembra per regolare elezione capitolare, fu chiamato Ubaldo, che da qualche anno era canonico della cattedrale. L’11 aprile 1176 costui ottenne da Alessandro III quel che Villano aveva atteso invano per anni, ossia l’estensione della primazia degli arcivescovi pisani alle altre due province ecclesiastiche sarde di Arborea e Cagliari.
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