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Il prelievo dei villi coriali
Già nella prima settimana dalla fecondazione la mucosa (endometrio) dell’utero si ispessisce, presenta molte più ghiandole e vasi e viene denominata decidua. La comparsa di vasi sanguigni nel corion, una delle membrane extraembrionali, è il primo passo nella formazione della placenta: durante la 3ª settimana di gestazione, allo stadio di blastocisti, si formano i villi coriali, estroflessioni ramificate che sporgono dal corion ed entrano in contatto con i tessuti materni; essi continuano a ingrandirsi e ramificarsi, formando una rete intricata nella parete uterina, dove i vasi sanguigni continuano a essere erosi. Nei villi coriali si sviluppano vene e arterie che si incanalano presto nel cordone ombelicale, un tubo cilindrico che prende origine dalla superficie ventrale dell’embrione, collegandolo alla faccia interna, fetale, della placenta, dove i villi vascolarizzati sono bagnati dal sangue materno.
Il prelievo dei villi coriali (chiamato anche CVS, dall’ingl. Chorionic Villous Sampling) è una delle due più comuni procedure di diagnosi prenatale invasiva (insieme all’amniocentesi), per lo screening di malattie fetali. Il prelievo dei villi coriali ha un’origine molto antica: lo si fa risalire ai cinesi, che per primi lo usarono per determinare il sesso del nascituro. Il prelievo si praticava per via transcervicale prima della scoperta dell’ecografia ostetrica. Le indicazioni oggi più comuni al prelievo dei villi coriali sono legate in partic. allo screening per la sindrome di Down, che può essere diagnosticata tramite risultati anormali della translucenza nucale o test del primo trimestre (➔ aneuploidia). Altre indicazioni al prelievo dei villi coriali sono le malattie genetiche familiari, le anomalie ecografiche, ecc. L’età avanzata materna, superiore ai 34 anni, non è più un’indicazione assoluta per effettuare questo test diagnostico, data la presenza dei già citati test di screening che hanno un’alta sensitività per le aneuploidie più comuni.
L’età gestazionale a cui viene eseguito il prelievo dei villi coriali è di solito tra le 10 e le 12 settimane. La tecnica non deve essere mai eseguita prima delle 10 settimane, perché associata a maggiore rischio di lesioni fetali caratterizzate soprattutto da difetti trasversi degli arti, in partic. alle dita delle mani. Il prelievo dei villi coriali si effettua raramente anche dopo le 12 settimane, nei casi in cui non si possa fare l’amniocentesi o si sospetti un cariotipo anomalo nella placenta. In quest’ultimo caso viene chiamata spesso biopsia placentare. Va ricordato che l’amniocentesi non va mai effettuata prima delle 15 settimane, e che quindi dalla 10a alle 14a settimana e 6 giorni il prelievo dei villi coriali rimane il solo test diagnostico disponibile per confermare possibili aneuploidie o escluderne la presenza.
Il prelievo dei villi coriali si può effettuare sia per via transaddominale sia per via transcervicale. La tecnica della via transaddominale è simile a quella dell’amniocentesi, ma è più dolorosa per la paziente. Di solito si effettua con un ago di ca. 1 mm di diametro, sotto continua guida ecografica. La via transcervicale si effettua via speculum con l’uso di piccoli forcipi o di una cannula.
L’incidenza di perdite di gravidanze, o aborti spontanei, è molto bassa, collocandosi al di sotto dell’1%. Questa percentuale è simile a quella dell’amniocentesi in centri specializzati. L’incidenza di complicanze è legata all’esperienza dell’operatore, e i dati dimostrano che tende a diminuire dopo almeno 400 procedure. L’esperienza dell’operatore è rilevante, in particolar modo, per la via transcervicale: ciò significa che se un operatore si specializza in una certa modalità, con particolari strumenti, è consigliabile che continui a operare in modo simile se raggiunge bassissimi livelli di complicanze, così come è preferibile che il lavoro in équipe avvenga sempre con lo stesso ecografista.
Il cariotipo dei villi coriali rappresenta in più del 99% dei casi il cariotipo del feto. Di solito i villi vengono divisi in due campioni, uno per un test diretto, e un altro per il test dopo coltura. Il risultato finale è quello legato alla coltura, e quindi solitamente bisogna aspettare ca. 7÷10 giorni per averlo. In rari casi, meno dell’1%, ci può essere contaminazione del campione con cellule della decidua materna. In altri rari casi si riscontra la presenza di mosaicismo, cioè di due diversi cariotipi nelle varie cellule in cui il DNA è stato testato. In queste circostanze, si raccomanda alla paziente di sottoporsi ad amniocentesi. Nell’amniocentesi, infatti, a essere testate sono soprattutto le cellule della pelle e dell’apparato respiratorio e urologico del feto. Nel caso che l’amniocentesi riveli un cariotipo normale, si parla di mosaicismo limitato alla placenta, o di CPM (dall’ingl. Confined Placental Mosaicism). In casi di CPM, il feto è a rischio, soprattutto di ritardo di crescita. I dettagli della prognosi di un feto affetto da aneuploidia totale o con mosaicismo sono legati ovviamente al particolare difetto del cariotipo.
Vincenzo Berghella
Maria Bisulli