GALILEI, Vincenzio
Nato a Padova il 21 ag. 1606, dopo Virginia e Livia, dalla relazione di Galileo con la veneziana Marina Gamba, fu l'unico figlio maschio dello scienziato, il quale gli impose il nome del proprio padre.
Fu allevato dalla madre e rimase con lei anche quando questa sposò Giovanni Bartoluzzi; degli studi compiuti in questi anni sappiamo soltanto che mostrò ben presto una particolare predisposizione per la musica, e una singolare inclinazione per la meccanica e il disegno. Nel 1612 tornò sotto la tutela di Galileo che finì per legittimarlo nel 1619, più per garantirgli i diritti d'eredità nei confronti dei parenti che per coerenza alla morale religiosa. Nel 1621 fu mandato a Pisa e affidato alle cure di padre Benedetto Castelli con il quale instaurò un rapporto conflittuale a causa delle intemperanze del giovane. Risale al 1625 l'immatricolazione presso l'Università di Pisa dove conseguì la laurea in giurisprudenza il 15 giugno 1628; un anno prima il padre era riuscito a ottenere per lui da Urbano VIII, grazie all'intervento di padre Castelli, una pensione ecclesiastica di cui avrebbe potuto beneficiare a patto di prendere la prima tonsura ma, piuttosto che sottostare a questa condizione, preferì perdere il privilegio pontificio e sposare, agli inizi del 1629, Sestilia di Carlo Bocchineri da Prato da cui ebbe tre figli, Galileo, Carlo e Cosimo.
Gli anni successivi furono segnati da gravi dissidi, per ragioni d'interesse, con il padre alle cui vicende processuali sembra che il G. partecipasse con assoluto distacco, anche se proprio Galileo gli aveva fatto ottenere nel 1631 la cancelleria di Poppi. Ma ben presto il G. si rivelò inadatto a ricoprire tale carica mostrando maggiore interesse per la letteratura e gli esperimenti di meccanica, tant'è che gli interventi paterni non riuscirono a evitargli il trasferimento alla cancelleria di Montevarchi dove rimase fino al giugno 1635 quando passò, con le stesse mansioni, all'arte dei mercanti e della zecca di Firenze, incarico che mantenne per il resto della vita.
Risale a quell'anno la collaborazione agli esperimenti e alle ricerche di Galileo, ormai cieco, con il quale si era riconciliato per intercessione della sorella, suor Maria Celeste; un aiuto che si realizzò nella messa a punto di alcune teorie galileiane e soprattutto nella costruzione del pendolo applicato all'orologio. Sopravvisse al padre solo sette anni in cui, malato e vessato dalle ristrettezze economiche, intraprese un'azione legale per ottenere l'eredità che gli era contestata a causa della sua condizione di illegittimo riconosciuto.
Il G. morì a Firenze il 16 maggio 1649.
Della produzione scientifico-letteraria del G., oltre alla realizzazione materiale del pendolo progettato dal padre e di un liuto di sua invenzione, ci rimangono dei versi d'argomento vario ma soprattutto amoroso, raccolti in un volume che dalla casa paterna fu poi trasferito alla Biblioteca Riccardiana di Firenze dove ora è conservato, autografo, come cod. 2749. Sono 28 componimenti, 9 in ottave, 5 sonetti, 3 in quartine, uno in terzine, 9 canzoni, uno in distici, per un totale di circa 3500 versi, probabilmente scritti in tempi ed occasioni diversi e poi riuniti senza un preciso criterio, in cui il poeta, non allontanandosi dagli schemi convenzionali della lirica petrarchista, si strugge d'amore per l'amata Lucilla (pseudonimo) che prima lo ricambia e poi lo respinge.
In un luogo delle ottave, il poeta, con un evidente riferimento a T. Tasso, veste i panni di Aminta riuscendo a ottenere i favori di Lucilla; altrove, richiamandosi a Luciano e Dante, Amore punisce il marito di una ninfa, reo di averla percossa, tramutandolo in gufo. In realtà l'aderenza alle forme convenzionali, la ripetizione un po' meccanica di certi schemi consolidati dalla tradizione e la ripresa incondizionata dei motivi cari alla lirica contemporanea, ci portano a pensare che il G. non nutrisse delle vere e proprie velleità letterarie e che lo pseudonimo Lucilla probabilmente non alludesse ad alcun personaggio reale. Un altro codice, autografo come il Riccardiano, è il cod. It., IX, 138 (= 6749) della Biblioteca nazionale Marciana di Venezia; è proprio l'autore a svelare che sotto il nome di Licinio Fulgenzio Nej si cela quello di Vincenzo Galilei fiorentino. Datato al 1648, con il titolo di L'oracolo di Merlino profeta, il volume riporta ottantaquattro profezie suddivise in tre gruppi, rispettivamente destinati agli uomini, alle donne e a entrambi. Grazie a un sistema ingegnoso ispirato al gioco dei dadi, ognuno poteva riconoscere la propria tra le profezie, forse un omaggio alle contemporanee Centurie di Nostradamus; in realtà motti arguti e faceti che, formulati secondo un gusto tipicamente barocco sotto forma di massime, nonostante la forma sentenziosa, mostrano una natura ludica e rivelano apertamente di essere finalizzati all'intrattenimento.
Fonti e Bibl.: V. Viviani, Aggiunte al V libro degli elementi d'Euclide, Firenze 1674, pp. 101 s.; J. Morelli, I codici manoscritti volgari della Libreria Naniana, Venezia 1776, p. 142; N. Vaccalluzzo, Le rime inedite di V. G., in Galileo letterato e poeta, Catania 1896, pp. 139-148; D. Ciampoli, Nuovi studi letterari e bibliografici, Rocca San Casciano 1900, pp. 171-216; A. Favaro, Amici e corrispondenti di Galileo Galilei, XII, V. G., in Atti del R. Istituto veneto di scienze, lettere e arti, LXIV (1904-05), pt. 2, pp. 1349-1377.