MARTINELLI, Vincenzio (Vincenzo)
Nacque a Montecatini il 1° maggio 1702. Il padre, Matteo di Vincenzio di Matteo, esercitava la professione legale e, per diversi anni – almeno fino al 1720 – svolse, insieme con il fratello Antonio, un ruolo importante nell’amministrazione locale. In seguito, a causa della loro conduzione poco accorta degli interessi della Comunità, il loro nome scomparve dai registri degli aspiranti alle cariche pubbliche.
Seguendo le direttive paterne, il M. compì gli studi superiori all’Università di Pisa e, nel dicembre 1723, conseguì il titolo di dottore in utroque iure.
Negli anni trascorsi a Pisa e in quelli immediatamente successivi, il M. partecipò alla temperie in cui si formarono Bernardo Tanucci e buona parte di coloro che, alcuni decenni dopo, sarebbero diventati i protagonisti più attivi della vita culturale e politica toscana: conobbe e frequentò A. Niccolini, P. Neri, G. Lami, A. Cocchi, G.M. Buondelmonti, L.A. Guadagni e G.M. Lampredi. Durante un soggiorno a Venezia, dopo la laurea, il M. compose e pubblicò una commedia, il Filizzio medico (Venezia 1729), poi da lui stesso giudicata di scarso valore.
La commedia, dove il nome del M. si ricava dalla dedica, è offerta al marchese Neri Maria Corsini, segretario a Roma dello zio, il cardinale Lorenzo Corsini, futuro papa Clemente XII e fratello di Bartolomeo Corsini, che il M. indicò successivamente nella Istoria della famiglia Medici come suo protettore negli anni di studio pisani. Generoso con letterati, storici ed eruditi, Bartolomeo Corsini espresse anche attraverso il suo mecenatismo un radicato legame con la dinastia medicea, comune ai sentimenti di molti suoi protetti, incluso il Martinelli. Più tardi, nel 1739, ebbe un ruolo influente nelle misure prese da Francesco Stefano di Lorena contro la massoneria, dopo la bolla In eminenti apostolatus specula di Clemente XII (28 apr. 1738). I provvedimenti, che portarono il 9 maggio 1739 all’arresto di Tommaso Crudeli e poi al processo del S. Uffizio contro di lui, furono accolti con grande sconcerto da parte di molti letterati fiorentini, fra i quali il Martinelli. Il legame fra il M. e i Corsini, con l’intermediazione di Tanucci, restò, comunque, saldo nel tempo.
Dopo la parentesi veneziana, il M. si era stabilito a Firenze, dove aveva incontrato nuovamente alcuni compagni di studio degli anni pisani, con i quali condivise quel momento di speranze e di aspettative legato al risorgere delle scienze e delle arti che il governo del cagionevole e sconsiderato Gian Gastone de’ Medici sembrava, in un certo senso, favorire.
In quel periodo Firenze era una città internazionale, dove vivevano tanti stranieri, soprattutto britannici, alcuni dei quali impegnati nei traffici del porto di Livorno e altri come architetti, archeologi, studiosi e osservatori politici. Fu allora che il M., grazie anche alla frequentazione di inglesi molto influenti, si avvicinò alla massoneria.
Concluso il periodo fiorentino, durante il quale esercitò probabilmente anche la professione legale, nel 1738 il M. si trasferì a Napoli dove, con l’aiuto di Tanucci, sollecitato dagli amici fiorentini, trovò un impiego presso la corte borbonica. Qui il M. compose la sua prima opera, la Istoria critica della vita civile, pubblicata successivamente a Londra nel 1752.
Il volume (ripubblicato nel 1754 a Bologna, all’insaputa del M., a Napoli nel 1764 e a Madrid nel 1782) fu dato alle stampe con l’aiuto di centoquattordici sottoscrittori, il cui elenco compare all’inizio del libro, tra i quali spiccano i nomi più importanti dell’aristocrazia inglese insieme con un nutrito gruppo di italiani che facevano parte dell’ambiente diplomatico e di quello artistico gravitante attorno all’Italian Theatre. Il lavoro si ispira, per buona parte, sia per l’impostazione sia per gli argomenti trattati, al saggio Della pubblica felicità di Lodovico Antonio Muratori. Pur se con alcune differenze sostanziali, il M. condivideva con il Muratori l’importanza dell’educazione ai fini di una corretta vita civile e religiosa e la polemica contro i fedecommessi, i maggiorascati e i privilegi della nobiltà, tutti temi che negli scritti del M. ricorrono frequentemente.
Gli anni trascorsi a Napoli furono caratterizzati da molte amarezze per le difficoltà incontrate in un ambiente che sentiva ostile. Fu di nuovo aiutato da Tanucci, che nel 1740 scrisse a Bartolomeo Corsini, dal 1737 viceré di Sicilia, per chiedere un impiego come segretario del Commercio in Sicilia per il M. (Epistolario, I, p. 380). Dall’epistolario di Tanucci, si possono ripercorrere le fasi salienti di questo periodo, conclusosi nel 1745. Disilluso, il M. decise di spostarsi a Ferrara, ma trascorsi alcuni mesi a Roma nel 1746, raggiunse poi Venezia, dove accettò di accompagnare, come segretario, il conte Giuseppe Finocchietti Fauloni, residente e ministro napoletano a Venezia, allora in procinto di trasferirsi nei Paesi Bassi in qualità di ambasciatore (1747). Durante il suo breve soggiorno ad Amsterdam, il M., grazie all’intermediazione di alcuni amici inglesi che aveva conosciuto a Firenze, in particolare H. Mann, H. Walpole e J. Chute, e su consiglio di A. Cocchi e di A. Niccolini, maturò la decisione di trasferirsi in Inghilterra (1748).
Preso dall’entusiasmo per le tante prospettive che Londra offriva agli artisti e ai letterati stranieri il M., pur continuando a mantenere qualche sporadico contatto epistolare con gli amici di un tempo, cominciò ad allontanarsi da tutto ciò che apparteneva al passato. Si mantenne distante anche dal variegato ambiente dei connazionali, come osservò G. Casanova nella sua Storia della mia vita… a proposito di un incontro con lui in un noto caffè londinese frequentato da italiani. Solo il letterato G. Baretti gli resterà amico per tutta la vita, ricambiato, nonostante litigi e contrasti dovuti al pessimo carattere di ambedue, con altrettanta lealtà e considerazione. Desideroso di raggiungere il successo e la sicurezza economica, il M. cercò in ogni modo d’allacciare utili rapporti con persone dell’ambiente dell’aristocrazia e della politica inglese, facendo leva anche sullo spirito di solidarietà massonico.
Il M. conobbe e frequentò Samuel Johnson e molti amici del suo circolo, fra i quali P. Paoli. Fu oggetto di affettuose attenzioni e comprensione da parte del musicologo Ch. Burney e della sua famiglia. Gli incontri più importanti furono quelli con Ch. Townshend, allora agli inizi della sua carriera politica, al quale nel 1752 dedicò la sua Istoria critica della vita civile, e con la famiglia Walpole, in particolare con Thomas (figlio di Horace primo barone di Wolterton e fratello più giovane di Robert primo duca di Orford) e con Horace, figlio di Robert.
Con l’aiuto di Thomas Walpole, il M. pubblicò, nel 1758, le Lettere familiari e critiche a Londra presso Giovanni Nourse, editore anche di Baretti e di altri italiani.
Il libro è composto di cinquantanove lettere indirizzate dal M. ad alcuni amici italiani, come L. Corsi e A. Cocchi, e a molti esponenti dell’ambiente politico e aristocratico inglese. Si apre con una prefazione nella quale ricorda gli scrittori italiani che avevano curato il genere della scrittura epistolare, dal Boccaccio a Anton Francesco Doni e Galileo Galilei. Al centro degli interessi del M. resta la lingua italiana e i problemi legati al suo insegnamento all’estero, soprattutto in Inghilterra.
L’11 nov. 1762, dopo l’edizione del Decamerone (Il Decamerone di Giovanni Boccaccio cognominato Principe Galeotto, Londra 1762) – dedicata, su suggerimento di Thomas Hollis, alla Royal Society of antiquarians –, il M. fu eletto membro di quella istituzione, titolo di cui andò sempre molto fiero, unico riconoscimento ufficiale ottenuto in Inghilterra.
Uno dei grandi pregi del M. fu, senza dubbio, quello di avere tentato di spiegare l’Italia all’Inghilterra e viceversa. La letteratura gli servì per proporre il proprio Paese all’attenzione della Gran Bretagna; la storia per dare agli Italiani una visione più concreta della realtà inglese. Nacque da questo duplice intento il progetto di scrivere una Istoria d’Inghilterra in tre volumi (Londra 1770-73). Fu un’impresa sfortunata, non solo per le difficoltà incontrate nel trovare sottoscrittori che garantissero anticipatamente le spese di stampa, ma anche perché il M. fu subito accusato d’avere attinto senza risparmio dal lavoro dello storico ugonotto P. Rapin de Toyras e da altri autori come J. Stow, Th. Fuller e G. Buck. Fu allora che, stanco e deluso, cominciò a pensare al ritorno in Italia.
A queste amarezze personali, si aggiungevano motivi di carattere più generale. L’Inghilterra che il M. si apprestava a lasciare non era più quella che lo aveva accolto, ma un Paese da poco uscito dalla guerra dei Sette anni e diviso dai giudizi divergenti sulla pace di Parigi (1763), dalle veementi battaglie politiche e sociali di John Wilkes e dall’approssimarsi dello scontro armato con le colonie del Nordamerica. Il clima di grande preoccupazione e incertezza era particolarmente avvertito nel mondo precario degli artisti e letterati stranieri, dipendenti dalle sovvenzioni dei loro mecenati.
Nel 1775 il M. lasciò Londra definitivamente. Con coraggio sorprendente per un uomo della sua età, una volta raggiunta Firenze si mise al lavoro e, nel 1776, pubblicò la Storia del governo d’Inghilterra e delle sue colonie, dedicata al principe Lorenzo Corsini.
I debiti di questo lavoro alla ben più ampia opera di G.-Th.-Fr. Raynal Storia filosofica e politica degli stabilimenti… degli Europei nelle due Indie – di cui nel 1777 era uscita a Siena la traduzione di Giuseppe Ramirez (Remigio Puparez) – sono molti, ma resta al M. il merito di avere, fra i primi, offerto agli Italiani un quadro particolareggiato della storia inglese antica e più recente. Il libro è diviso in tre parti; la prima dedicata alla storia dell’Inghilterra, la seconda alle imprese coloniali dei maggiori Stati europei nelle Indie Orientali e il terzo alle condizioni interne delle dodici colonie inglesi nel Nordamerica. Fu probabilmente quest’ultimo grande capitolo a destare l’interesse del granduca di Toscana Pietro Leopoldo di Lorena, molto attento alle vicende americane, come indicano le tante analogie fra il suo progetto costituzionale del 1779 e la costituzione della Virginia del 1776.
Dopo questa impresa, abbastanza fortunata, quasi a sottolineare la continuità del suo legame con l’Inghilterra, il M. fece stampare, con la falsa ubicazione «in Londra», un’elegante edizione de La divina commedia (Livorno 1778). Nell’introduzione riproduce due lettere indirizzate a Th. Walpole (la seconda già apparsa nelle Lettere familiari), nelle quali riproponeva i termini della polemica contro Voltaire con l’ormai classico riferimento alla traduzione, definita «pulcinellesca», eseguita dal celebre filosofo, di un passo del canto XXVII dell’Inferno. La moda di queste inesauribili polemiche era al tramonto, ma il M. non sembrava badarvi: continuava a scrivere e a lavorare. Viveva con una pensione del sovrano, tutto preso dalla stesura della sua opera conclusiva, la Istoria della famiglia Medici commissionata da Pietro Leopoldo, dietro compenso di 10 zecchini al mese elargitogli a fatica, secondo quanto scriveva F. Becattini nella sua velenosa biografia di Pietro Leopoldo, grazie alle insistenze del principe Corsini.
Il lavoro procedeva a fatica a causa dei troppi anni passati lontano dalla Toscana e per la mancanza di un metodo di lavoro appropriato. Anche in questa circostanza il M. fece ampio ricorso a opere ben note, come Le istorie fiorentine di Machiavelli, i Commentarij di Francesco Nerli e le Storie fiorentine di Bernardo Segni. Alla narrazione delle vicende mescolava la letteratura, con lunghe digressioni su Dante – riprendendo la vecchia e inconcludente polemica con Voltaire –, Boccaccio, Boiardo, Ariosto e Tasso.
Nonostante la riconoscenza dovuta al granduca Pietro Leopoldo ed espressa nella dedicatoria, il M. non rinuncia ad anteporre le glorie della famiglia Medici a quelle dei Lorena e, fra i grandi dell’antica dinastia toscana, pone al primo posto Lorenzo il Magnifico. Lo scarso spessore storico dell’Istoria, i riferimenti continui alle grandezze medicee, le lunghe divagazioni sulle glorie letterarie toscane, contribuirono certamente ad alienargli l’appoggio del granduca.
Nel frattempo la salute del M. divenne sempre più precaria. Il 19 maggio 1785 morì a Firenze, lasciando la storia della famiglia Medici manoscritta.
Opere: Oltre alle opere citate si ricorda un’edizione de Il principe di Machiavelli, Amsterdam 1749. I primi due volumi della Istoria della Casa Medici sono conservati presso la Birmingham University Library (Phillis Mss., I, 7853; II, 7854); i volumi successivi appartengono a una collezione privata fiorentina.
Fonti e Bibl.: Montecatini Terme, Archivio comunale, Partiti, b. 50, 5 apr. 1724; Novelle letterarie, n.s., XVI (1785), 31, coll. 492-496; F. Becattini, Vita pubblica e privata di Pietro Leopoldo d’Austria…, Filadelfia [ma Milano] 1796, pp. 195 s.; B. Tanucci, Epistolario, I, (1723-1746), a cura di R.P. Coppini - L. Del Bianco - R. Nieri, Roma 1980, pp. 219, 221, 270, 380, 625, 785 s., 800 s., 829; II, (1746-1752), a cura di R.P. Coppini - R. Nieri, ibid. 1980, pp. 40, 49, 54, 67, 78, 135, 143, 156, 158, 190, 240, 245, 295, 306, 316, 318, 386 s., 394; III, (1752-1756), a cura di A.V. Migliorini, ibid. 1982, pp. 6, 127, 192, 352; G. Casanova, Storia della mia vita (1756-1763), Milano 1984, pp. 1499-1502; G. Ansaldi, Cenni biografici dei personaggi illustri della città di Pescia e suoi dintorni, Pescia 1872, pp. 390 s.; A. Graf, L’anglomania e l’influsso inglese in Italia nel sec. XVIII, Torino 1911, pp. 61 s.; B. Croce, Un letterato italiano in Inghilterra: V. M., in Id., La letteratura italiana del Settecento, Bari 1949, pp. 257-273; V. M.: profilo biografico, in Letterati, memorialisti e viaggiatori del Settecento, a cura di E. Bonora, Napoli 1951, pp. 878-880; E.H. Thorne, V. M. in England, 1748-1774, in Italian Studies, XI (1956), pp. 92-107; F. Venturi, Settecento riformatore, III, Torino 1979, pp. 388-396; A. Luppi, Music and poetry in V. M.’s Lettere familiari e critiche, in International Review of the aesthetics and sociology of music, XIX (1988), 2, pp. 149-160; M.A. Timpanaro, Per una storia di Andrea Bonducci (Firenze 1715-1766). Lo stampatore, gli amici, le loro esperienze culturali, Roma 1996, pp. 237-346; C. Sodini, V. M. e la sua «Istoria della famiglia Medici», in Il Granducato di Toscana e i Lorena nel sec. XVIII. Incontro internazionale di studio… 1994, a cura di A. Contini - M.G. Parri, Firenze 1999, pp. 435-454; Id., V. M., un cosmopolita toscano del ’700, in Rass. stor. toscana, XLV (1999), 1, pp. 85-139; XLVI (2000), 1, pp. 61-106; E. De Troja, Strategie epistolari di un toscano a Londra: le «Lettere familiari e critiche» di V. M., in Id., My dear Bob. Variazioni epistolari fra Settecento e Novecento, Firenze 2007, pp. 95-112.