VIVIANI FRANCHI, Vincenzio.
– Nacque a Firenze, nella parrocchia di S. Pier Maggiore, il 5 aprile 1622 da Jacopo di Michelagnolo e da Maria di Alamanno del Nente.
Crescendo in una famiglia nobile e ricca, il giovane Vincenzio fu prima istruito nelle lettere umane alla scuola dei gesuiti di Firenze, poi in logica dal padre francescano Sebastiano da Pietrasanta, e infine in matematiche alla scuola privata del padre scolopio Clemente Settimi. Fu quest’ultimo, vicino alla corte dei Medici, a introdurre Viviani presso il granduca. Il giovane, allora sedicenne, fece ottima impressione su Ferdinando II in occasione del loro primo incontro, avvenuto a Livorno nel 1638. Questi gli offrì infatti uno stipendio di 50 scudi all’anno per continuare a istruirsi e gli promise con il tempo – secondo ciò che scrisse Viviani stesso in una lettera autobiografica del 1697 (Firenze, Biblioteca nazionale centrale, Gal., 155, cc. 5r-23r) – la carica di primo matematico (della corte).
Di ritorno a Firenze, il padre Settimi, molto vicino anche a Galileo Galilei al quale faceva spesso visita ad Arcetri, portò il suo promettente alunno al Gioiello dall’ormai vecchio astronomo. Dall’inizio del 1639 fino alla morte del suo nuovo maestro, nel gennaio del 1642, Viviani fu conseguentemente ospite e discepolo di Galilei. Quasi cieco, Galilei aveva bisogno infatti dell’aiuto di un amanuense ma anche di una persona competente nelle matematiche per assisterlo nello svolgimento delle sue idee, tra cui quelle espresse nella quinta giornata dei suoi Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze (Leida 1638). Per tre anni, maestro e discepolo lavorarono su diverse correzioni ai Discorsi, come ai nuovi problemi di resistenza dei solidi, mentre Viviani ebbe l’opportunità di familiarizzarsi con l’opera di Archimede. Dal 1640, cominciò inoltre a lavorare sulla ricostruzione indiziaria della parte perduta delle Coniche di Apollonio.
Dall’ottobre del 1641 e per i tre ultimi mesi della vita di Galilei, Viviani fu raggiunto al Gioiello da Evangelista Torricelli, raccomandato da Benedetto Castelli per aiutare lo scienziato a stendere le sue speculazioni allora ancora inedite e allo stato di abbozzo. Quando Galilei morì, fu Torricelli, più maturo e a quel tempo più avanti negli studi di Viviani, a essere nominato alla carica di primo matematico. Nonostante questo, essi intrattennero sempre relazioni molto amichevoli, tanto che Viviani fu tra coloro i quali presero parte alle esperienze di Torricelli sul barometro e sul peso dell’aria, intorno al 1644.
Dalla morte del suo maestro e per tutta la sua vita, Viviani non smise mai di far valere, quasi come un titolo, il suo passato di ‘ultimo discepolo’ o ‘ultimo scolare’ del grande Galileo Galilei. Eppure, dal 1642 in poi, fu al servizio dei Capitani di parte guelfa, una magistratura dalle competenze tecniche che aveva in carico la cura dei beni demaniali, la gestione delle fognature, l’amministrazione dei pesi e misure, la riscossione delle imposte così come la scenografia degli spettacoli di corte.
Nominato dapprima aiuto dell’artista, architetto e primo ingegnere Baccio del Bianco, Viviani imparò l’arte del disegno e la prospettiva alla scuola privata di quest’ultimo, poi all’Accademia del disegno oppure sul terreno, seguendo il suo nuovo maestro nelle perizie riguardanti la regolazione dei fiumi toscani, le fortificazioni e le chiese medicee. Questo mestiere, troppo spesso trascurato nei pochi ritratti intellettuali di Viviani, consumò la maggior parte del suo tempo e della sua salute, al punto che, ancora nel 1697, quando oramai aveva assunto ufficialmente la carica di primo matematico del granduca, supplicò l’abate Alamanno Salviati, suo amico, di intervenire in suo favore presso il sovrano affinché alleviasse il suo carico di lavoro.
Poco dopo la morte di Torricelli nel 1647, Viviani gli subentrò nell’incarico di lettore di matematiche all’Accademia del disegno, incarico che tenne fino alla morte; due anni dopo, diventò anche professore di matematica per i paggi della corte allo Studio fiorentino. Fu inoltre incaricato di riordinare le carte del defunto amico ma purtroppo, già occupato a raccogliere i documenti di Galilei per stamparne le opere complete, non poté mai assolvere a questo compito, attirandosi anche le critiche dei suoi contemporanei. Nel 1649, infatti, alla morte di Vincenzio Galilei, il figliuolo di Galileo al quale Viviani fu molto vicino, in quanto suo ultimo discepolo si ritrovò depositario dell’archivio del maestro. Fu dunque incaricato dal granduca di stenderne una biografia, che Viviani intitolò Racconto istorico della Vita di Galileo. Viviani inviò lo scritto a Ferdinando II in una lettera del 1654, ma, poiché non fu mai soddisfatto dalla sua raccolta delle carte del maestro e della proibizione dei Dialoghi, lo tenne inedito, cosicché non vide la stampa prima del 1717. Ciononostante, rimase il testo di riferimento per la biografia di Galilei fino ai lavori archivistici di Antonio Favaro alla fine del XIX secolo (Gattei, 2019).
Nello stile agiografico del Rinascimento, Viviani fissò l’immagine di un giovane Galilei molte precoce, diventato poi un uomo ‘a tutto tondo’, le cui competenze pratiche di scienziato, ma anche di musicista e pittore, ne fecero il primo vero empirista anziché un fisico-matematico (Segre, 1989b). Questa fatica per fare sopravvivere la figura e il lavoro del maestro lo occupò per vent’anni: il suo carteggio attesta dei suoi sforzi negli anni 1650 e 1660 per raccogliere tutti i documenti relativi a Galilei provenienti da Parigi, Roma, Venezia, così come da Pesaro, Udine, Bologna. La raccolta delle opere del maestro da parte di Viviani non ebbe come esito la loro pubblicazione ma formò il nucleo del fondo Galileiano attualmente nella Biblioteca nazionale di Firenze.
Questi anni nella vita di Viviani divennero ancora più attivi allorché il principe Leopoldo fondò nel 1657 l’Accademia del Cimento, della quale il matematico fu magna pars. Dalla creazione fino allo scioglimento dell’Accademia dieci anni dopo, Viviani prese parte a un gran numero di esperimenti di scienze fisiche: sulla resistenza dei solidi, sulla velocità del suono o sull’effetto del caldo e del freddo sul volume e il peso di materie naturali. Collaborò inoltre al disegno e alla realizzazione di diversi strumenti (una parabola acustica per migliorare l’audizione, un igrometro, occhiali e cannocchiali), così come alle osservazioni astronomiche, in particolare con Giovan Domenico Cassini, del quale rimase sempre amico (Deias, 2020). Questi lavori diedero luogo ai Saggi di naturali esperienze dell’Accademia del Cimento pubblicati a Firenze nel 1666.
Accanto a queste esperienze, la prima opera di Viviani vide la luce a Firenze nel 1659, quando finalmente egli pubblicò la sua ‘divinazione’ di Apollonio che consistette nel ricostruire matematicamente il quinto libro perduto delle Coniche (Dumas Primbault, in corso di stampa). La chiamò ‘divinazione’ perché Viviani vi si propose di restituire un sapere antico nella presunta purezza della sua forma originale. L’originalità del lavoro di Viviani fu tuttavia compromessa quando nel 1658 Borelli scoprì a Firenze, nella Biblioteca Medicea Laurenziana, una traduzione araba del libro perso, insieme ai due successivi. Con l’aiuto del granduca e del principe Leopoldo, che ritardarono la pubblicazione del lavoro di Borelli e attestarono l’indipendenza del lavoro di Viviani, quest’ultimo poté stendere le sue bozze, quasi vent’anni dopo aver cominciato, sotto il titolo De maximis et minimis. Negli anni intorno alla sua prima pubblicazione, Viviani fece anche la conoscenza di Robert Southwell, allora in viaggio per l’Italia, con il quale costruì una relazione d’amicizia (Boschiero, 2006). Southwell, che diventò presidente della Royal Society di Londra qualche anno dopo, rientrò in Inghilterra con alcune copie del nuovo lavoro di Viviani, che diffuse per l’Europa. Le recensioni e le critiche furono tutte elogiative.
Forte di questo successo, nel 1660, dopo tre anni di contrattazione e di rivalità con Borelli (Tenca, 1956), Viviani finì con il rifiutare la lettura di matematica dello Studio di Padova dove aveva insegnato Galilei. Eletto membro dell’Accademia della Crusca nel 1661, dov’era conosciuto sotto il nome di Rinvigorito, Viviani ricevette nel 1663 la visita di Jean Chapelain, che era stato incaricato dal re di Francia di segnalargli studiosi stranieri degni di ricevere una pensione annua. Conseguentemente, nel 1664 Luigi XIV propose a Viviani di diventare il suo primo astronomo. L’offerta fu rifiutata da Viviani, che nel 1666 diventò invece finalmente primo matematico del granduca Ferdinando II, senza tuttavia essere rilevato delle sue mansioni d’ingegnere.
In effetti, se gli anni Settanta e Ottanta sembrano così poco attivi dal punto di vista delle pubblicazioni di Viviani – egli diede alle stampe solo il suo commentario del Quinto libro degli Elementi (Firenze 1674) cui fu aggiunto qualche Diporto geometrico nel 1676 –, ciò fu presumibilmente dovuto al fatto che egli dovette dedicare tutto il suo tempo alle perizie per i Capitani di parte. Sotto tale profilo, infatti, questi anni furono al contrario molto produttivi. Come ingegnere sostituto a Bianco dal 1653, primo ingegnere dopo la morte di quello nel 1656, e finalmente idrometra dal 1666, Viviani trascorse molto tempo a cavallo nelle campagne toscane. Accompagnato oramai a sua volta da un aiutoingegnere, fece innumerevoli sopralluoghi, esperimenti e lavori tecnici sui fiumi e le costruzioni di Toscana, come la fortezza di San Miniato, lo stradone di Poggio Imperiale o ancora la torre di Palazzo Vecchio. Ne testimoniano i generosi appunti di terreno nel suo archivio, le numerose filze dei Capitani all’Archivio di Stato di Firenze (Maglioni, 2001), o ancora la pubblicazione nel 1688 di un Discorso intorno al difendersi dai riempimenti e dalla corrosione dei fiumi, vero progetto ingegneristico di bonificazione di tutto il Val d’Arno.
Nell’anno 1690, riprendendo gli studi geometrici, Viviani pubblicò la sua traduzione degli Elementi di Euclide. Due anni dopo, inviò per via diplomatica alla comunità matematica europea un enigma geometrico: data una cupola emisferica, come aprire quattro finestre in maniera tale che l’area della superficie rimanente sia quadrabile. Indirizzato ai cosiddetti analisti, e in particolare a Gottfried Wilhelm von Leibniz, il problema fu rapidamente risolto da questi e illustrò bene il confronto di due culture matematiche: la geometria euclidea di Viviani basata sull’autorità degli antichi e la geometria analitica più moderna di Leibniz basata sul calcolo infinitesimale (Roero, 2006). Lo stesso anno (1692), Viviani pubblicò a Firenze la sua soluzione in Formazione e misura di tutti i cieli, la quale, ormai conosciuta come ‘la finestra di Viviani’, risulta dall’intersezione di una sfera e di un cilindro il cui diametro è uguale al raggio della sfera.
Tra il 1694 e il 1697, allora settantenne, Viviani si occupò di uno suo ultimo problema d’ingegneria: il trattamento delle fessure apparse nella cupola della cattedrale di S. Maria del Fiore (Dumas Primbault, 2020). Eletto socio della Royal Society nel 1696 e corrispondente straniero dell’Académie royale des sciences di Parigi nel 1699, riuscì comunque a pubblicare nel 1702 un ultimo lavoro di matematica, cominciato a sua detta nel 1646 e licenziato nel 1673: la ricostruzione indiziaria di un libro perso di Aristeo che intitolò De locis solidis.
Morì a Firenze di ‘gocciola’ (cioè di un attacco cerebrale) il 22 settembre 1703, a quanto è dato sapere senza moglie né figli. L’indomani fu sepolto accanto a Galilei nella cappella del Noviziato in S. Croce, a Firenze.
Il suo testamento del 1689 istituì erede suo nipote, l’abate Jacopo Panzanini, mentre le sue carte furono accorpate a quelle del maestro e la sua biblioteca donata all’ospedale di S. Maria Nuova. Accanto ai numerosi appunti e manoscritti, lasciò inedite una traduzione delle opere di Archimede (Procissi, 1953), tre trattatelli intorno ad alcuni problemi di geometria, oltre a un saggio di ‘geometria morale’ nel quale Viviani si propose di fare prove geometriche delle verità della fede. Ormai scomparso, questo saggio fu probabilmente distrutto perché troppo eterodosso.
L’amore che portò al suo maestro per tutta la vita è tuttora visibile a Firenze sulla facciata del palazzo in cui visse, a via S. Antonino (già via dell’Amore), dove nel 1693 aveva fatto realizzare un bassorilievo dedicato alla gloria di Galilei (Gattei, 2017).
Fonti e Bibl.: Firenze, Biblioteca nazionale centrale, Gal., 155-258.
A. Favaro, V. V. e la sua Vita di Galileo, in Atti del Reale Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, s. 8, 1902-1903, vol. 62, t. 5, pt. 2 (1902/1903), pp. 683-703; Id., Amici e corrispondenti di Galileo Galilei. XXIX, V. V., ibid., 1912-1913, vol. 72, t. 15, pt. 2 , pp. 1-155; Id., Di alcune inesattezze nel Racconto Istorico della Vita di Galileo dettato da V. V., in Archivio storico italiano, LXXIV (1917), 2, pp. 127-150; A. Procissi, La traduzione italiana delle Opere di Archimede nelle carte inedite di V. V. (1622-1792), in Bollettino dell’Unione matematica italiana, s. 3, VIII (1953), 1, pp. 74-82; R. Suter, The galileian inscriptions on the facade of V.’s house in Florence, in Osiris, 1956, vol. 12, pp. 225-243; L. Tenca, Le relazioni fra Giovanni Alfonso Borelli e V. V., in Rendiconti dell’Istituto lombardo di scienze e lettere, XC (1956), pp. 107-121; M.L. Bonelli, L’ultimo discepolo: V. V., in Saggi su Galileo Galilei, a cura di C. Maccagni, Firenze 1972, pp. 656-688; P. Galluzzi, Le colonne “fesse” degli Uffizi e gli “screpoli” della cupola. Il contributo di V. V. al dibattito sulla stabilità della cupola di Brunelleschi (1694-1697), in Annali dell’Istituto e Museo di storia della scienze di Firenze, II (1977), 1, pp. 71-111; G. Righini, Considerazioni sui teoremi del V. a proposito degli “screpoli” della cupola brunelleschiana, ibid., III (1978), 1, pp. 105-108; C.S. Roero, The italian challenge to Leibnizian calculus in 1692. Leibniz and V.: a comparison of two epistemologies, in Tradition und aktualität. Vorträge des V. internationalen Leibniz-kongress, Hannover 1988, pp. 803-810; M. Segre, Galileo, V. and the Tower of Pisa, in Studies in history and philosophy of science part A, 1989a, vol. 20, n. 4, pp. 435-451; Id., V.’s life of Galileo, in Isis, 1989b, vol. 80, n. 2, pp. 206-231; C.S. Roero, V. and Leibniz: two different attitudes towards archimedean tradition, in Studia leibnitiana supplement, 1990, vol. 27, pp. 231-243; Ead., La matematica tra gli ‘affari di Stato’ nel Granducato di Toscana alla fine del XVII secolo, in Bolletino di storia delle scienze matematiche, 1991, vol. 11, n. 2, pp. 85-138; M. Segre, In the wake of Galileo, New Brunswick 1991, passim; I. Maglioni, V. V. e l’Arno. Scienza galileiana e problemi di un fiume e del suo bacino nel XVII secolo, in Archivio storico italiano, 2001, vol. 159, n. 1, pp. 151-170; L. Boschiero, Post-galilean thought and experiment in seventeenth-century Italy: the life and work of V. V., in History of science, 2005, vol. 43, n. 1, pp. 77-100; Id., Robert Southwell and V. V.: their friendship and an attempt at italian-english scientific collaboration, in Parergon, 2006, vol. 26, n. 2, pp. 87-108; C.S. Roero, Leibniz and the temple of V.: Leibniz’s prompt reply to the challenge and the repercussions in the field of mathematics, in Annals of science, 2006, vol. 47, n. 5, pp. 423-443; R. Lunardi - O. Sabbatini, Il rimembrar delle passate cose. Una casa per Memoria: Galileo e V. V., Firenze 2009; S. Gattei, From banned mortal remains to the worshipped relics of a martyr of science: V. V. and the birth of Galileo’s mythography, in Savant relics: brains and remains of scientists, a cura di M. Beretta - M. Conforti - P. Mazzarello, Sagamore Beach 2016, pp. 67-92; Id., Galileo’s legacy: a critical edition and translation of the manuscript of V. V.’s Grati animi monumenta, in The British journal for the history of science, 2017, vol. 50, n. 2, pp. 181-228; R. Raphael, Reading Galileo: scribal technologies and the Two new sciences, Baltimore 2017, pp. 47-74; S. Gattei, On the Life of Galileo: V.’s historical account and other early biographies, Princeton 2019; D. Deias, Inventer l’Observatoire. Sciences & politique sous Giovanni Domenico Cassini (1625-1712), tesi di dottorato dell’EHESS, Paris 2020, pp. 76-80, 118-120; S. Dumas Primbault, Le compas dans l’œil. La “mécanique géométrique” de V. au chevet de la coupole de Brunelleschi, in Revue d’histoire des sciences, 2020, vol. 73, n. 1, pp. 5-52; Id., Un milieu d’encre et de papier. Brouillons, notes et papiers de travail dans l’archive personnelle de V. V. (1622-1703), in Cahiers François Viète, III (2021), 10, in corso di stampa.