FORMALEONI, Vincenzo Antonio
Nacque a Fiorenzuola d'Arda (Piacenza) il 18 nov. 1752, figlio di Biagio, attuario di Giustizia a Castelnuovo Fogliani, e di Cristina Balduzzi.
Scarse sono le notizie sulla sua educazione e sugli anni giovanili. Presi gli ordini minori e il titolo di abate, abbandonò la patria molto giovane. Ebbe modo di viaggiare in Oriente, ma pochissime sono le informazioni su questo viaggio che dovrebbe aver indirizzato gli interessi del F. verso la geografia e la cartografia. Le uniche testimonianze sono i suoi fugaci accenni nella Lettera a Fillide premessa alla tragedia Anna Erizzo e nel processo milanese del 1794. Secondo le sue stesse parole, nel 1772 avrebbe raggiunto Alessandria a bordo di un vascello veneto; di lì avrebbe visitato Il Cairo e, in compagnia d'alcuni russi, avrebbe risalito il Nilo. Sarebbe quindi stato a Costantinopoli e lungo le coste del mar Nero. Espulso dall'Impero ottomano, sarebbe finalmente giunto a Venezia, dove dal 1775 iniziano a reperirsi tracce più consistenti e certe della sua presenza.
Entrò immediatamente in contatto col mondo editoriale veneziano. Nel 1775 era correttore nella grande stamperia di Antonio Zatta, col quale rimase sempre in buoni rapporti. Contemporaneamente faceva pratica di cartografia e si dedicava agli studi geografici. Nel 1776 pubblicò la sua prima esperienza, una carta topografica del dogado dedicata a Pietro Gradenigo. L'attività di studio venne approfondita negli anni seguenti. Nel 1777, ridotto allo stato laicale, sposò Matilde Foresti, dalla quale ebbe tre figli. Collaborava intanto con il grande cartografo padovano A.G. Rizzi Zannoni alla realizzazione del primo foglio della Gran carta del Padovano, ritenuta una delle più rilevanti opere cartografiche della fine del Settecento. Autonomamente nel 1777 pubblicò due distinte descrizioni storiche e topografiche del Dogado e del Bergamasco (Descrizione topografica e storica del Dogado di Venezia…, Venezia 1777; Descrizione… del Bergamasco, ibid. 1777). Sono degli stessi anni alcune osservazioni sulla posizione geografica dell'Africa, innovative rispetto alla tradizione cartografica precedente, utilizzate per il quarto volume dell'Atlante novissimo dello Zatta. La perizia acquistata in questi anni gli valse nel 1778 la qualifica, conferitagli dai provveditori sopra Beni comunali, di "pubblico perito agrimensore".
Col 1780 l'attività pubblicistica si intensificò. In quell'anno diede alla luce a sue spese le Notizie interessanti per l'anno bisestile 1780, ovvero Giornale ragionato ad uso del Dominio veneto, una sorta di almanacco che tendeva a differenziarsi dalle decine di altri prodotti analoghi attaccando proprio l'astrologia, uno dei punti di forza su cui gli almanacchi prosperavano, proponendosi di fornire trattazioni monografiche di argomenti di carattere scientifico "per illuminare quella parte della colta nazione che non applica, né può applicare con serietà e con metodo allo studio delle cose che l'interessano" con lo scopo di "sradicare i pregiudizi, d'istruire e dilettare".
In quegli stessi anni il suo impegno editoriale e pubblicistico finì col diventare frenetico. Nel 1780 decise di impegnarsi personalmente nel campo della stampa. La regolamentazione dell'arte della stampa gli impediva tuttavia di figurare in prima persona. Le norme corporative escludevano i non matricolati dalla possibilità di ottenere le licenze. Si legò pertanto a R. Benvenuti, un povero libraio regolarmente immatricolato, che utilizzò come prestanome. Contemporaneamente stipulò un accordo con il tipografo G. Pasquali che con i capitali del F. aprì una piccola tipografia.
I primi due titoli per i quali nel maggio 1781 ottenne la licenza di stampa indicano con precisione le intenzioni del nuovo editore. A lui si deve la prima edizione veneta del Dei delitti e delle pene di C. Beccaria, per la quale tentò anche di ottenere qualche aggiunta da parte dell'autore. Contemporaneamente pubblicò il primo dei 42 volumi della traduzione del Compendio della storia generale dei viaggi di J.-F. de La Harpe che compendiava la monumentale opera di A.-F. Prévost.
Non si trattava tuttavia di una semplice traduzione; in essa infatti comparivano numerosissime aggiunte, correzioni ed osservazioni originali del F., frutto dei suoi studi di geografo e cartografo e delle sue ricerche soprattutto tra i manoscritti della Biblioteca Marciana. Malgrado l'edizione sia stata spesso criticata per varie ingenuità, leggerezze ed interpretazioni azzardate, essa è tuttavia da apprezzare per la grandissima mole del materiale raccolto, tra cui molte tavole idrografiche medioevali che sarebbero dovute servire, secondo i propositi del F., per illustrare la circolazione di notizie relative alle terre d'oltre Atlantico ancor prima dei viaggi di Colombo.
Gli ultimi quattro volumi del Compendio erano inoltre opera originale del F., il quale li avrebbe anche posti in commercio separatamente col titolo di Topografia veneta, ovvero Descrizione dello Stato veneto secondo le più autentiche relazioni e descrizioni delle provincie particolari dello Stato marittimo e di Terraferma (Venezia 1787), accurata descrizione dello Stato veneto, in cui ampio spazio era dedicato all'Istria, alle isole Ionie e alla Dalmazia, per la quale ultima utilizzò in gran parte come fonte il Viaggio in Dalmazia di A. Fortis. La Topografia è preceduta da un Discorso preliminare di notevole interesse sulle condizioni storiche politiche e sociali dell'Italia, in cui si lamentava tra l'altro la mancanza di unità, determinata dalle pretese temporali dei pontefici, con osservazioni sulla lingua italiana, le condizioni intellettuali e scientifiche, la libertà di coscienza e di stampa.
Il successo di queste prime iniziative suscitò immediatamente la reazione degli stampatori veneziani che denunciarono l'irregolarità della situazione. Il F. chiese allora l'immatricolazione e, mediante il pagamento di 330 ducati, ottenne anche l'esenzione dagli esami prescritti. Dal 1783 quindi poté fare a meno di prestanomi e le sue edizioni portarono sul frontespizio "typis Formaleonis". L'attività editoriale poté quindi infittirsi.
Frattanto stava maturando un piano molto ambizioso. Intorno al 1781 già progettava la pubblicazione di una originale "enciclopedia italiana" per la quale aveva reperito un finanziamento di 20.000 ducati. L'uscita però in Francia dei primi volumi della nuovissima e ambiziosissima Encyclopédie méthodique di Ch.-J. Panckoucke l'aveva indotto a meditarne una edizione italiana tradotta.
Contemporaneamente un progetto simile era accarezzato da M. Manfré, agente a Venezia della tipografia del seminario di Padova. Tra i due il contrasto fu violento. Il F., conscio della propria intrinseca debolezza, avendo a che fare con uno dei più potenti librai veneti, in quegli anni tra l'altro temutissimo priore della stessa corporazione, cercò di coinvolgere nell'impresa l'editore bassanese G. Remondini e di macchinare affinché potesse essere eletto al magistrato dei Riformatori dello Studio di Padova qualche patrizio a lui favorevole. La vertenza tra i due si concluse con la vittoria del Manfré, malgrado il F. avesse difeso la propria causa con un'appassionata arringa in cui sosteneva la pubblica utilità della traduzione italiana di un'opera che il Manfré voleva stampare in francese e deprecava la vistosa contraddizione di un seminario che intendeva farsi editore del più imponente capolavoro della cultura laica del secolo.
Fortemente deluso per l'esito della vicenda, il F. proseguì la propria attività editoriale, mantenendo tuttavia un atteggiamento polemico contro i suoi colleghi stampatori e librai, non perdendo l'occasione per rimproverare loro l'eccessivo attaccamento ai profitti e la scarsa cura per la "gloria letteraria", amando spesso sottolineare di essere stato costretto a divenire tipografo "per accidente" e non per vocazione. Coerentemente con i propri interessi diede alla luce in questi anni varie opere di carattere storico-geografico corredate spesso da documentazioni cartografiche.
Stampò tra l'altro la Storia della peste che regnò in Dalmazia negli anni 1783-84 di G. Baiamonti; la Storia della rivoluzione nell'America inglese di J.-N. Bellin; i Mémoires concernants le système de paix e de guerre que les puissances européennes pratiquent à l'égard des Régences barbaresques del segretario dell'ambasciata francese a Venezia É.-F. d'Hénin. Progettò, ma non condusse in porto, l'edizione della Nuova descrizione storica e geografica d'Italia di G.M. Galanti.
Nel 1786 propose la ristampa della Bibliothèque amusante, una raccolta di 47 romanzi suddivisi in 106 volumetti in 24°, edita a Parigi nel 1782. Erano in programma il Candide di Voltaire, il Bélisaire di J.-Fr. Marmontel, il Voyage sentimental di L. Sterne e vari racconti di C.-P. Crébillon fils, F. Arnauld e altri autori francesi, che sarebbero stati pubblicati in lingua originale. Ricevuta l'approvazione dei riformatori dello Studio di Padova, cominciò la pubblicazione dei volumetti con la falsa indicazione topica di Parigi.
Nel 1788 i volumi già pubblicati caddero sotto l'occhio attento del revisore pubblico G. Toderini, secondo il quale il F. aveva pubblicato i testi nelle loro versioni integrali, incurante delle censure che in fase di revisione preventiva gli erano state imposte; in particolare sottolineava la pericolosità del Candide, edito "con tutti i tratti scandalosi ed empi". Conseguenza della denuncia fu che i riformatori dello Studio di Padova proibirono al F. la continuazione della Bibliothèque amusante e gli intimarono di consegnare le opere già pubblicate. Sdegnato, il F. cedette tutte le copie rimastegli e ridusse notevolmente il suo impegno nell'editoria. Nel 1789, venduta la stamperia, interruppe i suoi contributi all'arte. Nel 1791 chiese di essere riammesso; non è però chiaro cosa avesse in animo di stampare.
Parallelo alla sua attività di editore fu l'impegno come autore. Da una parte vi sono le opere drammaturgiche, scritti nel complesso mediocri, privi di un reale interesse: tragedie come l'Anna Erizzo (1783), la Caterina regina di Cipro (1785), il Berengario (1785), o romanzi come il Mendez Pinto, ovvero avventure d'un corsaro scritte da lui medesimo (1782), pubblicato anonimo simulando una traduzione dal portoghese, e il Catterino Zeno. Storia curiosa delle sue avventure in Persia (1783), "miserrima cosa - secondo il Marchesi - che pare scritta da un fanciullo" (p. 281). Accanto a questi, degni di maggiore interesse sono i lavori di carattere storico e geografico. A parte i titoli già nominati e le traduzioni dal francese, in cui non era raro che il F. mettesse qualcosa di proprio, le opere principali sono sulle origini e sul commercio dei Veneziani, scritte sulla scorta di ricerche che sarebbero dovute servire alla compilazione di un più complesso saggio che il F. ripetutamente menziona, dal titolo Origini venete, mai pubblicato. Il Saggio sulla nautica antica de' Veneziani (1785), inserito anche all'interno del Compendio di La Harpe e la Storia filosofica e politica della navigazione, del commercio e delle colonie degli antichi nel Mar Nero (1788), dedicato a Caterina II zarina di Russia, sono tra queste.
Il soggiorno veneziano del F. si concluse nell'aprile del 1792 quando, in occasione della morte dell'ammiraglio Angelo Emo, il F. parafrasò sarcasticamente, con lo pseudonimo di Onocefalo Cinaglosa, la roboante orazione funebre dell'abate U. Bregolini (Elogio del cane Tabacchini, morto nel caffè del ponte dell'Angelo il dì 27 aprile 1792, Venezia 1792). Gli inquisitori di Stato colsero l'occasione per liberarsi finalmente del F., divenuto ormai personaggio parecchio scomodo, del quale, già in passato, avevano avuto occasione di occuparsi.
Tre anni prima infatti l'avevano dovuto ammonire per aver maltrattato il custode della Biblioteca di S. Marco, I. Morelli, che gli impediva la consultazione di un manoscritto la cui lettura era proibita al pubblico. Per questa ragione nel bando del 30 maggio 1792, che imponeva al F. di lasciare Venezia, oltre a ricordare la vicenda dell'Emo, si sottolineavano i vari e vani tentativi effettuati dai riformatori dello Studio di Padova per "raffrenar[lo] e contener[lo] nella dovuta moderazione" definendolo "di genio torbido, audace e satirico".
Il F. riparò quindi a Gorizia presso il conte Francesco Della Torre. Da qui, via Bologna, Firenze, Livorno e Genova, si diresse verso la Francia, dove, a suo dire, avrebbe avuto intenzione di accettare un'offerta dello stampatore di Versailles B. Dandré per la pubblicazione delle sue opere in francese.
Iniziò quindi l'ultimo periodo della vita del F., nel complesso oscuro, malgrado l'abbondante quantità di informazioni che lo riguardano. Fu infatti coinvolto nelle vicende rivoluzionarie a Parigi nei mesi del Terrore ed impegnato in Italia in attività spionistiche, nelle quali non sempre è facile distinguere il vero dal falso, le millanterie dal realmente accaduto.
Per sei mesi, dopo la partenza da Venezia, si perdono le tracce. Il F. ricompare nel gennaio del 1793 con una lettera spedita da Parigi agli inquisitori di Stato, nella quale, amplificando certamente il suo stato di disagio e riferendo di ritenere ingiusta la punizione che gli era stata inferta, offriva la sua opera al servizio della Repubblica. L'occasione venne accolta dagli inquisitori che lo invitarono a riferire notizie utili alla Repubblica.
Cominciarono allora una serie di drammatiche "rifferte" da Parigi, da Marsiglia, da Lione, e quindi di nuovo da Parigi, ove era ospite del marchese genovese G.B. Serra, nelle quali, facendo intendere di essere in contatto con i principali esponenti del ministero giacobino, sottolineava la pericolosità della nuova situazione per Venezia. Al tempo stesso riferiva su quanto stava accadendo in Francia. Per quanto abbondanti fossero le notizie fornite, dalle sue confidenze non pare trapelare mai nulla di preciso e di circostanziato che non fosse di dominio generale per essere stato pubblicato sulle gazzette parigine. Il tono del racconto è comunque sempre drammatico e partecipato, mentre il F. tenta di dare a intendere di aver completamente abbandonato il suo passato entusiasmo per gli eventi rivoluzionari.
Dalle "rifferte" dell'estate del 1793 risulta molto vicino agli ambienti di J.-P. Marat, che probabilmente conosceva di persona. Vivace e ben informata è anche la descrizione del suo assassinio che lascia trasparire buona dimestichezza con quei circoli rivoluzionari. Tale dimestichezza appare peraltro anche dalle fonti parigine, anche se con toni assolutamente opposti. Mentre si guadagnava l'apprezzamento degli inquisitori di Stato per le sue accurate informazioni, il cittadino F., cannoniere della sezione di Beaurepaire, pubblicava un opuscolo dal titolo Eloge de Jean-Paul Marat, l'ami du peuple, par un canonnier de Paris, che gli valse il 12 sett. 1793 una "mention honorable" da parte della Convenzione. Ciò non servì tuttavia a garantirgli una tranquilla permanenza a Parigi. Proprio in quei giorni si interruppero le sue lettere al segretario degli inquisitori di Stato Giuseppe Gradenigo.
La corrispondenza riprese solo il 25 nov. 1793, con una lettera dagli accenti disperati in cui il F. raccontava d'essere incarcerato "come sospetto", perché "forestiere e veneziano", pregando che la Repubblica compisse qualche passo per reclamare la sua liberazione. In effetti il giorno prima il Comité de sûreté générale l'aveva arrestato e relegato nella prigione di Port-Libre. Reclamando la libertà al ministro degli Esteri, il 9 febbr. 1794 il F. affermava d'aver diritto alla cittadinanza francese proprio per i suoi meriti letterari e per le sue opere "dans lesquelles j'avais combattu pour la liberté des opinions réligieuses contre les absurdités du fanatisme".
Non è chiaro però se sia stato effettivamente liberato nel corso del marzo del 1794; è anzi probabile che sia stato trattenuto in prigione. Fatto sta che il 3 maggio dello stesso anno il F. ricomparve a Genova.
Fornendo un'apocalittica descrizione dei giorni del Terrore, raccontò con abbondanza di particolari di essere riuscito a fuggire "dopo infinite peripezie" e "mille rischi" dalla Francia. Una descrizione, ripetuta anche in qualche altra occasione, che ha del romanzesco. Si presentò al console veneto a Genova, conte G. Gervasoni, chiedendo che gli fosse consentito di riprendere i rapporti con gli inquisitori e vantando, per di più, la conoscenza dell'incaricato d'affari francese a Genova J. Tilly. Il Gervasoni non ne trasse tuttavia buona impressione; descrivendolo "vestito alla giacobina", tese a sottolineare la contraddittorietà del suo racconto e ad insinuare il sospetto che fosse un "avventuriere" o un "ragiratore". Per tutto il mese di maggio il F. continuò a sperare che i rapporti con Venezia potessero essere ripresi. Autonomamente, senza passare per il Gervasoni, quello stesso 3 maggio 1794 aveva scritto al segretario Gradenigo per raccontare dei piani francesi per la campagna d'Italia e dell'incarico propostogli dal Tilly circa il "comando d'un corpo di vanguardia per avanzare nel paese e preparare gli abitanti in favore della Francia". Non ricevendo risposta il F. continuò a scrivere per qualche altra settimana. "Vivo come l'uccello sulla foglia", incalzò il 17 maggio 1794, cercando di insinuare negli inquisitori il sospetto che il console Gervasoni fosse "tutto francese", al servizio del Tilly, piuttosto che a quello della Serenissima.
Gli inquisitori di Stato, tuttavia, non ripresero i rapporti col F.: da varie parti d'Italia e di Francia erano pervenute a Venezia informazioni sul suo sospetto operato; da fonti diverse si era saputo dei suoi incandescenti discorsi nei club giacobini di Marsiglia nella primavera del 1793; in tutti coloro che l'avevano ascoltato aveva lasciato l'impressione che tendesse a "darsi vanto d'uomo d'importanza e di valore, ma lasci piuttosto in chi l'ascolta l'idea d'un incoerente e vano ciarliere". Anche il conte Francesco Apostoli, confidente veneziano infiltrato nell'ambasciata francese a Venezia, alla fine di maggio del 1794 scriveva di trovare difficoltà nella raccolta di informazioni, proprio per il confuso operare del F. che aveva posto in guardia la diplomazia transalpina in Italia. L'Apostoli negò anzi che il F. potesse avere significative aderenze a Genova presso il Tilly.
Persa la speranza di riallacciare i contatti con Venezia, nell'estate del 1794 il F. rimase a Genova dove trovò il tempo di progettare l'erezione di una fabbrica di salnitro e di pubblicare una memoria sull'estrazione del carbon fossile e sulla "macchina da scandagliar le miniere" (Memoria… sulla miniera del carbone di terra di Cadibona nel territorio di Savona letta nell'adunanza generale della Società patria del 4 sett. 1794, Genova 1794).
Quello che gli successe tra l'agosto e i primi d'ottobre del 1794 non è del tutto chiaro. Di certo vi è che l'8 ott. 1794 venne arrestato dagli Austriaci ad Acqui in compagnia di Maddalena Balbi, una giovane diciassettenne di Vercelli, e trasferito ad Alessandria, dove avrebbe tentato invano l'ennesima fuga. Portato infine a Milano nel novembre 1794, fu sottoposto ad interrogatorio. Sono appunto i verbali della lunga deposizione sua e della Balbi a fornire elementi per ricostruire le mosse del F. nell'estate e all'inizio dell'autunno di quell'anno.
Indubbiamente degne di fede sono le parole della giovane che l'accompagnava. La Balbi, sarta apprendista, aveva conosciuto il F. alla metà di settembre, mentre questi era di passaggio per Vercelli. Il F., presentatosi come veneziano vedovo, l'aveva invitata a seguirlo, promettendole di sposarla non appena gli fossero giunti da Venezia i documenti necessari. Il 17 settembre i due erano già in viaggio. La Balbi raccontò di peregrinazioni tra la Lombardia, il Piemonte e Genova, di incontri con un emissario imperiale e con altri personaggi, di visite ad accampamenti militari imperiali e di lunghe ore trascorse in camere d'affitto in attesa che il F. tornasse non si sa da dove. Molto più completo e complesso, il racconto del F. stesso, che tendeva, questa volta, a presentarsi come simpatizzante imperiale. Raccontò soprattutto d'essere stato contattato ai primi di agosto da emissari imperiali che gli avrebbero proposto di spiare il Tilly e, eventualmente, di occuparsi di trovare un agente a Parigi disposto a prestarsi ad operazioni di spionaggio. Affermò di essere riuscito in entrambi gli intenti. La caduta di Robespierre aveva avuto nel frattempo riflessi anche a Genova, dove il Tilly, giacobino, si sarebbe detto disposto a consegnare i suoi carteggi segreti in cambio di un salvacondotto imperiale. Il F. si sarebbe quindi occupato della questione trattandola con i Piemontesi a Torino e gli stessi Austriaci ad Alessandria.
Il progetto non sarebbe tuttavia andato in porto per la diffidenza stessa del Tilly, che continuava a non fidarsi del Formaleoni. I contatti con l'emissario austriaco Bienenfeld non si sarebbero però interrotti. Il 5 ottobre i due si ritrovarono e il F. ricevette 40 zecchini in cambio di notizie sugli spostamenti dei Francesi. Due giorni dopo, mentre stava per ritornare a Genova, fu arrestato e condotto ad Acqui sotto l'accusa d'aver rivelato "il piano" dell'accampamento austriaco.
Tra i vari tentativi effettuati dal F. per avvalorare la sua sincerità e mitigare la fama di giacobino che lo seguiva, ci fu anche l'affermazione d'aver scritto una Storia dell'Assemblea nazionale dalla sua convocazione fino all'anno presente 1791. In effetti in quell'anno a Venezia il suo amico Zatta aveva pubblicato con la falsa data di Londra un libro anonimo con questo titolo: si trattava di un'opera ferocemente antirivoluzionaria, presentata come traduzione dal francese, che sosteneva la diffusa ipotesi del complotto ordito dai philosophes ai danni dell'antico regime. In questo libro anche l'Encyclopédie era ritenuta responsabile dal clima intellettuale che aveva determinato la rivoluzione. Se si pensa ai grandi sforzi che pochi anni prima aveva effettuato per assicurarsi la traduzione italiana dell'Encyclopédie méthodique, risulta evidente la sua volontà di costituirsi una credenziale antirivoluzionaria sfruttando un'opera uscita senza il nome dell'autore.
Il 26 nov. 1794 l'interrogatorio del F. si concluse. Non è nota la sentenza. È d'altra parte certo che ebbe una condanna. Il 10 maggio 1796, all'approssimarsi a Milano delle truppe francesi, fu disposta la sua traduzione alle carceri di Mantova.
Il F. morì a Mantova l'8 genn. 1797, dopo alcuni mesi di malattia, "sempre assistito da' medici", pochi giorni prima dell'arrivo delle truppe francesi.
La relazione del medico chiarisce senza possibilità di equivoco le cause naturali del decesso, a lungo messe in dubbio. Nei primi decenni dopo la sua morte si disse che poteva essere stato avvelenato o, addirittura, che all'arrivo dei Francesi qualcuno si fosse dimenticato di aprire la sua cella.
Pochi giorni prima di morire aveva dettato il testamento. Patrimonio a parte, andato ai figli veneziani, lasciò a M. Borsa, segretario dell'Accademia di Mantova, una serie di carte che gli aveva consegnato "in segretezza, ma però coll'intelligenza del governo". Di questa documentazione, frutto probabilmente del lavoro nei due anni di detenzione, non resta traccia nell'attuale Accademia Virgiliana di Mantova.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Mantova, Aula criminale, 1796, b. 119, n. 1890; reg. 77, p. 785; Notarile, Notaio G. Epocher, f. 4101 bis, 6 genn. 1797; Arch. di Stato di Venezia, Arti, b. 169, scritture 1781-83; Inquisitori di Stato, bb. 185; 205, 30 giugno 1789; 248, 29 sett. 1793; 540, 30 maggio 1792; 544: rifferta Apostoli, 23 maggio 1794; 597, rifferte del F. agli inquisitori di Stato; 1258, 30 maggio 1792; Provveditori sopra Beni comunali, b. 27, 4 ag. 1778; Riformatori dello Studio di Padova, ff. 52, cc. 221-244; 57, cc. 211, 230, 268, 270; 343, licenze di stampa; 362; 370, 30 marzo 1784; 373; Vienna, Haus-, Hof- und Staatsarchiv, Collectanea Lombardei, 75-513, cart. 29; Bassano del Grappa, Bibl. del Museo, Epistolario Remondini, X-7, lettere a G. Remondini; Venezia, Bibl. del Civico Museo Correr, Cod. Cicogna, 3206, Progetto di macchina idraulica…; 3361, VI-2; 3418; Milano Bibl. Ambrosiana, Carteggio Beccaria, b. 231, fasc. 55, lettere di S. Corradini 21 luglio e 4 ag. 1781; Supplément au Bulletin de la Convention nationale [12 sett. 1793]; A. Pezzana, Notizie intorno a V.A. F., in Il Progresso delle scienze, delle lettere e delle arti, III (1835), 9, pp. 32-52; G.M. Bozoli, in E. De Tipaldo, Biografia degli Italiani illustri…, III, Venezia 1836, pp. 332-336; [A. Pezzana], Di V.A. F., Parma 1846; G. Marinelli, Saggio di cartografia della regione veneta, Venezia 1881, pp. 244 s., 257, 261, 265; G.B. Marchesi, Romanzieri e romanzi italiani del Settecento, Bergamo 1902, pp. 281 s., 419; S. Fermi, Un romanziere piacentino del Settecento (V.A. F.), in Boll. stor. piacentino, III (1908), pp. 49-62; M. Berengo, La società veneta alla fine del '700, Firenze 1956, pp. 201-207; A. Marchi, Dovuto all'abate Chiari. Appunti sul romanzo nel Settecento italiano, Parma 1982, p. 54; V. Baldacci, L'"Enciclopedia" nella Toscana del '700: successi e fallimenti di progetti editoriali, in Rass. stor. toscana, XXXI (1985), pp. 195-230; P. Del Negro, Il mito americano nella Venezia del '700, Padova 1986, pp. 47 s., 83 s., 95, 103 s., 106 s., 110, 151, 192-195, 201, 262; C. Dionisotti, Preistoria del pastore errante, in Appunti sui moderni. Foscolo, Leopardi, Manzoni e altri, Bologna 1988, pp. 169 s.; M. Infelise, L'editoria veneziana nel '700, Milano 1989, pp. 211, 333, 341, 361-366, 368-378; P. Caredio, Giacobino a Venezia, confidente in Francia. Note su V. F., in Boll. stor. piacentino, LXXXIV (1989), pp. 257-280; P. Preto, I servizi segreti di Venezia, Milano 1994, ad Indicem.