AZZOLINI, Vincenzo
Nacque a Napoli il 5 dic. 1881 da genitori appartenenti ad antiche famiglie, Alfonso, dirigente del Banco di Calabria, e Maria Carolina Serrao, figlia di un magistrato. Nel 1900 conseguì la maturità classica presso il liceo "G. B. Vico". Iscrittosi alla facoltà di giurisprudenza dell'università di Napoli, vi trovò professori di grande spessore intellettuale e morale come G. Arcoleo, N. Colajanni, E. Gianturco, A. Graziani, L. Miraglia, E. Pessina, ma in modo particolare fu allievo di F. S. Nitti, che insegnava scienza delle finanze e fu relatore della sua tesi di laurea nel 1904. I rapporti con Nitti si proiettarono oltre il corso degli studi universitari e si rinsaldarono al rientro di Nitti in Italia dopo la fine della seconda guerra mondiale.
All'inizio del 1905 prese servizio al ministero del Tesoro essendo risultato primo ad un concorso per l'immissione nella carriera direttiva. Nell'amministrazione dello Stato trovò il campo nel quale impegnare tutte le sue energie umane, tecniche e morali; la palestra della sua formazione culturale e professionale; attraverso successivi concorsi giunse ai vertici della pubblica amministrazione. A questo fine senza dubbio giovarono i rapporti con grandi personalità fin dall'inizio della carriera, grazie alle qualità ed alle attitudini subito poste in luce. Già nel 1906 Luigi Luzzatti, che su invito di Giolitti si interessava dell'operazione, lo chiamò a partecipare agli studi preparatori per la conversione del debito pubblico. In questa circostanza Bonaldo Stringher, direttore generale della Banca d'Italia, lo conobbe e cominciò ad apprezzarlo. Poiché una gran massa dei titoli del debito da convertire era collocata all'estero, ben presto l'A. fu inviato a Parigi quale delegato del Tesoro presso la Banca Rothschild che controllava i due terzi dei titoli italiani sulla piazza di Parigi. In questa sede rimase per circa nove anni, fino allo scoppio della prima guerra mondiale nella quale si arruolò volontario come tenente di complemento di fanteria.
Partecipò a varie azioni di guerra e presto fu promosso capitano; sull'Isonzo fu ferito gravemente ad una gamba e fu insignito di medaglia d'argento al valor militare. La ferita non gli consentì di tornare al fronte e nel 1916 riprese servizio al Tesoro, dove fu adibito ai servizi per i rapporti con l'estero.
Segretario di un comitato di ministri per l'approvvigionamento sui mercati stranieri, svolse numerose missioni all'estero, soprattutto a Londra, in relazione ad accordi finanziari anglo-italiani. Nel 1920 sposò la veneziana Luigia Alessandri: dal matrimonio sarebbero nati i figli Alessandro, Carlo e Alfonso.
Nel 1922 cominciò a lavorare nel gabinetto di Alfredo Rocco, sottosegretario al Tesoro. Nel 1925 vinse il concorso per ispettore superiore del Tesoro e fu posto a capo della direzione generale. In questa sede collaborò nuovamente con Stringher per gli studi sul regolamento dei cambi e con Giorgio Mortara preparò una documentazione preliminare sulle condizioni economiche e finanziarie dell'Italia per le trattative per la sistemazione dei debiti interalleati. Nel 1927 il ministro delle Finanze e del Tesoro Giuseppe Volpi di Misurata, lo propose per la nomina a direttore generale del Tesoro. In tale veste collaborò ancora con Stringher per la stabilizzazione della lira.
Nel luglio 1928 Stringher, avendo assunto la carica di governatore della Banca d'Italia, propose al consiglio superiore di questa, che approvò all'unanimità, la nomina dell'A. al posto di direttore generale. Divenuto il più stretto collaboratore di Stringher, di fatto lo sostituì nelle funzioni di governatore durante una lunga malattia che precedette la sua morte. Il 10 genn. 1931 l'A. fu eletto governatore, carica che assunse nel generale consenso degli ambienti bancari.
L'A. pervenne ai vertici della Banca d'Italia quando questa era una società per azioni che solo nel 1926 era divenuta l'unico istituto di emissione ed aveva assunto funzioni più ampie di quelle che aveva nel 1893, all'atto della fondazione. Come direttore generale, contribuì all'attuazione della nuova normativa che richiedeva la creazione di strutture per compiti di vigilanza e di controllo sull'attività delle banche, che fino a quell'epoca avevano agito in piena libertà come qualsiasi altra impresa. Inoltre, in forza della sua esperienza, si impegnò in modo particolare nel curare i rapporti con l'estero: partecipò a varie conferenze internazionali e, in primo luogo, ai lavori che portarono alla creazione della Banca dei regolamenti internazionali (BRI).
Come governatore dovette gestire una realtà economica e finanziaria molto complessa, caratterizzata da profondi mutamenti legislativi e istituzionali. Agli inizi degli anni Trenta, infatti, anche per l'economia italiana vi fu una fase di grave recessione che aveva uno dei suoi punti cruciali nei rapporti tra banche e industrie. Le banche avevano immobilizzato i loro depositi nelle industrie. Poiché i nuovi risparmi che le banche raccoglievano erano insufficienti per far fronte ai loro impegni, esse richiedevano in misura crescente interventi della Banca d'Italia fino a più che triplicare il loro indebitamento fra il 1930 e il 1932. Nel gennaio 1933 si giunse alla costituzione dell'IRI con il compito di provvedere al risanamento bancario attraverso l'eliminazione dei rapporti esistenti tra banche e industrie e tra Stato, banche e Banca d'Italia. In questo quadro l'IRI rilevò le azioni, i crediti e i debiti industriali delle tre banche di interesse nazionale attraverso convenzioni sottoscritte, oltre che dagli interessati, dall'A., da Beneduce per l'IRI e da Guido Jung quale ministro delle Finanze. Nelle convenzioni le banche si obbligavano ad erogare solo credito ordinario. Per questa via si chiudeva un periodo della vita del sistema creditizio italiano e si creava quello attuale. A coronamento dello smobilizzo operato dall'IRI, nel marzo 1936 fu promulgata la legge bancaria che, fra l'altro, trasformava la Banca d'Italia in istituto di diritto pubblico affidandole il ruolo di banca centrale, oltre a mantenerle quello di istituto di emissione, e creava l'Ispettorato per la difesa del risparmio e per l'esercizio del credito. Con la legge del 1936, universalmente ritenuta una sorta di monumento di carattere legislativo che tutt'ora regola l'attività creditizia in Italia, il governatore della Banca d'Italia, che presiedeva anche l'Ispettorato, diventava il supremo responsabile della politica monetaria e creditizia.Fu compito dell'A. creare le strutture idonee e dare concreta attuazione a questa legge, modellare la Banca d'Italia quale la avrebbe trovata Einaudi quando, nel gennaio 1945, ne divenne a sua volta governatore. In connessione alla emanazione della legge bancaria, l'A. potenziò il servizio studi della Banca chiamandovi a collaborare giovani come P. Baffi, A. Campolongo, A. De Vita, G. Di Nardi, G. Parravicino, G. Pescatore, e assegnò all'Ispettorato del credito alcuni altri giovani che si erano distinti negli studi. Chiese inoltre a G. Mortara, col quale ebbe rapporti di stretta amicizia, una collaborazione nell'organizzazione dell'ufficio studi.
Grazie a queste premesse il servizio studi poté presto diventare il luogo dove si formarono molti dei maggiori economisti italiani, un centro internazionale di dibattito, una sede di indiscusso prestigio scientifico e tecnico. Fra le prime ricerche del servizio studi è da ricordare una rassegna della vita economica italiana svolta con la collaborazione della Banca commerciale italiana dove, sotto la presidenza di R. Mattioli, aveva un ruolo di primo piano U. La Malfa. Nel 1938 furono pubblicati i tre volumi L'economia italiana nel sessennio 1931-1936 che forniscono lo schema di quella poderosa pubblicazione che sarebbe divenuta negli anni la relazione annuale della Banca d'Italia. In questo studio la cronaca e l'analisi dei documenti, degli atti del governo e dell'azione della stessa Banca d'Italia appaiono compilati con accuratezza ed obiettività. Se tali requisiti si devono in primo luogo alla serietà professionale di chi diresse e partecipò al lavoro, va aggiunto che durante l'esecuzione dell'opera l'A. insistette sempre affinché la trattazione fosse eseguita in modo da dare una fonte chiara e attendibile per una storia economica del paese. Egli era infatti convinto che la descrizione imparziale degli eventi avrebbe assicurato maggiore efficacia ad un lavoro esplicitamente destinato ad essere largamente diffuso all'estero, dove si desiderava far conoscere la verità sullo stato dell'economia italiana.
Secondo la legge bancaria, l'Ispettorato per la difesa del risparmio e per l'esercizio del credito avrebbe dovuto agire sotto le direttive di un comitato interministeriale presieduto dal capo del governo. Nella pratica il comitato effettuò pochi interventi di politica creditizia lasciando all'Ispettorato, e quindi all'A. che ne era il maggior responsabile, iniziative e soluzioni. Come più tardi avrebbe rilevato la commissione economica del ministero della Costituente, "l'Ispettorato del credito, organo esclusivamente tecnico nella composizione e non guidato dal parere del Comitato dei ministri, dette … alla propria attività un'impronta nettamente tecnica di vigilanza, ispirandosi a questi criteri anche nell'esplicazione dei poteri discrezionali aventi ripercussioni nel governo della moneta e del credito". L'Ispettorato in ogni campo, anche in materia di nomine ai vertici degli istituti bancari, in particolare delle casse di risparmio, si comportò in maniera autonoma rispetto all'autorità politica.
La storia monetaria degli anni Trenta è segnata dal definitivo abbandono del sistema aureo, da svalutazioni, da deflazioni, dalla restrizione degli scambi internazionali. In Italia, oltre alle vicende già ricordate che portarono alla costituzione dell'IRI ed alla riforma bancaria, vi furono avvenimenti, come la guerra d'Etiopia e la svalutazione dell'ottobre 1936, che avrebbero potuto compromettere la stabilità monetaria. L'A. si comportò in modo da evitare bruschi squilibri all'economia nazionale, già fortemente scossa dalla crisi della prima metà degli anni Trenta e dalla successiva politica di armamento. Nella politica del cambio con l'estero perseguì una strenua difesa della lira che, nonostante le circostanze avverse, si mantenne prossima alla parità fissata nel 1936. Ciò fu possibile perché fino a tutto il 1938 egli riuscì a contenere l'inflazione entro limiti modesti.
Nel 1938 l'A., incurante delle conseguenze alle quali era esposto data la sua posizione, nonostante l'emanazione delle leggi razziali, continuò a ricevere Mortara alla Banca d'Italia e poi si adoperò per facilitargli l'espletamento delle pratiche per emigrare. Insieme con R. Mattioli e G. Stringher, col consenso di Guarnieri, ministro per gli Scambi e le Valute, si impegnò a trasferirgli una somma in valuta e fece rilasciare alla Banca commerciale una attestazione, necessaria per il trasferimento negli Stati Uniti, nella quale si dichiarava che Mortara e la famiglia per vivere non avrebbero avuto bisogno dell'assistenza pubblica. Analogamente si impegnò per fargli ottenere trattamenti di quiescenza superiori a quelli dovuti agli ebrei che furono costretti a lasciare la Banca d'Italia.
Il 1º ag. 1944, l'alto commissario aggiunto per l'epurazione del fascismo, Mario Berlinguer, fece arrestare l'A. con l'imputazione di cui all'art. 5 del decreto legge luogotenziale 27 luglio 1944, n. 159, per aver "posteriormente all'8 sett. 1943 in Roma collaborato con il tedesco invasore, facendo al medesimo la consegna della riserva aurea della Banca d'Italia". Il 14 ott. 1944, a termine di un processo iniziato il 9 ottobre, l'Alta Corte di giustizia, pur non accogliendo la richiesta del pubblico ministero per la pena capitale, lo condannò "alla pena di 30 anni di reclusione e pene accessorie, ai danni verso la parte civile (la Banca d'Italia) da liquidarsi in separata sede e alle spese processuali". Il 28 sett. 1946 la Corte d'appello, in forza del decreto legge del capo provvisorio dello Stato 22 giugno 1946, n. 4, gli concesse l'amnistia. Il 14 febbr. 1948 la Corte di cassazione annullò senza rinvio la sentenza di primo grado perché il fatto non costituiva reato.
La consegna dell'oro, secondo la sentenza della Cassazione, non poteva costituire reato perché l'A., che pure aveva cercato ogni via per nasconderlo, non aveva alcun mezzo per opporsi alle richieste dei nazisti, avendo il re ed il capo del governo abbandonato Roma ed essendo latente il comando militare. Era stato suo merito nella primavera 1944, superando l'opposizione del governo della Repubblica sociale italiana, la restituzione di 23tonnellate d'oro alla Banca nazionale svizzera ed alla Banca dei regolamenti internazionali. Il pagamento del debito aveva avuto il duplice scopo di salvaguardare l'affidabilità dell'Italia sul mercato internazionale e di diminuire le disponibilità auree che i Tedeschi già avevano richiesto ed iniziato a trasportare in Germania.
La condanna, nonostante il successivo annullamento, pesò notevolmente sull'A. negli ultimi vent'anni della sua vita e su un'adeguata valutazione dell'opera da lui svolta quale uno degli artefici del successivo assetto della Banca d'Italia, impedendo di fatto che gli venisse riconosciuto il ruolo di grande servitore dello Stato che, a un'analisi più attenta, indubbiamente ebbe.
Neppure i suoi successori riconobbero pubblicamente il ruolo avuto dall'A. nell'organizzazione e direzione dell'istituto di emissione. Soltanto P. Baffi, molto più tardi, si occupò di lui in due saggi. Nel primo (1973), attraverso il ricordo dei rapporti tra Mortara e l'A., riconosce la competenza tecnica, la dirittura morale e le qualità umane di quest'ultimo, ricordando come "l'Italia prima della libertà conosceva il disastro militare ed il tumultuoso rendimento dei conti del 1944-45, nel quale lo stesso A., per incredibile che oggi sembri, rischiò la vita quale presunto responsabile della asportazione della riserva aurea della Banca d'Italia". Nell'altro articolo (1985), dopo aver ricordato l'opera dell'A. per lo sviluppo del servizio studi, sottolinea come "lagiustizia poneva drammaticamente fine alla carriera di Azzolini".
L'A., che negli anni Trentaaveva ricoperto altri incarichi in campo finanziario, quali quello di presidente dell'IMI, del Consorzio di credito per le opere pubbliche e dell'Istituto di credito per le imprese di pubblica utilità, non si reinserì attivamente nella società italiana del dopoguerra perché profondamente colpito dalla vicenda giudiziaria, ma anche perché non era uomo di parte bensì un tecnico, un funzionario pubblico che, grazie alle sue doti ed alle sue capacità, partendo dal livello iniziale, era arrivato ai vertici dello Stato. Nel 1955 accettò la presidenza della Spafid, una società per l'amministrazione fiduciaria creata dalla Mediobanca, e della Cofina del gruppo La Centrale.
L'A. morì a Roma il 2 ag. 1967.
Uomo d'azione, l'A. ha lasciato pochi scritti: Bonaldo Stringher, Venezia 1931; La stabilizzazione della lira e la politica finanziaria, in Dal Regno all'Impero, Roma 1937, pp. 441-458; La politica monetaria e creditizia del regime, numero unico della Rivista illustrata del Popolo d'Italia, XVIII (1939); L'attività economica e finanziaria nel 1938, in Scienza e tecnica, III (1939), pp. 229-240; I riflessi della guerra sui fenomeni della moneta e del credito, in Riv. bancaria delle assicurazioni e dei servizi tributari, XXIV (1943), pp. 53-65.
Fonti e Bibl.: L'ufficio ricerche storiche della Banca d'Italia conserva un suo Curriculum vitae e una memoria di G. Mortara, Per V. Azzolini, scritta a Rio de Janeiro, 27 ag. 1946. V. inoltre: La nomina di A. a governatore della Banca d'Italia, in Corriere della sera, 11 genn. 1931; A. Il processo per l'oro ai tedeschi, Roma s.d. (ma 1946); Vis, Il processo dell'oro. Come i tedeschi hanno preso l'oro d'Italia. L'accordo Hitler-Mussolini. Cronistoria degli avvenimenti e del processo Azzolini, Roma s.d. (ma 1946); P. Baffi, G. Mortara e la Banca d'Italia, in Nuovi studi sulla moneta, Milano 1973, pp. 126-137; Banca e industria fra le due guerre, I-III, Bologna 1981, pp. 221, 400, 436; G. De Angelis, La politica monetaria e creditizia e i rapporti con l'estero, in Annali dell'economia italiana, VIII, (1930-1938), 1, Milano 1983, ad Indicem; L. Rasi, La politica economica e i conti della nazione, ibid., IX, (1939-1945), 1, Milano 1983, ad Indicem; P. Baffi, Via Nazionale e gli economisti stranieri 1944-1953, in Riv. di storia economica, n.s., II (1985), pp. 2, 4.