BARSIO, Vincenzo (Vincentius Barsius Mantuanus, Vincentius Mantuanus)
Nacque a Mantova probabilmente nel 1490 o 1491 e compì i primì studi "sub Alexandro Rhodophylo, non incelebri grammatico", che certo gli fu anche guida nei suoi primi lavori letterari. A questo periodo infatti, come egli stesso scrive dedicando l'edizione parmense dell'opera al marchese Federico II Gonzaga, risale la composizione del poemetto Silvia, in tre libri, "opusculum amoenuin profecto ac peramabile... cuius omnis lepidissima de amore habetur materia".
Secondo il Mazzuchelli (p. 426) esso fu stampato la prima volta a Mantova a spese di Isabella d'Este nel 1516 (il fatto sarebbe anche notevole perché non si ha notizia di altre stampe fatte eseguire in Mantova dalla marchesa: cfr. D. E. Rhodes, A bibliography of Mantua, in La Bibliofilia, LVIII [1956], pp. 161 n. 1, 165) e, benché di tale edizione non si conosca oggi nessun esemplare, è certo che nel periodo immediatamente successivo a tale data, e almeno in sede locale, essa ebbe una qualche diffusione. Infatti, in una lettera diretta "Hieronymo Quercenti", del 10 ott. 1519, stampata nell'edizione parmense dell'opera, il B. voleva che si gettassero alle fiamme quei "tres Silviae libros", in quanto "nonduin incudi summissos", e così pure ogni altro scritto (a noi ignoto), stampato fino allora a Mantova i in forma tam magna quam parva".
Del poemetto curò egli stesso una nuova edizione a Parma "formis Francisci Ugoleti" nel 1519, inserendolo in un volume in cui è preceduto da un'egloga, Pamphilus, dedicata al medesimo Gonzaga, e seguito da due altri suoi lavori, intitolati Alba e Labyrintus (tutte queste opere, ad eccezione delle dediche e della lettera citata sopra, cioè delle parti in prosa, sono ristampate tra i Carmina illustrium poetarum Italorum, XI, Florentiae 1726, pp. 253-360).
Intanto era entrato nell'Ordine carmelitano e, come scrivono gli storici dell'Ordine, si era addottorato in teologia alla Sorbona secondo alcuni, a Bologna, come forse è più probabile, secondo altri egli stesso, nella dedica della Silvia citata, scrive di avere studiato teologia con Angelo da Brescia e con Battista Spagnoli, del quale anzi diventò allievo nel senso ampio del termine. Questa nuova condizione di vita sembra riflettersi nella Silvia (ed. 1519), dove il B. ci ha lasciato il noto ritratto dello Spagnoli ormai vecchio: "Parvulus ecce senex baculo qui sustmet artus / obviat... * (lib. III, in Carmina..., p. 281), e più ancora nell'Alba, che è un poemetto in quattro libri, dedicato il 6 ott. 1518 a Luigi Alessandro Gonzaga, figlio di Rodolfo (cfr. I. Affò, Vita di Luigi Gonzaga detto Rodomonte, Parma 1780, p. 19, e P. Litta, Famiglie celebri italiane. Gonzaga di Mantova, Milano 1835, tav, XVII), dove è anche più frequente il ricordo del maestro chiamato con l'appellativo bucolico di "Faustus" (v. specialmente in Carmina..., pp. 295-296).
Nei due poemetti, in cui l'imitazione virgiliana è dichiarata e pedissequa, il B. canta le lodi di Mantova e della famiglia Gonzaga e frequentissime sono le allusioni storiche e biografiche, che attendono di essere interpretate. La critica infatti sembra restia ad occuparsi dell'opera del B., forse anche a causa dello stile non raramente faticoso e contorto, che già di per sé poco invita alla lettura di pagine, in cui motivi diversi ed eterogenei (pastorali, mitologici, storici, filosofici, teologici) sembrano, almeno a prima vista, scarsamente fusi tra loro.
Di tono più spigliato le nove poesie che formano il Labyrintus, pure compreso nell'edizione del 1519 e dedicato a Giorgio Anselmi, benché alcune di esse siano indirizzate a persone diverse. L'ultirna in particolare (Ad Georgium Anselmum. Threnos) è degna di nota, perché, scritta forse a Parma, sembra accennare chiaramente a uno stato di esilio, in cui il B. si sarebbe trovato a motivo dei suoi versi: "Carmina livorem pariunt, dant carmina dirum exilium, praestant carmina multa necem. Carmina bella movent, me me mea carmina pellunt urbe, sonante tuba laeta per arva Padi. Gaudeat undipotens profugo mea Mantua nato, 1 tu cape moeroris ultima scripta mei" (Carmina..., p. 360).
A Mantova comunque lo ritroviamo negli anni successivi, in cui però il culto delle muse sembra lasciare maggiore posto alla predicazione e allo studio della filosofia e dei sacri canoni. Del 1521, Come annota il Mazzuchellì (p. 426), èuna sua epistola al card. Sigismondo Gonzaga in lode delle Conciones quadragesimales (Venezia 1523) dell'agostiniano Ambrogio Flandino, vescovo ausiliare di Mantova e acerrimo oppositore del Pomponazzi. Ma ciò non impedirà che alla morte del filosofo il B. pubblichi un'Elegia, in cui, al di là del tono encomiastico ("Non ego Pyrrhetum permutem Socratem, laetus / quod me Pyrrheti saecula protulerint"), sembra manifestarsi per lo scomparso una sincera ammirazione ("Ecce vacat dudurn moerens academia, nec qui / audeat, apparet, continuare scholam"), congiunta a motivi di personale gratitudine che ben si spiegherebbero in un discepolo affezionato ("Qui fiendus quamvis decesserit omnibus, ille flebilior nulli quarn mihi forsan erit". "Hoc duce rimabar securior abdita rerum. et poteram astrigeros hoc duce nosse polos. / Is mihi scriptorum, tanti fuit ingenium acre, / monstrabat certam per genus omne viam"). E perciò la sua difesa dell'ortodossia religiosa del maestro: "Non animain periisse Petrus post corpus inane / censet, et exemptae non negat esse locum".
L'Elegia fu pubblicata in un opuscolo di quattro carte (Venerandi Cartnelitani Vincentii Barsii Mantuani philosophi in praestantissimi artium medicinaeque doctoris d. Petri Pomponatii Mantuani obitu elegia, Bononiae, per Hieronyrnum de Benedictis, 1525), che, come quasi tutte le edizioni antiche del B., sembra essere oggi assai raro (una copia alla Bibl. Ap. Vaticana, R. I., IV, 1710, ig), e perciò essa non è stata ricordata tra le opere del Barsio. Dell'opuscolo va detto ancora che, probabilmente per non lasciare pagine bianche alla fine, l'autore vi inseri un epigramma ad Altobello Averoldi, vescovo di Pola, e uno a Gerolamo Casio de' Medici.
L'anno dopo, cioè nel 1526, per iniziativa del B. usciva a Venezia una nuova edizione del commento "super quatuor Sententiarum libros" di John Baconthorp (descritta da B. F. M. Xiberta, De magistro Ióhanne Baconthorp, o. Carm., in Analecta Ordinis Carmelitarum, VI [19271, pp. 54 s.).
La severità degli studi e delle mansioni a cui il B. attese in questi anni non smorzò peraltro la sua giovanile inclinazione alla poesia.
Nel 1524, oltre a una nuova edizione della Silvia (che viene ricordata dal Mazzucchelli, p. 426, ma messa in dubbio dal Prati), il B. pubblicò infatti a Bologna, "per Hier. de Benedictis", un opuscolo di 32 carte, in cui a un poemetto, Insubria, che solo figura nel titolo, segue un Elegiarum libellus che, analogamente al Labyrintus, è formato di componimenti vari, indirizzati a persone diverse, tra cui naturalmente sono molti membri della famiglia Gonzaga. L'Insubria che, al pari del Libellus, è dedicata a Ercole Gonzaga, "ha per argomento la battaglia di Marignano e gli altri fatti d'arme che si svolsero nell'Italia superiore per opera di Francesco I, inteso alla riconquista del Milanese, prima della battaglia di Pavia" ([C. Frati], in nota a C. Ferrarini, Uno stampatore mantovano poco noto dei primordi del ''500 (Francesco Bruschi), in La Bibliofilia, XXVIII (1926- 1927, 1, p. 345 n.).
L'opuscolo è tanto raro che, prima della segnalazione del Frati, che illustrò un esemplare della Biblioteca Univ. di Bologna (un'altra copia è a Londra: cfr. Short-title catalogue of books printed in Italy and of Italian books printed in other countries from 1465 to 1600 now in the British Museum, London 1958, p. 73), si ignorava l'esistenza anche di queste opere. Non si può escludere tuttavia che nell'Insubria sia da riconoscere l'opera (che si riteneva perduta), a cui il B. allude nei primi versi del De Betigallico conflictu libellus, uscito a Bologna, "in aedibus C. Achillini", nel 1526: "Sequanìcos memorasti olini quae Diva tumultus 1 bellaque cum Latii populis commissa, canentem 1 rursum Diva mone...". In questo secondo poemetto il B., che spiega il suo attaccamento alla Francia con i benefici ricevuti dai carmelitani in quella terra, deplora "illam stragem, immo totius Galliae ruinani", che ebbe luogo con la battaglia di Pavia. Così egli si esprime nella lettera di dedica "ad Illustriss. Comitem Hieronymum Ruveram", con il quale, come si è visto, era in relazione fin dal 1519. Precede, nella stampa, un epigramma di Alessandro Rodofìlo, l'antico maestro, a cui il B. rimaneva legato da sentimenti di stima, come prova anche la presenza di un suo carmen all'inizio della Silvia, che il Rodofilo pubblicò in morte del card. Sigismondo Gonzaga, a Bologna, "per Hier. de Benedictis", 1525.
Ancora devono essere esaminate le lettere del B., conservate all'Archivio di Stato di Mantova (Faccioli, II, p. 409), una delle quali, del 1529, sembra rappresentare l'ulúma testimonianza sicura che abbiamo di lui.
Bibl.: C. de Villiers, Bibliotheca Carmelitana, exprim. r. G. Wessels, II, Romae 1927 ( = Aurelianis 1752), Col. 863; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 1, Brescia 1758, pp. 425 s. (in entrambi i repertori è data la bibliografia precedente); E. Carrara, La poesia pastorale, Milano s. d. [ma 1909], pp. 266 s.; L. Saggi, La congregazione mantovana dei carmelitani sino alla morte del b. Battista Spagnoli Cisi, Roma 1954, pp. isi s.; E. Faccioli, Mantova. Le lettere, I, Mantova 1959, pp. 95 s., 99, 138; 11, ibid. 1962, pp. 158, 160, 194, 196, 385, 409, 414.