BICHI, Vincenzo
Nato a Siena il 2 febbr. 1668 da Metello, marchese di Rocca Albegna, fu destinato, ancora fanciullo, alla carriera ecclesiastica e affidato sin dal 1677 alle cure e alla protezione dello zio Carlo Maria Bichi, vescovo di Soana e cardinale, il quale lo chiamò presso di sé a Roma e lo fece studiare dapprima presso i gesuiti del Collegio Romano, poi con i somaschi nel Collegio Clementino. Si addottorò quindi a Roma in diritto civile e canonico. Alessandro VIII gli concesse nel 1691 l'ufficio di chierico della Camera apostolica e Innocenzo XII lo scelse come proprio prelato domestico; fu anche membro della Camera dei conti e della Congregazione dei Nobili. Clemente XI, finalmente, lo creò l'11 dic. 1702 arcivescovo di Laodicea e il 16 maggio 1703 lo inviò nunzio in Svizzera.
La nunziatura svizzera del B. è caratterizzata dalla sua partecipazione alle contese tra i cantoni cattolici e quelli protestanti, specialmente in occasione della controversia relativa ai diritti di signoria territoriale dell'abbazia di S. Gallo, nella quale egli contribuì ad ottenere ai cantoni cattolici l'appoggio dell'imperatore Giuseppe I. Perciò, quando Clemente XI, il cui atteggiamento favorevole a Filippo di Borbone nella questione della successione di Spagna aveva inimicato alla S. Sede l'imperatore e l'arciduca Carlo, temendo un'iniziativa asburgica contro lo Stato pontificio, si rivolse ai cantoni cattolici per ottenere, tramite lo stesso nunzio, il reclutamento di un contingente di fanterie, il B. appoggiò i cantoni cattolici nel loro rifiuto, sia perché non venisse meno ad essi l'appoggio imperiale, sia per non privarli di milizie tanto più necessarie quanto più si faceva aspra la controversia con i cantoni protestanti. Il pontefice cedette infine agli argomenti del B. e rinunziò al progetto.
Designato nunzio in Portogallo il 27 sett. 1709, il B. abbandonò la nunziatura svizzera il 2 dicembre dello stesso anno e fece per breve tempo ritorno a Roma, donde partì per Lisbona nell'ottobre 1710. Il suo contegno durante la sua lunga permanenza in Portogallo fu tutt'altro che esemplare e sollevò un larghissimo risentimento nel clero portoghese, specialmente regolare, con innumerevoli abusi nella concessione degli indulti. Le lamentele giunsero sino alla Congregazione dei Vescovi e allo stesso pontefice, e il B. dovette recarsi a Roma per tentare di giustificarsi. Severamente ammonito a non pregiudicare la dignità della S. Sede con la ricerca smodata di emolumenti, poté ritornare a Lisbona, ma il suo contegno non cambiò e anzi giunse a tal punto di indifferenza e di disobbedienza verso gli ordini e le istruzioni del pontefice e delle congregazioni romane che Clemente XI dovette rassegnarsi a trattare gli affari portoghesi attraverso l'auditore della nunziatura di Lisbona, scavalcandolo. Sembra anche che si proponesse al papa di annullare con un breve tutti gli indulti concessi dal B., ma Clemente XI finì per rinunziare all'iniziativa per non rendere ancora più clamoroso lo scandalo e per evitare spiacevoli controversie con la corte portoghese.
L'ostilità della Curia e, d'altra parte, l'interessata protezione della corte portoghese fecero poi del B., per circa un decennio, il protagonista di una controversia che sembrò insanabile tra il re del Portogallo, Giovanni V, e i pontefici che si succedettero da Clemente XI a Clemente XII. Quando, infatti, la S. Sede mostrò di voler porre termine alle contese disciplinari con il B. richiamandolo dalla nunziatura, il re avanzò la richiesta che al nunzio fosse concessa, al ritorno a Roma la dignità cardinalizia: la corte di Lisbona intendeva così costituire un precedente che permettesse in futuro di ottenere dalla S. Sede il riconoscimento del grado di prima classe per la nunziatura portoghese, al pari di quelle di Madrid, di Parigi e di Vienna, ai titolari delle quali, cessata la missione, era tradizionalmente riservata la porpora. Era questo, naturalmente, un segno di omaggio della S. Sede ai maggiori sovrani d'Europa, ed era anche il riconoscimento dell'importanza della missione assolta dai nunzi: proprio questi motivi impedirono però a Clemente XI e ai suoi primi successori di accogliere la richiesta, sia per le ampie riserve che la Curia faceva sui meriti del B., sia perché l'estensione al Portogallo di tale privilegio avrebbe potuto sollevare le proteste spagnole, francesi e imperiali, e suscitare analoghe pretese da parte delle altre minori corti europee.
Il conflitto diplomatico tra Lisbona e Roma si aprì nel 1719, allorché Giovanni V comunicò alla S. Sede la propria decisione di non permettere che il nunzio abbandonasse il paese se il papa non si fosse impegnato ad elevarlo alla porpora. Clemente XI replicò nel settembre dell'anno successivo richiamando il B. e nominando alla nunziatura di Lisbona il napoletano G. Firrao. Il re mantenne però la propria posizione e né il B. poté tornare a Roma, né il Firrao poté prendere possesso della carica. La situazione non cambiò dopo l'elezione al pontificato di Innocenzo XIII, il quale nel maggio del 1721 confermò come nunzio il Firrao e rifiutò di piegarsi alle pretese portoghesi anche quando il re minacciò di interrompere le relazioni diplomatiche. Il governo portoghese, a sua volta, continuò a considerare nunzio il B. e a rifiutare il Firrao, respinse la lettera inviata al re dal Sacro Collegio per comunicargli la morte di Innocenzo XIII e una nuova lettera di Benedetto XIII comunicante la propria elevazione. Fu proprio, però, il papa Orsini, sempre preoccupato di temperare le controversie che agitavano il mondo cattolico, a tentare una conciliazione, impegnandosi nel settembre del 1725 a concedere la porpora al B. se questi avesse obbedito all'ordine di tornare a Roma. Poiché questo fatto non si verificò per l'intransigenza di Giovanni V, Benedetto XIII si rifiutò ad ogni ulteriore cedimento, tanto più che alle pressioni del cardinale portoghese Giuseppe Pereyra de Lacerda si contrapponevano quelle di una parte cospicua del Sacro Collegio capeggiata dall'ambasciatore francese, cardinale di Polignac, e dallo stesso cardinale segretario di stato Lercari, i quali sottolineavano l'inopportunità di premiare con la dignità cardinalizia l'ostinata disobbedienza del Bichi. Finalmente, nell'estate del 1728, il governo portoghese mise in atto le rappresaglie già minacciate da qualche anno: ordinò che tutti i sudditi portoghesi lasciassero Roma, chiuse la nunziatura di Lisbona e proibì sia al clero sia ai laici portoghesi di mantenere rapporti diretti con la S. Sede. Queste misure indussero l'anno successivo Benedetto XIII, con un breve del 3 dicembre, a richiedere la mediazione di Filippo V per comporre la vertenza, ma ogni compromesso fu rifiutato anche questa volta da Giovanni di Braganza. Toccò finalmente a Clemente XII, preoccupato dalle gravi conseguenze determinate nella Chiesa portoghese dall'annoso contrasto, rassegnarsi a cedere completamente, impegnandosi nell'autunno del 1730 a promuovere il Bichi.
Il B. finalmente, nella primavera dell'anno successivo, fece ritorno in Italia, dotato da Giovanni V di 4.000 cruzados per affrontare le spese dell'investitura; a Firenze fece un formale atto di obbedienza al papa, giustificandosi della sua lunga disobbedienza, e finalmente, nonostante l'opposizione dei cardinali zelanti, fu creato cardinale con il titolo di S. Pietro in Montorio nel concistoro del 24 sett. 1731 Giovanni V gli assegnò una nuova gratifica di 25.000 cruzados al principio dell'anno successivo ed il B. poté prendere possesso della carica con ostentata magnificenza. Clemente XII lo chiamò a far parte delle congregazioni del Concilio, di Propaganda Fide e dei Vescovi e Regolari. Il 16 sett. 1737 il B. optò per il titolo di S. Lorenzo in Panisperna. Benedetto XIV gli assegnò nel settembre del 1743 il vescovato di Sabina e quattro anni dopo quello di Frascati. Morì a Roma l'11 febbr. 1750.
Bibl.: F. de Almeida,Historia da Igreja em Portugal, III, 2, Coimbra 1915, pp. 92-103, 706; L. von Pastor,Storia dei papi, XV, Roma 1933, pp. 440, 441, 548-554, 649, 716, 717, 719; H. Kramer,Der Werbungsversuch der Kurie in der Schweiz im Jahre 1708, in Zeitschrift für Schweizerische Geschichte, XIV(1934), pp. 30-37.