BUONVISI, Vincenzo
Nacque a Lucca nel giugno del 1500 da Benedetto e da Filippa di Martino Cenami. Morì a Lione dopo il 1572 e prima del 1576, probabilmente nel 1573.
Ultimogenito, venne educato a Lucca, almeno fino al dodicesimo anno, dal precettore Leonardo da Camaiore, e venne poi avviato alla mercatura all'estero, in una data prossima a quella della morte del padre (1516). Era a Bruges l'8 nov. 1520 quando sottoscrisse l'accettazione della sua quota-parte del patrimonio immobiliare paterno consistente in beni a Lucca, Carignano, Torre in Val Freddana, Segromigno, ecc., per un valore di 4.817 ducati.
Ad essi andavano aggiunti i 2.500 ducati a cui ascendeva la sua parte dei beni rimasti indivisi. La rendita annua del patrimonio immobiliare del B. era di 715 staia di grano, 188 some di vino, 239 libbre d'olio e 32 ducati d'oro, ma poiché, secondo l'accordo stretto fra i quattro figli di Benedetto, ciascuno avrebbe dovuto contribuire alle spese per il mantenimento del palazzo Buonvisi, anche il B. si limitò a percepire annualmente 80 ducati d'oro prima dal fratello Martino e poi dal fratello Ludovico, che si erano assunti l'incombenza di gestire tutto il patrimonio immobiliare della famiglia. Il B. inoltre, rimasto quasi sempre a Lione, affidò ai due fratelli maggiori il compito di amministrare i capitali investiti per suo conto nelle compagnie dei Buonvisi o dei loro corrispondenti e collegati di Lucca, Anversa, Napoli e Palermo. Nell'agosto del 1549, durante un soggiorno a Lucca, il B. regolò le sue pendenze nei confronti del fratello Ludovico, di cui era debitore di 4.471scudi, cedendogli a saldo "la sua parte della casa, menaggi, stalle et horto, argenterie già lassate per indiviso et altri de' suoi beni stabili", con patto di retrocessione. Nel settembre del 1560 il B.riacquistò per 2.750scudi la sua quarta parte del palazzo Buonvisi, ma rimase escluso da qualsiasi diritto sulla casa, già dei Cenami e poi di Francesco Gabrielli, che nel luglio dello stesso anno gli eredi di Ludovico e di Martino avevano acquistato per 4.600scudi per ampliare il palazzo e procedere poi ad una sua definitiva suddivisione in due parti: lasciando eredi per la metà i figli di Martino e i figli di Ludovico, il B. sancì poi questa bipartizione dell'antico palazzo Buonvisi e di quasi tutto il patrimonio fondiario e immobiliare costituito da Benedetto, perché anche la parte di Antonio, lasciata per 1/3ciascuno al B. e ai figli degli altri due fratelli, finì per confluire nelle mani degli eredi di Ludovico e Martino.
Dopo il breve soggiorno in Fiandra il B. si stabilì a Lione nel terzo decennio del Cinquecento e nella città del Rodano fissò la sua definitiva residenza. I suoi soggiorni a Lucca furono tuttavia abbastanza frequenti: nel settembre-ottobre 1529 ricoprì il suo unico anzianato, nel 1531 rientrò precipitosamente da Lione per affrontare insieme con i fratelli la grave crisi del moto degli Straccioni; era ancora a Lucca nel 1533 quando fu ambasciatore a Firenze presso Alessandro de' Medici; nel 1534 rientrò da Lione in compagnia di Ortensio Lando; nel 1543 fu ambasciatore a Genova presso Carlo V con Iacopo di Battista Arnolfini; a Lucca, era nuovamente nell'estate del 1549; nel febbraio del 1553 effettuava, ancora a Lucca, una permuta di beni.
Nessuna delle compagnie Buonvisi si intitolò al B., ma la compagnia di Lione, la più importante del sistema di aziende della famiglia, rimase nelle sue mani per circa un quarantennio. Ad esempio, egli era direttore della "Antonio, Ludovico Buonvisi e C." intorno al 1550; fu socio e direttore (con Benedetto Calandrini) della società del 1554-59 e della società del 1559-65 (quando erano con lui a capo della ditta i nipoti Bernardino e Girolamo Buonvisi). Per ragioni che non ci sono note, ma che potrebbero esser legate alle simpatie del B. per le idee della Riforma, il suo nome scomparve dall'elenco dei soci della compagnia lionese apertasi nel 1564: da quest'anno e fino alla morte, almeno stando ai documenti ufficiali, il B. non ebbe più alcun rapporto con le compagnie della famiglia. Egli era stato socio, fra l'altro, della compagnia del banco di Lucca "Eredi di Ludovico, Benedetto Buonvisi, Michele Diodati e C." del 1561-64 e della compagnia dell'arte della seta "Alessandro Buonvisi, Alessandro di Michele Diodati e C." di Lucca del 1559-64. Il B. era stato interessato anche alla compagnia di Anversa: così nel 1545 gli vennero accreditati 500 scudi per le spese fatte "in andare, stare e tornare d'Anversa", non sappiamo se da Lione o da Lucca, e nel 1549 partecipò alla "Ludovico Buonvisi, Michele e Girolamo Diodati e C. di Anversa" con 1.000 scudi che gli vennero anticipati al 6,5% dal fratello Antonio.
Nonostante le scarse tracce che delle attività commerciali e bancarie del B. ci sono rimaste, pare certo che egli sia stato, attorno alla metà del secolo, il più autorevole dei mercanti lucchesi della colonia lionese: fu lui, il 12 ag. 1555, a prestare 112.500 libbre alla corona di Francia, al di fuori, inizialmente, del "Grand Parti"; lo stesso anno organizzò, con altri mercanti lucchesi, l'invio in patria di un grosso quantitativo di grano; nel 1557 quando i banchieri del "Grand Parti", preoccupati dalla lentezza dei rimborsi, inviarono una delegazione a Milan Caze, "receveur général des emprunts", il B. fu dei quattro mercanti prescelti; la lettera con la quale i mercanti lucchesi di Lione davano assicurazione alla Signoria, sia pure un po' vagamente, che avrebbero evitato ogni contatto con gli eretici - come era stato loro richiesto nel 1561 - recava per prima la firma del Buonvisi.
Priva di qualsiasi appiglio documentario è l'asserzione, pur ripetuta, che il B. sia stato un letterato. In realtà la frequenza con cui il suo nome ritorna nelle opere di Giovanni Guidiccioni, Ortensio Lando, Antonfrancesco Doni e Bernardo Tasso pone in una luce particolare l'unico dei Buonvisi nella cui vita sia dato cogliere, sia pure indirettamente, un'inquietudine che non emerge dalle biografie dei suoi fratelli e dei suoi parenti.
Coetaneo di Giovanni Guidiccioni, nipote dell'omonimo uomo politico lucchese legato a Benedetto Buonvisi, strinse con il futuro vescovo un'amicizia giovanile destinata a restar viva fino oltre il quarto decennio del secolo. Al B. il Guidiccioni dedicò buona parte dei suoi sonetti politici composti intorno al 1530per lamentare le sventure d'Italia, nonché la lettera che il Guidiccioni premise nell'anno 1533 alla edizione dell'Orazione sulla pace di Claudio Tolomei. In una città che "con pietosa voce chiede sostegno a' buoni", il B. avrebbe potuto, "tornando" dalla mercatura, "dare la maturità" dei suoi anni "alla cura della nostra Repubblica". Un motivo che era già presente nel Discorso ainobili di Lucca dello stesso Guidiccioni, in cui si esortavano i più anziani a dedicarsi soltanto al governo della cosa pubblica, lasciando ai più giovani l'esercizio della mercatura.
Proprio nel Discorso ai nobili di Lucca (immaginariamente riferito all'epoca della rivolta degli Straccioni, ma certamente steso post factum) il Guidiccioni ha condensato i suoi più vivaci motivi di polemica contro i mercanti dell'aristocrazia lucchese e contro la cecità della loro politica nei confronti del popolo. Se nel Discorso i Buonvisi non sono mai nominati, è certo diretta contro di loro l'avvertenza di non confidar troppo "in quella villesca milizia vostra", cioè in quel "nuovo ordine militare" che aveva loro consentito di reprimere il moto degli Straccioni nel 1532 con la forza d'un piccolo esercito raccogliticcio del contado. Alla repressione della rivolta il B. aveva partecipato in prima persona rientrando appositamente da Lione, e la mancata pubblicazione, per evidenti ragioni di prudenza, del Discorso del Guidiccioni nulla toglie al significato della dedica al B., nel 1533, della Orazione del Tolomei: l'unica via realistica per provocare in Lucca un mutamento di indirizzo politico e sociale passava evidentemente attraverso la speranza di persuadere i maggiori esponenti dell'aristocrazia a un miglior uso di un potere che era vano porre in discussione.
È questa insistenza del Guidiccioni nel suo appello al B. che può legittimare l'ipotesi d'una più viva sensibilità di costui, rispetto ai suoi fratelli, non tanto alle lettere, quanto ai problemi e agli ideali politici e morali sepolti ma non soffocati dalla grettezza della vita lucchese.
Una conferma di questo atteggiamento sembra venire dalla denuncia che quasi vent'anni più tardi, nel 1551, un cittadino lucchese presentava a carico del B. e di Francesco Micheli: a Lione i due avevano cominciato a "vivere et se tractare contra bonos mores et laudabiles consuetudines Sancte Romane Ecclesie". Se si tien conto che il Micheli fuggì poi a Ginevra abbracciando la religione riformata, la ritrattazione dell'accusatore, che si disse poi mosso da motivi d'interesse, desta più d'un sospetto; probabilmente egli aveva pensato d'avvalersi a fini privati d'una voce corrente negli ambienti lucchesi di Lione.
Ma il B., che fu il primo firmatario dell'evasiva risposta dei mercanti lucchesi a Lione alla richiesta della Signoria di troncare ogni rapporto con gli eretici, non giunse mai alla rottura aperta con la famiglia e con il mondo lucchese, né sul piano politico, né sul piano religioso, limitandosi a una condotta di vita (mancato rientro in patria, figli illegittimi, tardivo matrimonio con una francese) che, se contrastava con il tacito "modello" che si imponevano i patrizi lucchesi, non può esser vista necessariamente come un atto di sfida nei confronti della patria e della famiglia.
A Lione il B. incontrò nel 1534 Ortensio Lando, conducendolo successivamente a Lucca, dove lo scrittore rimase per qualche tempo ospite della famiglia. Il Lando non risparmiò nelle sue opere gli elogi dei Buonvisi e in particolare del B., il quale fece probabilmente conoscere al Lando l'Utopia di Thomas More - amico e protetto di Antonio Buonvisi - che egli tradusse e trovò in certo modo congeniale al suo temperamento tanto da trarne lo pseudonimo di "Philaletes de Utopia". L'edizione veneziana della traduzione dell'opera del More eseguita dal Lando venne presentata da quell'Antonfrancesco Doni che al B. dedicò uno dei suoi Cicalamenti della Zucca e degli Inferni. Gli elogi o le dediche dell'Alamanni, di Bernardo Tasso, del medico lucchese G. B. Donati non lasciano dubbi sull'esattezza del giudizio di Giovan Michele Bruto sul B., "homo amplissimus et dignitatis summae". Ma al di là degli slanci mecenatistici, al di là dell'inquietudine che sembra trapelare da qualche momento della sua biografia, il B. restava un mercante, e perciò stesso oggetto non nominato della polemica dei suoi amici letterati, e talora anche del loro sarcasmo. Così il Lando, pessimo novelliere, ma scrittore satirico di indubbie capacità, nell'esaltare le virtù di una immaginaria Zenobia de' Buonvisi, invano richiesta in sposa da un banchiere fiorentino che prestava a usura con "ingordo" guadagno, bollava i Buonvisi nella persona del padre di Zenobia: "odiava costui maravigliosamente sì abominevole essercizio, sì come anche a' nostri tempi fa la maggior parte dei Lucchesi".
Le ultime volontà del B., che ci sono note attraverso più di un testamento e attraverso una dichiarazione autografa consegnata a Michele Diodati (il B. era stato costretto, perché i suoi beni non fossero molestati in Francia, a nominare eredi i nipoti Girolamo e Bernardino Buonvisi, gli unici ad aver lettere di naturalità), confermano la sua finale adesione ai canoni non scritti cui si ispirava il patriziato lucchese.
Mario Buonvisi, suo figlio "bastardo", era escluso dall'eredità che toccava in parti eguali ai figli dei fratelli Martino e Ludovico; avrebbe avuto un lascito di 5.000 scudi, che tuttavia sarebbero stati amministrati dagli eredi; una piccola casa a Lucca; beni stabili nel contado "parte in monte e parte in piano" che rendessero annualmente 100 staia di grano e 40 some di vino; e infine una parte del "menagio ho in Lione", ma a patto che prendesse in moglie una lucchese: una clausola tanto più significativa se si considera che il B. per parecchi anni non si era sposato e aveva finito per unirsi a una francese.
Le due figlie illegittime Virginia e Aurelia, che il B. aveva condotto a Lucca fin dal 1550, vennero sposate la prima a Cesare Sbarra, la seconda a Baldassarre Cittadella: entrambi collaboratori delle aziende Buonvisi. Il Cittadella e lo Sbarra avrebbero ereditato anche una parte dei "menaggi" della casa di Lione, e si sarebbe dovuto continuare ancora per un anno dopo la morte del B. a dar loro "grano e vino" come era solito "farne dare da un tempo in qua... e pagarli anco per il medesimo tempo li aloggi delle case tengano in Lucca".
Si può riconoscere Mario di Vincenzo nel "Marco Buonvisi" che nel 1574 compare in un elenco fiscale di Marsiglia, dove sarebbe stato ammesso alla cittadinanza nel 1571: il 7 dic. 1571 venne infatti notificata alla Corte dei mercanti di Lucca la costituzione di una "Compagnia di negotii mercantili per essercitarsi in Marsiglia sotto nome di Mario Bonvisi e Compagni", diretta dal B. e da Benedetto Fiorentini di Camaiore, un mercante che sappiamo in relazione col B. fin dal 1560. La società di Marsiglia doveva durare cinque anni e aveva l'ingente capitale di 50.000 libbre tornesi.
Rientrato a Lucca e sposatosi, secondo i desideri del padre, con Isabetta di Vincenzo Diodati nel 1576, Mario Buonvisi fu poi socio della compagnia del banco di Lucca "Eredi di Ludovico, Benedetto Buonvisi, Michele Diodati e C." del 1580-85, e della stessa ditta degli anni 1586-1590; fu socio della compagnia dell'arte della seta di Lucca "Alessandro di Michele, Nicolao Diodati e C." del 1578-82 e della "Paolo e Bernardino Buonvisi e C." dell'arte della seta di Lucca apertasi nel 1588 per 4 anni e poi prolungata fino al maggio 1596. Nel 1599 il suo patrimonio venne valutato in 21.000 scudi e nel 1606 in 29.000: cifre certo non modeste ma largamente inferiori a quelle dei cugini Buonvisi di legittimi natali.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Lucca, Anziani al tempo della libertà, n. 766, p. 195; Ibid., Comune,Corte dei Mercanti, n. 87 (Libro delle date), cc. 29v-30, 48-49 (banco di Lione), 45v-46v, 178 (botteghe della seta di Lucca), 55 (banco di Lucca); n. 88 (id.), pp. 22-23, 49v-50 (banco di Lucca), 67v, 151 (bottega della seta di Lucca); n. 87, c. 136 (Marsiglia); Ibid., Arch. Buonvisi, I, 64, ins. 2; ins. 6 (ultime volontà del B.); G. Guidiccioni, Opere, a cura di C. Minutoli, Firenze 1867, I, passim;Id., Orazione ai nobili di Lucca, a cura di G. Dionisotti, Roma 1945, pp. 25, 33, 38, 111, 114, 116; Lucca, Biblioteca governativa, ms. 1108: G. V. Baroni, Notizie genealogiche delle famiglie lucchesi (sec. XVIII), passim; T.Trenta, Memorie per servire alla storia politica del cardinale Francesco Buonvisi patrizio lucchese, Lucca 1818, I, pp. 242-246; G. Lucchesini, Storia letteraria di Lucca, in Memorie e documenti per servire all'istoria del ducato di Lucca, IX (1825), pp. 136 s.; O. Lando, Novelle, a cura di S. Bongi, Lucca 1851, pp. XL-XLI, 3 ss.; S. Bongi, Storia di Lucrezia Buonvisi, Lucca 1864, p. 153 (imposte del 1599 e del 1606); C. Minutoli, Sulla vita e sulle opere di monsignor Giovanni Guidiccioni, in Atti dell'Accademia lucchese di sc., lett. e arti, XVII (1860), pp. 254, 312, 350; C. Sardi, Dei mecenati lucchesi del secolo XVI,ibid., XXI (1882), pp. 496, 500, 528-32; G. Sforza, La patria,la famiglia e la giovinezza di Niccolò V,ibid., XXIII (1884), pp. 341 s.; I. Sanesi, Il cinquecentista Ortensio Lando, Pistoia 1893, pp. 15 s.; G. Sforza, Ortensio Lando e gli usi e costumi d'Italia nella prima metà del Cinquecento, in Memorie dell'Accad. delle sc. di Torino, s. 2, LXIV (1914), n. 4, pp. 21, 36-40, 42, 44; A. Pascal, Da Lucca a Ginevra, in Riv.stor. ital., XLIX (1932), p. 291; R. Doucet, Le Grand Parti de Lyon au XVIe siècle, in Revue historique, CLXXI (1933), pp. 485, 499, 508 s.; W. L. Bullock, The "Lost" Miscellaneae Quaestiones of Ortensio Lando, in Italian Studies, II (1938), 6, pp. 50, 56; E. Lazzareschi, Introduzione a Inventari del R. Archivio di Stato in Lucca, V, Pescia 1946, p. 102 ("Vincenzo Buonvisi... rimise al Duca di Guisa con una volontaria perdita alla pallacorda tutto il debito di gioco"); G. Carocci, La rivolta degli Straccioni, in Riv. stor. ital., LXIII (1951), p. 54; R. Collier-J. Billioud, Histoire du commerce de Marseille, III, 1480-1599, Paris 1951, pp. 198, 213, 237, 337; Lirici del Cinquecento, a cura di L. Baldacci, Firenze 1957, pp. 484 s.; F. Casali, L'azienda domestico-patrimoniale di Ludovico Buonvisi e la sua partecipazione alle compagnie principali del casato (con trascrizione del libro personale suo e degli eredi degli anni 1549-1569), tesi di laurea, università di Pisa, facoltà di economia e commercio, s.d. (ma 1964), passim (cfr. Arch. di Stato di Lucca, Arch. Buonvisi, I, n. 72); M. Berengo, Nobili e mercanti nella Lucca del Cinquecento, Torino 1965, p. 436; E. Bonora, Il classicismo dal Bembo al Guarini, in Storia della letteratura italiana Garzanti, IV, Il Cinquecento, Milano 1966, pp. 213 s.