CALCAGNO, Vincenzo
Cameriere di Gian Luigi Fieschi, il protagonista della congiura del 1547 contro i Doria, indicato come uno dei suoi consiglieri, non si hanno precise notizie della sua vita e della sua famiglia al di là di quelle che lo indicano tra gli artefici della congiura. Nativo di Varese Ligure, possedimento dei Fieschi, dove, al momento della morte, era proprietario di un appezzamento di terreno donatogli da Gian Luigi, e di una casa in comune con i suoi fratelli, il C. si era trasferito al servizio dei suoi signori nella casa di Genova, dove aveva acquistato, pare, grande ascendente su Gian Luigi, tanto da far parte del ristretto; gruppo di congiurati che il 22 nov. 1546 avrebbero concordato il piano di rivolta che prevedeva la morte di Andrea Doria, del nipote di questo Giannettino, di Adamo Centurione, banchiere di Carlo V, e di altri nobili.
È noto che, dietro Gian Luigi e i suoi fratelli Cornelio, Girolamo e Ottobono, agiva la Francia, che avrebbe voluto portare Barnaba Adorno sul seggio ducale, affinché trasferisse la Repubblica dall'influenza spagnola a quella di Francesco I; per interesse personale caldeggiava questa azione anche il duca di Piacenza Pier Luigi Farnese, figlio di papa Paolo III. Tuttavia la storiografia locale, pur accennando agli interessi stranieri, indicava principalmente nei "cattivi consiglieri" del Fieschi l'origine, o almeno l'ideazione, della congiura: questi erano Giambattista Verrina, uomo "feroce" della nobiltà nuova, Raffaele Sacco, giureconsulto savonese di cui il Fieschi si serviva per l'amministrazione dei suoi feudi, e appunto il C., che pare consigliasse di procedere sì nell'azione, ma con cautela e prudenza.
Comunque quando, la notte del 2 genn. 1547, i congiurati diedero inizio all'azione, il C., nominato dal Fieschi capitano di un gruppo di uomini di Pontremoli fatti venire dai suoi feudi dell'entroterra, venne inviato a occupare la porta di S. Tomaso, della quale egli prese effettivamente possesso sbaragliando i soldati di guardia: ed è proprio alla porta di S. Tomaso che Giannettino Doria, accorso dal palazzo di Fassolo ai primi rumori del tumulto, venne colpito e cadde esanime.
La rivolta si arresta per lo sbigottimento suscitato tra le file dei congiurati dall'improvvisa scomparsa di Gian Luigi, accidentalmente annegato alla darsena senza che nessuno se ne accorgesse. Il giorno dopo, ignorandosene ancora la morte, il Senato invia il cancelliere Ambrogio Senarega a notificare l'indulto concesso ai Fieschi e ai loro uomini a patto che lascino immediatamente la città: Girolamo parte per il suo castello di Montoggio; il C., con Ottobuono Fieschi, il Verrina e il Sacco salpa su una galea pontificia che lo porta a Marsiglia. Ma quando, il 6 gennaio, venne trovato il corpo di Gian Luigi, Andrea Doria chiede e ottiene la revoca dell'indulto: per provvedere al bando da tutto il territorio genovese, alla confisca dei loro beni, alla distruzione delle loro case e all'incameramento dei loro feudi, è conferita delega a due procuratori perpetui, Cristoforo Rosso e Leonardo Cattaneo, mentre ad Agostino Spinola èconferito l'incarico di prendere possesso dei castelli.
A questa drastica misura del governo genovese, mentre Comelio e Ottobono cercano la salvezza rifugiandosi presso il re di Francia, il C., il Verrina, il Sacco e altri fedeli si portano al castello di Montoggio presso il conte Girolamo, attorno al quale organizzano la resistenza. Il 1º aprile la fanteria genovese, giunta sotto il castello, è costretta a desistere dall'attacco e ad attendere l'arrivo dell'artiglieria, che giunge solo ai primi di giugno, per dare inizio a una serie di assalti e di bombardamenti che durano tutto il mese, mentre il C. e i compagni resistono aspettando invano gli aiuti promessi dalla Francia e dal Farnese. Infine, fattasi insostenibile la situazione, gli assediati l'11 giugno si arrendono a discrezione. I commissari della Repubblica, entrati nel castello con due compagnie di soldati, provvidero subito all'esecuzione sommaria del C., che venne scannato, e di altri due servitori.
Girolamo Fieschi e il Verrina, insieme con altri, assente il Sacco, vennero condannati a morte, condanna attuata il successivo 12 luglio. Dagli atti di questo processo, comprendente ovviamente domande su chi avesse ideato la congiura nel suo insieme, chi le azioni particolari, chi vi avesse partecipato, quali potenze straniere li avessero aiutati, risulta una fondamentale incertezza sull'attribuzione delle responsabilità. Alcuni inquisiti, come il castellano del borgo di Valdettaro, T. A. Cartesi, e il nobile G. B. De Franchi, minimizzarono le responsabilità del C., alla barbara esecuzione del quale non dovette comunque essere estranea una precisa disposizione di Andrea Doria, che certo noi gli aveva perdonato di essere stato il capitano dei ribelli alla porta di S. Tomaso, dove aveva trovato la morte il nipote Giannettino.
Fonti e Bibl.: A. Gavazzo Nuovi docc. sulla congiura del conte G. L. Fieschi, Genova 1886, pp. 21, 30 s., 40, 50 s., 80, 95; L. Donaver, Storiadella Repubblica di Genova, Genova 1913, II, pp. 167, 204, 207.