CASCIAROLO (Casciorolo, Cascariolo), Vincenzo
Della sua vita si sa pochissimo, tanto che ne è incerto anche il nome. Pare sia nato a Bologna nel 1571 e ivi sia morto nel 1624. I contemporanei lo dicono di umile condizione, di lodevoli costumi, espertissimo di chimica, di metalli, di fossili, dedito con assiduità a manipolazioni alchimistiche.
Verso il 1602 (o 1604, ma certamente non nel 1630, come si dice da alcuni), il C. trovò nella campagna bolognese, e precisamente a Monte Paderno, un minerale molto pesante che dava al sole vivi bagliori. Nella speranza di ricavarne metallo pregiato, ne mise un pezzo nella propria fornace di alchimista e lo calcinò con sostanze combustibili. Non ottenne il prodotto sperato, ma si accorse di avere scoperto una pietra che riluce al buio, dopo essere stata esposta a un'intensa illuminazione. Chiamò la pietra "spugna di sole", (spongia solis), perché, a suo parere, s'imbeveva della luce solare e la riemetteva al buio. La pietra è oggi nota come baritina, costituita da solfato di bario cristallizzato nel sistema rombico, che si trova in grossi noduli raggiati nelle argille di Monte Paderno e in altre località del Bolognese.
Il C. comunicò la scoperta a G. A. Magini, professore di matematica nello Studio bolognese. Magini, verificata l'osservazione, mandò esemplari della pietra a parecchi principi e scienziati; ne mandò forse anche a Galileo Galilei, il quale, iniziato lo studio del fenomeno, ne parlò, presentando alcuni pezzetti della pietra, in una larga riunione di studiosi a Roma nel 1611, durante la quale il discorso cadde sulla natura della luce. Era presente alla riunione G. C. La Galla., il quale ne stese una relazione nel suo De phaenumenis in orbe Lunae. La notizia della scoperta del C. si diffuse così nelranibiente galileiano; lo stesso Galilei fu più volte richiesto di spiegazioni da parte di discepoli e amici, onde la scoperta del C. divenne argomento comune e quasi di moda. anche perché era il primo esempio di corpo inorganico che presentasse il fenomeno che successivamente, dopo la scoperta, nel 1669, del fosforo, venne chiamato di fosforescenza.
Lunga fu la discussione sulla denominazione da dare alla pietra, non essendo sembrata appropriata la proposta del C. quando si scoprì che anche la luce della Luna e la luce artificiale producevano lo stesso effetto. Esclusa la proposta di chiamarla, dal nome dello scopritore, "pietra casciarolana", perché lo scopritore era "un qualsiasi oscuro omicciattolo di infima plebe" (Liceti); escluse, per ragioni varie, le denominazioni spugna di luce, pietra illuminabile, pietra illuminabile bolognese, si finì per accettare quella di pietra lucifera (o fosforica) di Bologna o, più semplicemente, pietra di Bologna (lapis Bononiensis), proposta da Fortunio Liceti, che alla pietra dedicò un intero volume, divenuto notissimo, perché occasione al Galilei di stendere il suo ultimo scritto scientifico compiuto.
Fonti e Bibl.: I. C. La Galla, De phaenomenis in orbe Lunae, navi telescopi usu a D. Gallileo Gallileo (sic) nunc iterum suscitatis, physica disputatio a D. Iulio Caesare La Galla, in Romano Gymnasio habita, necnon de luce et lumine altera disputatio, Venetiis 1612, p. 56; F. Liceti, Litheosphorus, sive de lapide Bononiensi, Utini 1640, p. 42; G. Galilei, Le opere (ediz. naz.), VIII, pp. 469 ss.; XI, pp. 223, 515; XII, p. 12; Ch. Mantzel, Lapis Bononiensis in obscuro lucens, collatus cum phosphoro hermetico, Bilefoldiae 1675 ; J. Priestley, The history and present state of discoveries relating to Vision, Light, and Colours, London 1772, I, pp. 360 ss.; II, pp. 334, 336 s.