CASTELLANI, Vincenzo
Nacque nel 1528 a Reforzate, non lontano da Fossombrone, ma gli piacque definirsi sempre fossombronese. In questa città, la cui storia fu a lungo oggetto dei suoi studi, trascorse infatti gran parte della vita. Nonostante la laurea in legge conseguita a Padova fu soprattutto un letterato. Dalle orazioni inedite, cui dobbiamo alcune notizie sulla sua vita, si apprende che insegnò lettere a Senigallia, Gubbio e Ancona prima di ottenere la definitiva sistemazione, nel novembre 1558, come pubblico docente a Fossombrone. Alla nomina non dovette essere estranea la protezione della famiglia ducale di Urbino, presso la quale il C. soggiornò spesso. Compì viaggi in Francia e Spagna ed è sicura una sua temporanea presenza (non sappiamo però in quale veste) a Trento durante il concilio. Fu reggente del collegio Montalto di Bologna tra il 1585 e il 1590.
La fama del C. è legata alle sue qualità di scrittore latino in prosa e in versi, che gli valsero dal Bonciari l'appellativo di "ocellum alterum linguae Latinae". Ricordato come buono scrittore anche dal Montaigne, cui funse da guida durante la visita a Fossombrone, il C. era dotato di una vasta cultura classica e di una particolare sensibilità al problemi storici. A questi interessi puòricondursi l'edizione commentata di Sallustio pubblicata nel 1554 a Bologna con dedica al card. Giulio della Rovere.
L'esempio più chiaro dei gusti letterari del C. è fornito dall'operetta De bello Melitensi historia (Pesaro 1566), che descrive la vittoriosa resistenza di Malta all'assedio turco del 1565. La massima preoccupazione del C. consiste nel dare al suo irreprensibile latino una veste il più possibile vicina alla lingua dei Commentarii cesariani. Da questa totale adesione al grande modello classico scaturisce una narrazione precisa e stringata che, pur priva di velleità storiografiche, trova una sua originale collocazione nell'ambito delle numerose celebrazioni contemporanee del famoso avvenimento.
La mancanza di un preciso modello stilistico priva invece di ogni pregio formale l'opera più matura del C., i quattro libri del De officio regis (Marburg 1597), dedicati al duca di Urbino Francesco Maria II della Rovere. Lo scopo dichiarato del lavoro, che vuole essere una sorta di summa politico-pedagogica per un immaginario sovrano accompagnato con meticolosa precisione dalla culla al trono, si risolve nella moralistica esaltazione dell'impossibile figura di un principe dotato di tutte le virtù. Un'infinita serie di citazioni di classici appesantisce oltre misura la prosa del C. e ne conferma la totale dipendenza da un retroterra culturale che gli impediva un'elaborazione teorica autonoma e adatta alla realtà del suo tempo. Il C. s'interessò molto alla storia di Fossombrone, con particolare riguardo alla prediletta età romana, come dimostra una serie di erudite operette (De Forosempronio, De argumento inscriptionum quae sunt in porticu Forisempronii, De nobilitate Forisempronii adversus Callienses, De Forisempronii civitatis fortificationis praestantia), di cui solo le prime due furono edite, quasi un paio di secoli dopo la sua morte, dal Colucci. Tra gli inediti sono pure da ricordare il trattato, scritto in tarda età, De primordiis provinciarum atque urbium e l'operetta De Homeri laudibus.
La produzione italiana del C. si limita a due sonetti (uno dei quali in morte della famosa Vittoria Accoramboni), che giustificano ampiamente la sua predilezione per il latino.
Il C. mantenne amichevoli rapporti con numerosi dotti del suo tempo, tra i quali il card. Girolamo della Rovere, Pietro Bonarelli, Camillo Flacco. Il suo carattere non facile lo spinse però talvolta ad esprimere giudizi letterari particolarmente taglienti, la cui principale vittima fu Sebastiano Macci, suo successore nell'insegnamento a Fossombrone.
Il C. si sposò due volte. La prima unione, con Maddalena di Vincenzo Santucci, non fu molto felice e gli costò anche, dopo la morte di lei, un processo per maltrattamenti ed estorsione di testamento da cui la sua reputazione uscì seriamente scossa (1579). Dalla seconda moglie, la nobile Virginia Peruzzini, ebbe tre figli, Giambattista, Girolamo e Francesca, nominati nel suo testamento del 9 dic. 1599. Da una lettera a Camillo Flacco sappiamo dell'esistenza di un'altra figlia, scomparsa in tenera età.
Il C. morì il 5 sett. 1601, come risulta da una lettera indirizzata dalla moglie Virginia a Francesco Maria II della Rovere.
Dei figli del C. il più noto è Giambattista che, nominato giudice criminale dal duca di Urbino, si acquistò fama di sanguinario.
Fonti e Bibl.: M. A. Bonciari, Epistolae, Perusiae 1603, pp. 210 s.; M. de Montaigne, Giornale del viaggio in Italia..., a cura di A. Cento. II, Firenze 1958, p. 71; B. de Montfaucon, Bibl. bibliothecarum manuscr. nova, I, Parisiis 1739, p. 140; [M. Ruele], Bibl. volante di G. Cinelli, XXIII, Roma 1739, p. 181; G. Colucci, Antichità Picene, VII, Fermo 1790, pp. 204-229; Biblioteca Picena, III, Osimo 1793, pp. 175-178; I.A. Fabricius, Bibliotheca latina mediae et infimae latinitatis, VI, Florentiae 1859, p. 590; G. Cavalli, La scienza politica in Italia, II, Venezia 1873, pp. 131-133; A. Vemarecci, Fossombrone dai tempi antichissimi ai nostri, II, Fossombrone 1914, pp. 502-512; T. Bozza, Scrittori politici ital. dal1550 al 1650, Roma 1949, pp. 88 s.