CATENA, Vincenzo
Nacque intorno al 1480, probabilmente a Venezia, da Biagio, dalmata oriundo di Perasto (Djuric, in Pignatti, 1955, p. 233). Non è controllabile (Robertson, 1954, p. 5) la notizia, riferita dal Nagler (p. 436), che il C. sarebbe morto all'età di cinquantadue anni, nel 1530. La data di nascita, attorno al 1480, èstata proposta per ragioni di stile anche dal Venturi (1915, p. 562)e dal Berenson (1916, p. 248). L'identificazione del C. con Vincenzo da Treviso, ossia Vincenzo dalle Destre (Crowe-Cavalcaselle, 1912, p. 253), non trova più alcun credito.
Le opere del periodo giovanile, databili nel primo decennio del sec. XVI, oltre a una Madonna col Bambino e s. Giovanni (Udine, coll. privata, firmata: Rizzi, 1972, pp. 125s.), sono prevalentemente costituite da derivazioni assai monotone dalle Sacre conversazioni belliniane (Baltimora, Walters Art Gall., firmata; Venezia, Gall. dell'Accademia; Venezia, coll. Pospisil, firmata "Vizenzivs Chaena P."; Budapest, Museo di Belle Arti; firmata; Dresda, Gemäldegalerie) e rivelano "un linguaggio nitidamente tornito, talvolta persino aspro, di sapore provinciale" (Pignatti, 1955, p. 232).
Scolaro e forse anche collaboratore di Giovanni Bellini, attorno al 1500, il C. fu influenzato anche da Alvise e Bartolomeo Vivarini e da Cima da Conegliano. L'esempio di Alvise, sottolineato dal Pignatti (ibid.), come fatto fondamentale della sua educazione, èevidente innanzitutto nelle Sacre conversazioni su fondo scuro, (Glasgow, Art Gallery; Liverpool, Walker Art Gallery, Roscoe Coll., firmata "Vincencius Chatena P.") e nelle pale con S. Francesco tra ss. Bonaventura e Luigi di Tolosa (Venezia, Gall. dell'Accademia,firmata) e Madonna col Bambinoin trono con s. Giovanni Battista, s. Marco e il doge Leonardo Loredan (Venezia, Civico Museo Correr, firmata: Mariacher, 1957):anch'esse vanno collocate certamente ancora nel primo decennio del secolo; la ultima èprobabilmente databile attorno al 1505-1506.
Allo stesso 1506risale la famosa iscrizione, indubbiamente autentica, sul verso della Laura di Giorgione (Kunsthistorisches Museum di Vienna), dove per la prima volta si fa cenno al C.: "1506. adj. primo zugno fo fatto questo de mā de maistro zorzi da chastel fra... cholega de maistro vizenzo chaena ad istanzia de mis giacmo...". Se non ci fosse questa menzione, non vi sarebbe alcun motivo per inserire il C. tra i giorgioneschi: l'unico suo dipinto datato, la Madonna col Bambino in trono, del 1511 (già Milano, coll. G. Canessa: Heinemann, I, p. 101; II, fig. 420), forse parte centrale di un trittico, èancora una ripresa del cliché belliniano; semmai un avvicinamento del C. a Giorgione, a Tiziano e al Palma è avvenuto ben più tardi, per il Robertson nel terzo, per il Pignatti forse già nel secondo decennio del Cinquecento. E vero però, che i suoi dipinti non sono mai databili con certezza.
In ogni modo le opere di maggior pregio vanno raggruppate di sicuro attorno alla pala con il Martirio di s. Cristina (Venezia, S. Maria Mater Domini), capolavoro del C., databile, secondo l'iscrizione sulla cornice del dipinto, al 1520, eseguita, quindi, nel periodo maturo, nel quale i modi arcaizzanti post-antonelliani del gruppo alvisiano si inseriscono tra le innovazioni giorgionesche: l'Annunciazione (Carpi, Museo civico), le Sacre conversazioni (già Drayton House, Lowick, Northants, coll. Stopford Sackville; Praga, Gall. naz.), la Madonna col Bambino (già New York, coll. R. Auspitzer), le Sacre Famiglie (Dresda, Gemäldegalerie; Messina, Museo naz.), l'Adorazione dei pastori (New York, Metropolitan Museum), la Sacra Famiglia col guerriero turco (Londra, National Gallery) e la Giuditta (Venezia, Fondaz. Querini Stampalia). Su questo sviluppo incidono senza dubbio i rapporti del C., oltre che con Giorgione, con pittori quali Sebastiano del Piombo e Palma il Vecchio, ma soprattutto con letterati ed umanisti, come Pietro Bembo, M. A. Michiel, Antonio di Marsilio, G. B. Egnazio e Giangiorgio Trissino.
Proprio nello stesso 1520, quindi nel periodo culminante dell'attività pittorica del C., in una lettera, scritta a Roma l'11 aprile e indirizzata all'amico del C., Antonio di Marsilio, a Venezia, Marcantonio Michiel, annunciando la morte di Raffaello e la malattia di Michelangelo, si raccomanda: "dite adunque al nostro C. che se guardi, poiché 'l tocha a li excelenti pittori" (M. Sanuto, Diarii, XXVIII, Venezia 1890, col. 426). Anche da altre due lettere, una dell'8 maggio 1525,scritta da Pietro Bembo (Lettere, I, Roma 1548, p. 285) a Pietro Lippomano, vescovo di Bergamo, e l'altra del 20 marzo 1531 da Giovanni Guidiccioni (Opere, a cura di C. Minutoli, I, Firenze 1867, p. 174), futuro vescovo di Fossombrone, a Rinaldo delle Corna, risulta confermato questo legame con l'ambiente umanistico ed ecclesiastico.
A partire dal 1515 non mancano le date che testimoniano le circostanze della vita del C. e la sua continua presenza a Venezia. Il 3 febbraio del 1515 fu redatto a Venezia il primo dei molti testamenti (Ludwig, 1905, pp. 79 ss., da tenere presente anche per i documenti che seguono), dai quali il pittore risulta essere assai ricco (aveva probabilmente anche una attività secondaria di droghiere); egli viveva insieme con Domenica Zibiut, definita "chome madre over sorela"; vengono menzionate anche le sue "mamole",Rosa da Scardona e Maria da Voltolina.
Quali esecutori ed eredi dei vari testamenti sono nominati il droghiere Lodovico Crus, il noto umanista Antonio di Marsilio, al quale il C. lasciò non solo i suoi gioielli, ma anche "mio restelo di nogera con zerte fegurete dentro depinte de mano de miser Zuan Belino, et anchora tutti i miei nudi di relievo fati di tera chota" ed un altro scrittore, collezionista ed umanista famoso, Giambattista Egnazio, ricordato con il lascito di un "meum telarium de aquariela Adae et Evae et unum aliud telarium sancti Hieronymi ab heremo".
Al primo testamento, nel quale il pittore lasciò anche duecento ducati alla Scuola dei pittori, seguono quelli del 17 febbr. e del 7 marzo 1518. Nel 1522 firma come testimone un documento riguardante "magister Petrus Scaramanzius lignaminum incissor". Il 20 nov. 1525 viene stipulato un nuovo testamento. L'11 ag. 1528 il C. appare come testimone del contratto di matrimonio della sorella di Sebastiano del Piombo, Adriana Luciani, con Giacomo de Pergo, ed è questa un'altra conferma del suo legame con l'ambiente giorgionesco.
L'ùltimo testamento, quello del 10 sett. 1531, dev'essere stato fatto davvero in occasione di una malattia; il pittore morì poco dopo, prima del 29 settembre, data in cui la Scuola dei pittori decise in una seduta sul suo lascito (Ludwig, 1901, p. 69). Nel cortile del seminario patriarcale a Venezia si conserva un'epigrafe del 1532, tolta dalla Scuola dei pittori già presso S. Sofia, nella quale i pittori dichiarano di aver comperato il suolo ed eretto la casa coi beni lasciati dal C. al loro collegio.
Il meglio della capacità creativa del C. consiste senza dubbio nella sua attività ritrattistica, particolarmente lodata dal Vasari (p. 643: "che molto più si adoperò in fare ritratti di naturale, che in alcuna altra sorte di pittura"), ove si verifica, nel periodo della maturità, un avvicinamento ai prototipi tizianeschi e palmeschi. Oltre a quelli firmati: Ritratto di un canonico (Vienna, Kunsthistorisches Museum), Ritratto d'uomo (già New York, vendita Parke Bernet, 11 apr. 1944,n. 314, firmato "Vincentius Catena Pinxit"; nel catalogo più completo delle opere del C., quello del Robertson, il dipinto manca: Heinemann, I, p. 103; II, fig. 432), Ritratto d'uomo volto a destra (New York, Kress Coll.; il dipinto manca nel Robertson, e non è elencato né da Fredericksen-Zeri, né nei cataloghi Kress: Heinemann, I, p. 103; II, fig. 424), alcuni altri gli possono essere attribuiti con sufficiente sicurezza: Ritratto del conte Raimondo Fugger (già Berlino, Kaiser Friedrich Museum, distrutto; probabilmente da identificare con quello citato dal Vasari, p. 644), Ritratto di un senatore veneziano (New York, Metropolitan Museum) e Ritratto di Giangiorgio Trissino (Parigi, Louvre). Sarebbero ancora da aggiungere alcuni ritratti, citati nelle fonti (Michiel), attualmente purtroppo non rintracciabili: i due, amezza figura, di Francesco Zio, nella casa di Andrea di Oddoni nel 1532, e quello di Givanni Ram, nella casa del medesimo a Venezia, nel 1531.
Fonti e Bibl.: [M. A. Michiel], Notizia d'opere del disegno, a cura di Th. von Frimmel, Wien 1888, pp. 72, 80, 86, 104; G. Vasari, Le vite...,a cura di G. Milanesi, III, Firenze 1878, pp. 643-645; G. K. Nagler, Neues allgem. Künstlerlexikon, II, München 1835, p. 436; G. Ludwig, Bonifazio di Pitati da Verona, eine archivalische Untersuchung, in Jahrb. d. k. preuss. Kunstsamml., XXII(1901), p. 69; Id., Archival. Beiträge zur Geschichte der venez. Malerei, ibid., XXVI (1905), Suppl., pp. 79-88; J. A. Crowe-G. B. Cavalcaselle, A History of Painting in North Italy, I, London 1912, pp. 253-263; A. Venturi, Storia dell'arte ital.,VII, 4, Milano 1915, pp. 562-579; B. Berenson, Venetian Painting in America, New York 1916, pp. 243-256; R. Serra, La pittura del Rinascimento nelle Marche, in Rass. marchigiana, X (1932), pp. 106 s. (Sacra Conversazione, Pesaro, Museo Mosca); K. S. Dettloff, C. w poznaňskim Muzeum Narodowym, in Muzeum Narodowe w Poznaniu. Studia muzealne, I (1953), pp. 50-73, 156 s.; G. Robertson, V.C., Edinburgh 1954 (con catal. ragionato, bibl. completa e ill. di tutte le opere non altrimenti indicate; rec. di T. Pignatti, in Arte veneta, IX[1955], pp. 231-233; G. Bazin, in Gazette des Beaux-Arts, XLV [1955], pp. 180 s.; V. Moschini, in The Burlington Magazine, XCVII[1955], pp. 225 s.; T. Mullaly, in Art News and Review, 8 genn. 1955, p. 6; F. M. G., in The Connoisseur, dic. 1955, p. 294; S. R., in Emporium, CXXII[1955], p. 142; L. F. B.,in Die Weltkunst, XXV[1955], 14, p. 4); P. Zampetti, Giorgione e i giorgioneschi (catalogo), Venezia 1955, pp. 146-155 (rec. di G. Robertson, in The Burlington Magazine, XCVII[1955], pp. 272-277); C. Gilbert, A Drawing by C., in The Burlington Magazine, XCVIII(1956), p. 373; B. Rackman, C. and a Maiolica Roundel, ibid., XCVIII(1956), p. 380; Id., A maiolica tondo after V. C.,in Faenza, XLII (1956), 4, pp. 75-77; V. Moschini, Ancora sul disco ispirato a V. C., in Faenza, XLII (1956), 6, pp. 130 s.; G. Gamulin, Due dipinti ignoti o poco conosciuti, in Arte veneta, X (1956), pp. 65-67; V. Djuric, Tre quadri sconosciuti d'artisti veneziani in Erzegovina e Dalmazia, in Venezia e l'Europa, Atti del XVIII Congresso internaz. di storia dell'arte, Venezia 1956, pp. 235 s.; G. Mariacher, Il restauro della Madonna del C.,in Boll. dei Musei civici veneziani, II (1957), 1-2, pp. 55-58; B. Berenson, Italian Pictures of the Renaissance, Venetian School, I, London 1957, pp. 61-63, figg. 601-608; P. Zampetti, Un antico dipinto recuperato, in Studies in the History of Art dedicated to W. E. Suida, London 1959, pp. 236-239; F. Heinemann, G. Bellini e i belliniani, Venezia s. d. (ma 1962), I, pp. 100-103, II, figg. 417-432 (vedi anche l'indice); S. Savini Branca, Il collezionismo venez. nel '600, Padova 1964, pp. 64, 251; A. Rizzi, Una ined. tavola del C.,in Scritti storici in mem. di P. L. Zovatto, Milano 1972, pp. 125 s.; B. B. Fredericksen-F. Zeri, Census of Pre-Nineteenth-Century Italian Paintings in North American Public Collections, Cambridge, Mass. 1972, p. 49; C. Wright, Old Master Paintings in Britain, London 1976, p. 35; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, VI, pp. 182 s.; Encicl. Ital.,IX, pp. 444 s.; Diz. encicl. Bolaffi dei pittori e degli incisori ital.,III, Torino 1972, pp. 186-188.