CENTO, Vincenzo
Nato a Pollenza (Macerata) il 25 genn. 1888 da Evaristo e da Ermelinda Andreani, si laureò in filosofia e intraprese la carriera didattica, insegnando prima pedagogia poi filosofia e storia. Nelle Marche si era fatto promotore dei Circoli educativi popolari, sorti nel 1911; nel 1913 dava vita alla rivista La Nostra scuola, di cui fa condirettore. Sulla rivista, nata a Firenze sotto l'egida della Voce di Prezzolini, e dopo il primo anno passato a Milano, dove il C. stesso si era recato a insegnare, condusse, tra il 1915 e il 1917, una vivace polemica sul rapporto tra nazionalismo e pedagogia, discutendo animatamente il problema della Scuola nazionale (tale sarà appunto il titolo del volume che raccoglierà, in due edizioni, Milano-Firenze 1918, e Milano 1925, i suoi interventi e le repliche degli interlocutori). Nel luglio 1915, sulla rivista Bilychnis, col saggio Il cristianesimoe la guerra il C. aveva preso posizione in favore dell'intervento, giustificato con una interpretazione del cristianesimo come lotta e opposizione continua al male. Convinto assertore del nazionalismo, il C. era stato tra i fondatori del gruppo giovanile nazionalista di Roma, e, nel 1912, segretario di redazione de L'Idea nazionale settimanale; nel 1919 tentò di organizzare un sindacato nazionalista tra i contadini del Maceratese.
Nel maggio del 1919 La Nostra scuola lanciava il programma del Gruppo d'azione per la scuola nazionale; questo, guidato dal C., si fondeva nel 1920 con il Fascio di educazione nazionale, promosso da E. Codignola e sotto il patrocinio di G. Gentile: il nuovo programma usciva nella nuova serie della rivista nel febbraio 1920. Tuttavia, ben presto contrasti di natura politica, con l'incalzare del fascismo, portavano allo scioglimento dell'associazione. Negli stessi anni il C. cercò di dare realizzazione alle sue idee teoriche sull'educazione: nel 1921 fondò una associazione, la Scuola del maestro, per preparare didatticamente gli insegnanti elementari, e sempre a Milano, l'anno successivo, diede vita a un istituto femminile, l'Accademia libera di cultura e arte, che diresse fino alla morte.
La sua fede in un'azione pedagogica indipendente, al di sopra dei partiti e dei particolarismi politici, rispettosa della autodeterminazione dei giovani, e intesa più alla "forza di persuasione" che alla "persuasione della forza", lo mise in contrasto con la riforma fascista della scuola. Con accenti di preoccupazione e di condanna, seppur non esplicita, egli intervenne sulle colonne del Caffè di Bauer e Parri (l'articolo Sacri eserciti di bambini, sul n. 11 del dicembre 1924, venne ripreso e ampliato nel saggio Stato, governo e scuola, apparso in Rivista pedagogica, gennaio 1925), negando che il "nazionalismo fittizio" e retorico, insinuato nella scuola dal fascismo, potesse confondersi con il nazionalismo autentico, fondato sul rispetto della coscienza ed erede diretto della tradizione liberale. Entrò anche in diretta polemica col Gentile, nell'articolo Il maestro e ilministro, ospitato sul Giornale d'Italia del 25 febbr. 1925.
Sul piano politico si era distaccato definitivamente dal movimento nazionalista. Secondo il C., la "nazione" era un'idea pura che mal sopportava compromessi con gruppi o classi sociali determinati; ed essendo una idea, il compito del governo spettava agli intellettuali illuminati: l'autorità dello Stato doveva sì difendersi dal sovversivismo delle "plebi straccione", ma senza mai ledere le libertà dei cittadini. Queste opinioni il C. le espose nella memoria Per la pace e la ricostruzione dell'Europa, che gli valse il primo premio ex aequo nel concorso internazionale per l'Europa bandito nel 1924 da un mecenate di Boston (lo scritto venne pubblicato nel dicembre dello stesso anno su La Vita internazionale, n. 24, e poi rielaborato nel volume Gli Stati Uniti d'Europa, Lanciano 1926): qui la prospettiva si allargava fino a considerare la possibilità di un coordinamento fra gli Stati nazionali europei, capace di fronteggiare il prepotere economico americano ed asiatico.
Sul piano politico e filosofico, il C. seguì e sostenne l'idealismo di B. Varisco, contrapponendolo all'attualismo del Gentile, cui in più scritti rimproverò la mancata considerazione della fede e della morale come possibili supporti della riflessione filosofica. Un profilo del suo pensiero, teso a un continuo interno approfondirsi e perciò talvolta contradditorio, si può trarre dai saggi raccolti nel volume I viandanti e la meta (Torino 1927). D'altra parte egli stesso, pur proponendo la religione come "sorella" della filosofia, era stato tuttavia sempre critico nei confronti dell'istituzione ecclesiastica: fin dall'articolo sul Clero marchigiano (estr. da La Nuova Riforma, Napoli 1915) additava i pericoli di una religione burocratizzata, e i danni delle ingerenze politiche del potere clericale e dei "cattolici organizzati".
Dopo essere stato simpatizzante dei vociani e in particolare del Serra (il Colloquio con Renato Serra, una delle sue prime opere poetiche, fu pubblicato su Bilychnis nel 1917), si accostò in seguito alle riviste del Gobetti scrivendo per La Rivoluzione liberale, negli anni 1922-23, alcuni interessanti interventi sul rapporto tra Chiesa e Stato. Nel 1924 le torinesi Edizioni del Baretti stampavano, con una prefazione di A. Tilgher, Io e me. Alla ricerca di Cristo (2 ediz., Torino 1925) che raccoglie le prose e le poesie, scritte dal C. fino a quell'anno, ispirate alla sua concezione del pensiero come antitesi di opinioni contrastanti, superabile solo per forza di fede. Di qui la sua propensione per il dialogo, e per una composizione narrativa oscillante tra ascese euforiche e cadute disperanti, in cui la realtà tende a trasformarsi in un incubo tormentoso fino ad un apice di tensione risolto dallo scioglimento pacificante. Per questo aspetto e per le movenze ritmiche, la prosa d'arte del C. appare in consonanza con un certo novecentismo.
La dimensione del dialogo trovava esecuzione originale nelle due "interviste impossibili":l'Intervista a Sua Eccellenza Pilato, compresa in Io e me, e la successiva Intervista col patriarca Giobbe, pubblicata su Il Baretti, IV (1927), 2, pp. 13 s. Entrambe verranno poi inserite ne La cavalcata al vento (Modena 1935; 2 ediz., ibid. 1937), che segna il momento conclusivo della sua opera. Nelle prose raccoltevi, il ritmo di gradazione ascendente e la beffarda presenza del sosia dialogante servono a svelare, dietro le pompose scenografie, una realtà macabro-grottesca. Il brano che dà il titolo al libro, ambientato in un reame fantastico, narra la "resistibile ascesa" e l'inevitabile caduta di un duce assetato di potere: vi si potrebbe leggere, allegoricamente, il "sinistro presagio" degli esiti della dittatura fascista.
Morì a Roma il 21 nov. 1945.
Oltre gli scritti citati, si ricordano: Don Carlos figlio di Filippo II di Spagna, Firenze 1911; Il clericalismo assoluto, in Bilychnis, X(1921), 11-12, pp. 306-17; Linee di una teoria generale dei rapporti tra Chiesa e Stato, in Rivista di filosofia, XIII (1921), 1, pp. 43-56; Appunti di critica gentiliana, Città di Castello 1923; Religione e morale nel pensiero di G. Gentile, Roma 1923.
Fonti e Bibl.: A. Anile, Io e me, in Il Popolo, 9 nov. 1924; E. Troilo, pref. a I viandanti e la meta, Torino 1927; E. Danzi, Ritratto di V.C., Savona 1926; L. Casanova De Maestri, Un filosofo lirico, V.C., in Eroica, XVII (1927), pp. 7-9; M. Maresca, L'Accad. libera di cultura e d'arte di Milano, in Riv. pedagog., XXI (1928), 4, pp. 307-11; C. Pellizzi, Le lettere ital. del nostro secolo, Milano 1929, p. 410; G. Prezzolini, Il tempo della "Voce", Milano-Firenze 1960, pp. 333-35.