COLOMBO, Vincenzo
Nacque a Godano (La Spezia) verso la metà del sec. XV.
L'interesse per questo personaggio, altrimenti destinato a restare sconosciuto, è legato ad alcuni accenni di Cristoforo Colombo ad altri ammiragli che avrebbero fatto parte della sua famiglia: queste allusioni diedero spunto a varie ricerche erudite sui Colombo marinai nel sec. XV. Ormai accertato che il C. non ha alcun rapporto di parentela col grande navigatore, la sua vicenda riveste ancora un qualche interesse, perché emblematica dello incerto confine esistente nel Medioevo tra pirateria e corsarismo, reso ancora più labile in Liguria dalla particolare situazione giurisdizionale di alcuni feudi rivieraschi, i cui signori, come del resto le stesse famiglie genovesi, organizzavano e praticavano il saccheggio sistematico delle navi in tutto il bacino del Mediterranco.
Il C., nativo di un piccolo paese dell'entroterra appenninico ligure, datosi alla marineria e divenuto comandante di un brigantino di 28 remi, si era messo ad assaltare le navi lungo le coste della Riviera occidentale e della Provenza, godendo nel porto di Oneglia della non disinteressata ospitalità di Francesco Doria, luogotenente del padre Giovanni Domenico, signore di quella terra. Giuridicamente, Oneglia era allora soggetta all'alto dominio del duca di Milano, signore di Genova: questa complessa situazione poneva in difficoltà il C., che, protetto dal Doria, suddito del duca di Milano, era pur sempre cittadino genovese. Nel 1491 ci fu l'atto di saccheggio più grave da lui compiuto: una nave di Rodi con un ricco carico di sete, perle, droghe e altre merci preziose, parte delle quali appartenenti a Robert Le Page, droghiere del re di Francia, giunse al largo di Albenga per scaricarvi merci. Due mercanti francesi imbarcati su tale nave preferirono trasbordare col loro prezioso carico su un leudo di Alassio per poter giungere più in fretta a Nizza. Arrivato al largo del promontorio di Alassio, il leudo fu bloccato dal C., che lo saccheggiò; dopo aver abbandonato i due mercanti sulla spiaggia, egli riprese a veleggiare lungo le coste della Liguria, toccando anche Oneglia e dirigendosi in ultimo verso la Corsica. La Signoria di Genova, informata di questo episodio, configurantesi come atto di pirateria, in quanto avvenuto ai danni di un leudo rivierasco e di mercanti appartenenti ad una nazione amica, intervenne presso l'Ufficio di S. Giorgio, cui spettava il dominio della Corsica, perché il C. fosse catturato, e presso il Doria, accusandolo di essere il ricettatore di parte delle merci rubate, oltreché l'armatore della nave pirata. L'Ufficio di S. Giorgio sollecitò immediatamente il Podestà di Bonifacio ad intensificare le ricerche del C., inviando in Corsica come commissario Giovanni de Monteburgo; giunto nell'isola nel gennaio 1492, egli non poté sorprendervi il C., il quale, forse avvisato in tempo, era fuggito da Bonifacio con la nave male in arnese. Costretto a fare ritorno, egli preferì restare al largo del porto e poi allontanarsi di nuovo, temendo la cattura. Inseguito da un brigantino frettolosamente armato dal podestà di Bonifacio, il C., vistosi perduto, fu costretto ad abbandonare il suo legno e a darsi alla macchia con alcuni suoi compagni sfuggiti alla cattura. Iniziò allora l'opera di recupero delle merci da lui rubate, che erano state ricettate da vari individui a Bonifacio e ad Oneglia, oltreché dal Doria.
Per giustificare l'atto di saccheggio, in una lettera inviata all'Ufficio di S. Giorgio il C. protestò di non aver mai esercitato la sua attività contro amici della Repubblica genovese e reclamò il diritto di rappresaglia sui mercanti francesi, in quanto a sua volta assalito e derubato da francesi, che gli avrebbero tolto una fusta e un brigantino, oltreché ucciso parecchi compagni: di tale violenza subita egli si dichiarava disposto a presentare le prove. Questa mossa assai abile era volta a scagionarlo dall'accusa di pirateria, facendo rientrare la sua azione nell'ambito di quel diritto di rappresaglia che era sancito dalle norme statutarie di diverse città in tutto il bacino del Mediterraneo e che spesso nascondeva una vera e propria azione di "pirateria organizzata" in tempo di pace contro potenze straniere. La pirateria o il corsarismo costituivano del resto un'attività redditizia e ampiamente diffusa tra le stesse famiglie patrizze genovesi oltreché una sorta di "attività sommersa" che offriva lavoro a marinai, ricettatori, artigiani legati all'armamento navale.
Il C. riprese ben presto la sua attività per mare su un altro brigantino, infestando le coste della Riviera ligure e della Corsica. Ad intervenire fu questa volta Agostino Adorno, governatore di Genova per il duca di Milano, che il 12 maggio 1492 rinnovò il bando contro il Colombo. Nel frattempo i mercanti francesi continuarono, a chiedere la restituzione delle merci ricettate dal Doria, riuscendo ad ottenerla solo grazie all'intervento di Gian Galeazzo Sforza, che aveva l'alta signoria sul principato d'Oneglia. Per alcuni mesi il C. tenne in scacco le navi della Repubblica genovese, finché, non si sa come e quando, fu catturato insieme con un suo compagno. Rinchiusi nelle carceri di Genova, dopo regolare processo i due furono condannati a morte. Poco prima dell'esecuzione il C. stese una dichiarazione relativa alle merci depredate, ordinando la loro restituzione ai legittimi proprietari. Tra l'altro, il C. elencava anche alcuni suoi crediti, come il prezzo residuo di una schiava da lui venduta, forse indizio di una sua attività in tale commercio.
Fu impiccato alla, torre del molo di Genova il 19 dic. 1492.
Fonti e Bibl.: C. Cantù, I Colombo, in Arch. stor. lomb., I (1874), pp. 391 s.; H. Harrisse, Les Colombo de France et d'Italie, Paris 1874, pp. 71, 73, 127-30; M. Staglieno, V. C., pirata del sec. XV, in Giorn. lig. di archeol., storia e lett., XVIII (1991), pp. 68-79; A. Salvagnini, Cristoforo Colombo e i corsari Colombo suoi contemporanei, in Raccolta di docum. e studi pubblicati dalla R. Commissione Colombiana, II, 3, Roma 1894, p. 177; C. Desimoni, Le quistioni colombiane, ibid., p. 100; E. Pandiani, Storie di pirati liguri, in Giorn. storico-letter. della Liguria, n. s., III (1927), pp. 33 s.; Id., La vita della Repubblica di Genova nell'età di Cristoforo Colombo, Genova 1952, pp. 177 s., 180; P. E.Taviani, Cristoforo Colombo. La genesi della grande scoperta, Novara 1974, I, pp. 27, 66; II, pp. 81 s.