CRESCINI, Vincenzo
Nacque a Padova il 10 ag. 1857 da Vincenzo ed Anna Crescini, cugini, in una famiglia di agiata borghesia con tradizioni culturali e risorgimentali legate a Iacopo Crescini, poeta, giornalista e tipografo, editore di giornali letterari prequarantotteschi come L'Euganeo (1844-48) e Il Caffè Pedrocchi (1846-48).
A Padova compì tutti i suoi studi fino all'università, dove ebbe l'incontro decisivo con lo studioso che considerò sempre il suo maestro, Ugo Angelo Canello, tornato a Padova nel 1876 a inaugurarvi l'insegnamento della storia comparata delle letterature neolatine, appena ventottenne ma già da quattro anni libero docente di filologia neolatina e con un eccezionale curricolo di esperienze compiute all'università di Bonn con Diez e all'Accademia scientifico-letteraria di Milano con Ascoli e Rajna, esperienze fervidamente trasmesse all'allievo d'elezione. Licenziato in lettere nel luglio 1877, il 4 luglio 1879 il C. otteneva la laurea in lettere con una dissertazione diretta dal Canello su Orlando nella Chanson de Roland e nei poemi del Boiardo e dell'Ariosto, pubblicata l'anno successivo nel Propugnatore (Bologna 1880).
L'opera era esile e vistosamente immatura, ispirata alle Epopées françaises di Léon Gautier e a mezza strada fra la Histoire poétique de Charlemagne di Gaston Paris e Le fonti dell'Orlando Furioso di Pio Rajna, ma notevole per la conoscenza diretta di poemi franco-veneti ancora inediti, come l'Entrée d'Espagne e la redazione padovana dell'Ugo d'Alvernia.
Per interessamento del Canello e sulle orme del maestro il C. poté seguire nel 1880-81 un corso di specializzazione presso l'Accademia milanese con l'Ascoli e il Rajna, e questa esperienza rafforzò in lui la persuasione dell'unità inscindibile della linguistica e della filologia romanza. La facoltà di lettere di Padova, su parere di una commissione presieduta dal Canello e con le positive attestazioni dell'Ascoli e del Rajna, proponeva alla fine del 1881 l'abilitazione alla libera docenza per titoli in filologia romanza presso l'università di Padova, che gli venne conferita nel febbraio 1882. Intanto era stato incaricato dell'insegnamento della storia comparata delle lingue classiche e neolatine nell'università di Genova, dove ebbe la ventura di trovare fra i suoi allievi Emesto Giacomo Parodi. Qui iniziò la collaborazione al Giornale storico della letteratura italiana, appena nato, e a riviste locali. Ma a Genova rimase poco, meno di due anni, ché, scomparso tragicamente il Canello il 12 giugno 1883, il C. fu subito chiamato a succedergli a Padova, e dall'ottobre 1883 fu nominato professore straordinario di storia comparata delle lingue e delle letterature neolatine, e successivamente confermato fino al 1891, quando, in seguito a concorso, divenne professore ordinario.
Svolse continuatamente quel suo insegnamento per cinquant'anni, fino ai settantacinque, e tenne l'ultima lezione pochi giorni prima della morte, sopravvenuta improvvisamente a Padova il 2 giugno 1932, mentre scolari e colleghi si apprestavano a festeggiarlo presentandogli la raccolta conclusiva dei suoi scritti da lui scelti, i Romànica fragmenta.
Accanto all'insegnamento principale svolse con grande impegno e frutto personale di ricerca molteplici incarichi che attestano la vastità degli interessi e delle competenze e l'alta stima dalla quale fu circondato nella facoltà. Tenne dal febbraio 1885 fino al 1887 l'incarico di letteratura italiana, nella cattedra vacante per la lunga malattia e la morte di Giuseppe Guerzoni, fino alla chiamata del giovane Guido Mazzoni, impegnandosi a fondo nelle ricerche già iniziate nel 1882 sulle fonti e la biografia del Boccaccio; supplì allo stesso insegnamento nel 1894-95 quando il Mazzoni passò a Firenze, e ancora durante la guerra nel 1915-16. Ricoprì l'incarico di storia moderna, in seguito alla malattia del titolare L. A. Ferrai, per il biennio 1899-1900, e rimangono dispense assai interessanti dei suoi corsi, dedicati piuttosto a momenti della storia medievale strettamente legati alla sua esperienza storica di filologo romanzo, la crociata contro gli Albigesi e la quarta crociata con riferimento a un suo trovatore prediletto, Rambaldo di Vaqueiras, e ai cronisti francesi. Dopo la morte di Emilio Teza nel 1912 continuò per un anno l'insegnamento di storia comparata delle lingue classiche, occupandosi di latino volgare in epigrafi e graffiti (si veda la successiva esemplare Postilla epigrafica accolta nei Romànica fragmenta, pp. 93-200). Infine nel 1919-20 tenne l'incarico di lingua e letteratura francese. Fu preside della facoltà di lettere per il triennio 1899-1902. Più tardi patrocinò l'istituzione nella facoltà di un insegnamento di filologia slava.
L'orizzonte della sua vita raccolta e tranquilla di studioso rimase sempre circoscritto al cuore di Padova, fra la sua casa sul Canton del Gallo (con la vasta biblioteca personale, specchio della sua formazione larga e insieme specifica di comparatista e filologo romanzo e provenzalista sommo, che dopo la sua morte andò a costituire il fondo più cospicuo della biblioteca dell'istituto di filologia romanza dell'università di Roma), il palazzo universitario del Bo in faccia, e a pochi passi il caffè Pedrocchi, sede degli incontri serali e delle discussioni con gli amici. Dalla moglie Bona Leopolda ebbe nel 1888 una figlia, cui fu posto nome Eros. Scrisse versi non spregevoli e ne pubblicò una raccolta (Ca' Borin, Padova 1920).
Il C. fu insegnante per vocazione, e una larga parte della sua produzione scientifica ha radici nel suo insegnamento o è ad esso destinata. D'indole socievole, ma talora ombrosa e spesso tormentata e inappagata, fu sensibile alla collaborazione e all'amicizia con i colleghi, particolarmente il vecchio storico De Leva e il paleografo, storico e filologo Vittorio Lazzarini, che fu tra i suoi primi allievi. Diversissimo per carattere e temperamento dal suo maestro Canello, ne continuò l'opera sviluppando un metodo di ricerca testuale e linguistica più cauto e raffinato, e contribuendo in maniera decisiva a fissare i connotati della filologia romanza italiana, con orientamento spiccato verso la filologia occitanica alla quale il Canello aveva dato il suo capolavoro, l'edizione di Arnaut Daniel.
Nella parte migliore della sua opera il C. fu un rappresentante della scuola storica e positiva, e come molti dei campioni della "seconda generazione" visse la crisi del positivismo, fra spiritualismo e nazionalismo. Fu portato alle ricerche puntuali piuttosto che alle sintesi: il centro della sua esperienza e la forza del suo metodo stanno nel testo, nel muovere sempre dall'esercizio della critica e dell'ermeneutica del testo, e nel ritornare alla parole dopo avere attraversato la langue (e della lingua dei trovatori il C. acquistò una conoscenza probabilmente ineguagliata). In questo senso del circolo ermeneutico fra i testi e la lingua, il capolavoro del C. è il Manuale per l'avviamento agli studi provenzali, nato e cresciuto nell'esperienza della scuola(Manualetto provenzale, Padova 1892, e Crestomazia provenzale, ibid. 1892, subito fusi nel Manualetto provenzale, Introduzione grammaticale, crestomazia, glossario, Padova 1893, qui riapparso in seconda edizione più che raddoppiata di mole nel 1905, e nella terza divenuto Manuale della Hoepli, Milano 1926), ancor oggi impareggiato come strumento didattico nel campo della filologia provenzale e ammirevole per il legame profondo, la contiguità e l'interdipendenza che vi regna fra l'accertamento del testo, l'esegesi e la codificazione grammaticale e lessicale ricavata dai testi e ad essi aderente.
I limiti del metodo e delle ricerche del C. sono strettamente legati ai pregi: stanno nella costante impostazione monografica. E anche nella critica del testo, in cui fu maestro (con orientamenti lachmanniani e Raina come punto di riferimento; considerò la critica testuale il "più decisivo cimento della filologia", additando un capolavoro e un modello di ricostruzione nell'edizione della Vie de Saint Alexis di Gaston Paris: cfr. Rom. Frag., p. 143), preferì lavorare su scala minima, producendo edizioni spesso esemplari di singole liriche di trovatori, senza mai offrire (neppure per il trovatore più frequentato, Rambaldo di Vaqueiras) edizioni e interpretazioni complessive come avevano fatto il suo maestro per Arnaut Daniel e il De Lollis per Sordello.
Netto è d'altronde il contrasto fra la scrittura e la metodologia scientifica del C. nei "contributi", di una sobria, essenziale e pur elaboratissima eleganza, e la sua oratoria postrisorgimentale, spesso incline all'enfasi nazionalistica. Anche le orazioni inaugurali e le conferenze sono di solito redatte in stile aulico, talora con risonanze carducciane: si raffronti l'orazione inaugurale per l'anno accademico 1908-09 Romania, col contributo Romana lingua per la miscellanea in onore di A. Hortis (1910): cfr. Rom. frag., pp. 1-26 e 27-41.
La vasta produzione miscellanea in campo romanzo venne scelta e ordinata dal C. in due volumi assai importanti che si collocano ai primordi e alla fine della sua esperienza, Per gli studi romanzi, Padova 1892 (qui St. rom.), e Romànica fragmenta, Torino 1932 (qui Rom. frag.): a distanza di quarant'anni essi ci danno la misura della sua coerenza di ricercatore e della sua capacità non esteriore ma piuttosto celata di rinnovamento, e offrono un'immagine eloquente dell'articolazione e dello sviluppo della disciplina nella pratica del C., delle novità di metodo apprezzabili sia sul piano filologico e storico-letterario sia su quello linguistico. Fra i diversi filoni di ricerca, quello centrale e più tenacemente perseguito è stato quello della filologia provenzale. Se i primi contatti sono alquanto occasionali, come l'erudita Notizia di un'ignota biografia di Arnaldo Daniello apparsa nel primo volume del Giornale stor. d. letter. ital., I (1883), pp. 445-48, relativa a un oscuro notaio cividalese del '500, e come la Nota intorno a Luchetto Gattilusio nel Giornale ligustico (maggio 1883), legata al suo insegnamento genovese, presto maturano gli studi sul Canzoniere provenzale V della Marciana, col recupero della poetessa Azalais d'Altier, e la capitale serie di contributi testuali ed esegetici sul No sai que s'es di Guglielmo IX, sul Vers del lavador di Marcabruno (1900: Rom. frag., pp. 385-408), su Jaufrè Rudel, sulle caricature trobadoriche di Peire d'Alvernhe, su Bernart de Ventadorn, particolarmente sul testo critico di Quan l'erba fresca (Rom. frag., pp. 409-63, con l'esemplare analisi ricostruttiva dell'ordine originario delle strofe), sulla canzone-sirventese di Peire Vidal Son ben apoderatz (Rom. frag., pp. 464-93), sulla "tenzone" immaginaria di Peirol con Amore (Rom. Frag., pp. 494-506), sul sirventese di Aimeric de Peguilhan Li fol e il put eil filol (Rom. frag., pp. 541-66), su Gaucelm Faidit, Lanfranco Cigala e Uc de Saint Circ a Treviso, fino all'ultima nota sulle parole tedesche Broder, guaz nel sirventese parenetico di Peire de la Caravana [Misc. Kastner, Cambridge 1932]; con la serie compatta di studi dedicati a illuminare, anche e con particolare acume nei copiosi riferimenti storici, l'opera poetica di Rambaldo di Vaqueiras, dal contrasto bilingue al discordo plurilingue alla lettera epica, purtroppo mai raccolti in unità come avrebbero meritato. Insieme col ricordato Manuale questo elaboratissimo complesso di ricerche costituisce il contributo maggiore mai offerto in Italia agli studi provenzali. In campo antico-francese all'immatura tesi di laurea fanno seguito notevoli ricerche e note rolandiane, fra cui vanno ricordate le pagine premesse alla traduzione di A. Moschetti, La Canzone d'Orlando, Torino 1896 (cfr. Rom. frag., pp. 293-317, per la parte relativa alla fortuna europea), e soprattutto la nota su L'ultimo verso della "Canzone di Rolando"(1895: Rom. frag., pp. 278-92), un capolavoro di pacata e documentatissima argomentazione; importanti i contributi sulla diffusione della cultura trobadorica nelle corti francesi settentrionali, specie le ricche Nuove postille al trattato amoroso di Andrea Cappellano (in Atti d. Ist. ven. di sc., lett. ed arti, LXIX [1909-10], pp. 1-100 e 473-504) e le note Per le canzoni di Chrétien de Troyes (in Studi lett. offerti a P. Rajna, Firenze 1911) e quelle sulla canzone francese di Gaucelm Faidit; vanno inoltre ricordati qui gli studi su Aucassin et Nicolette, quelli sopra un frammento del Guiron le Courtois e l'elegante identificazione giovanile di un frammento del Museo civico di Padova di una serie di arazzi con testo piccardo raffiguranti la storia di Jourdain de Blaye (1889: St. rom., pp. 139-50; Rom. frag., pp. 318-27). Questo brillante saggio documenta con altri (Gli affreschi epici medievali nel museo di Treviso, in Atti d. Ist. ven. di sc., lett. ed arti, LXII [1902-03], pp. 267-72) l'interesse del C. per le arti figurative; né egli trascurò la musica medievale (Un concerto trobadorico, ibid., LXVII [1907-08], pp. 861-78; Musica francese del Medioevo, ibid., LXXI [1911-12], pp. 1217-26). Fece anche qualche fruttuosa incursione in campo iberico, offrendo contributi sulla tecnica letteraria del Cid (Esempi di endiadi nel "Cid", in Studi mediev., n. s., III [1930], p. 317, e sull'interpretazione degli cendales d'Adria (v. 1971) (1911: Rom. frag., pp. 367-84), dove con una schuchardtiana strategia di massa e con sottile perizia filologica viene ricostruito un capitolo della storia dei commerci mediterranei nell'età delle crociate: la diffusione degli zendali di Andria o Andro nell'Arcipelago. In collaborazione con l'allievo Venanzio Todesco illustrò e poi pubblicò dal ms. ambrosiano la versione catalana della Queste del saint Graal (Barcelona 1917).
Alla letteratura italiana soprattutto medievale e cavalleresca il C. si volse, diversamente dal Canello, con interessi e intenti di romanista e di comparatista, o meglio di storico di forme e tradizioni interlinguistiche. Nel tracciare la parabola della letteratura cavalleresca tra Francia e Italia, tema già della sua tesi di laurea, si accorse presto della fallacia del disegno evoluzionistico che alla produzione franco-veneta assegnava la funzione strumentale di "anello di congiunzione". Nei capitali studi Di una data importante nella storia della epopea franco-veneta (1895-96)e Di Nicolò da Verona (1896-97), entrambi in Rom. frag. (pp. 328-366), è privilegiata sulla produzione giullaresca e popolaresca la tarda elaborazione aristocratica del Veronese autore della Pharsale, della Prise de Pampelune, della Passion, non menestrello ma trovero cortigiano, e così dell'Anonimo padovano autore dell'Entrée d'Espagne; in tal modo è colta l'autonomia e l'originalità di questa letteratura di corte (ma il C. si fermò all'inizio della tela del Poema cavalleresco imbastita per la "Storia letteraria per generi" del Vallardi). Alla fruttuosa esperienza di comparatista si lega, in campo provenzale, lo studio Le "razos" provenzali e le prose della "Vita Nuova" (in Giorn. stor. d. letter. ital., XXXII [1898], pp. 463 s.), che sviluppa originalmente in breve precedenti rilievi dello Scherillo e del Rajna; e nell'area trobadorica e cortese sono orientate letture e note dantesche. Ma certo il suo contributo più autorevole in campo italiano è costituito dalle laboriosissime ricerche sulla biografia e sulle fonti del Boccaccio.
Già nel 1882 il C. si era volto a indagare simboli e allegorie autobiografiche nelle opere minori del Boccaccio e aveva pubblicato Due studi riguardanti opere minori del Boccaccio (Padova 1882) subito recensiti favorevolmente sul primo tomo del Giorn. stor. d. letter. ital. (p. 133). Successive indagini, particolarmente sulle allegorie dell'Ameto, confluirono nel Contributo agli studi sul Boccaccio (Torino 1887). La ricostruzione biografica proposta qui e in altri contributi successivi è pericolosamente fondata sulle affabulazioni pseudo autobiografiche proposte dalla mitopoiesi boccacciana, come ha avuto agio di dimostrare la critica successiva, dal Battaglia al Billanovich al Branca; ma anche se spesso scambia il mito con la realtà biografica, la ricostruzione del C. contiene elementi nuovi e rappresenta un momento necessario nello sviluppo degli studi. Altre ricerche giovanili riguardano i rapporti del Boccaccio con vere e presunte fonti romanze. Il C. ripercorse l'iter che porta dalle redazioni francesi del romanzo di Floire et Blancheflor al Filocolo del Boccaccio, ne studiò una redazione spagnola e dette una eccellente edizione del Cantare di Florio e Biancifiore (I-II, Bologna 1889-99). Fondandosi su controvertibili dati toponomastici postulò l'esistenza di una fonte franco-veneta comune al cantare tosco-sett. e al Filocolo, e il cantare fu generalmente ritenuto un collaterale, se non un diretto antecedente, del romanzo del Boccaccio. Mentre Angelo Monteverdi ha ritenuto di poter capovolgere il rapporto (Un libro d'Ovidio e un passo del Filocolo, in Studia... in hon. L. Spitzer, Bern 1958, pp. 335-40), rilevando echi della prosa boccacciana, la tesi del C. ha potuto essere oggi ripresa dal Balduino, accantonando il postulato franco-veneto. Altri contributi riguardano le fonti classiche del Boccaccio, come Il primo atto della "Phaedra" di Seneca nel primo capitolo della Fiammetta del Boccaccio, in Atti d. Ist. ven. ..., LXXX (1920-21), pp. 455-66, penetrante definizione del senechismo e dello stile tragico boccacciano.
In campo linguistico, oltre all'eccellente caratterizzazione del provenzale antico nel ricordato Manuale, il C. produsse ammirevoli ricerche etimologiche, spesso legate all'interpretazione di un testo, come nel caso ricordato degli cendales d'Adria, talora autonome, come la nota su anaphus (1920) e i poderosi studi su gabella (1913) e su goliardo (1920 e 1926), tutti accolti in Rom. frag. (pp. 173-76; 177-92; 201-277). Date, temi, metodologia di queste indagini lessicologiche sono molto significativi: trattando con eccezionale perizia filologica e linguistica e sensibilità semantica parole di origine controversa e dalle molte vite, chiarendo il rapporto fra il germ. hnapp, la glossa tardolatina anaphus e le voci romanze nappo e simili, o ribadendo in base a considerazioni fonetiche e insieme storico-geografiche l'origine araba di gabella, o ripercorrendo per goliardo la storia delle connessioni paraetimologiche, entro un quadro ricchissimo di cultura biblica e simbologia morale medievale, fra il lat. gŭla, il denominale in -iare e derivati romanzi, col biblico Goliath, il C. si muove sul terreno della linguistica francese e tedesca di quegli anni, nella decisa rivalutazione delle associazioni etimologiche viventi e nella considerazione dei fattori geografici e ambientali.
Nel suo lavoro così vasto e puntuale il C. ebbe una coscienza metodologica vigile e tormentata, e va rilevato il contributo notevole da lui fornito alla storia della filologia romanza. Il giovanile sondaggio nell'epistolario di Iacopo Corbinelli come "contributo alla storia degli studi romanzi" (Giorn. stor. d. letter. ital., II [1883], p. 303 ss.; rist. in St. rom.), approda più di trent'anni dopo alla poderosa fondamentale recensione agli studi di Rita e Aristide Calderini (ibid., LXVIII [1916], pp. 395-434, poi in Rom. frag., pp. 42-98). Ricchi di insegnamenti sono i profili e ricordi di maestri e colleghi: da Carducci "neolatinista" a D'Ancona, da Gaston Paris al Mussafia al provenzalista cui fu più legato da lunga consuetudine e amicizia, Emil Levy, dal suo maestro Canello all'"eterodosso" Emilio Teza, da Renier e Novati all'amico Antonio Medin.
Va infine ricordato come merito dello studioso l'aver promosso la preparazione di un supplemento italiano al Lexicon del Ducange: si veda la relazione presentata all'Istituto veneto il 20 febbr. 1920 Per la compilazione dei "Supplementa Italica glossarii mediae et infimae Latinitatis".
Opere: Una Bibliografia delle opere scientifiche, per vero frettolosa e imprecisa, fu pubblicata dallo scolaro Antonio Viscardi all'inizio di V. Crescini, Romanica fragmenta, Torino 1932, pp. XVII-XXVII. Preziose indicazioni bibliografiche sugli scritti del C., oltre che sul quadro dei suoi interessi, fornisce il Catalogo della biblioteca di V. Crescini, a cura dell'Ist. di filol. romanza dell'univ. di Roma, Modena 1947, in cui sono presenti anche alcuni corsi di dispense, di cui manca purtroppo una bibliografia anche sommaria. Si registrano qui alcune dispense notevoli, giunte nelle mani dello scrivente: La lirica artistica provenzale e la italiana nel Medio Evo. Illustrazioni alle Rime dei trovatori. La canzone di Orlando (Corso di storia comparata delle letterature neolatine, a. a. 1898-99), Padova 1899; Del metodo storico (Appunti presi alle lezioni del prof. V. Crescini); La Quarta Crociata (Appunti di storia moderna per l'a. a. 1898-99); La Crociata contro gli Albigesi (Appunti del corso di storia moderna per l'a. a. 1899-1900), Padova 1899-1900; L'Epopea Romanzesca in Italia (Dalle origini al Tasso). Lezioni di letteratura italiana per l'a. a. 1915-16, Padova 1916. Una vasta raccolta di pubblicazioni ed estratti è nella Bibl. universitaria di Padova.
La Miscellanea di studi critici in on. di V. C., preparata da colleghi, scolari e amici per il 60º compleanno nel 1917, già pronta per la legatura andò dispersa a Cividale dopo Caporetto: un esemplare dei pochissimi recuperati fu offerto al C. nel 1927, e una riproduzione anastatica fu diffusa nel 1957, centenario della nascita, dalla Bottega d'Erasmo di Torino con una premessa di A. Viscardi (nel frontespizio "Cividale, Tipografia Fratelli Stagni, 1927").
Bibl.: V. Lazzarini, in Atti e mem. d. R. Accademia di scienze, lettere ed arti in Padova, n. s., XI-VIII (1931-32), pp. 457 ss.; Id., in Archivum Latinit. Medii Aevi, VIII (1933), p. 218; G. Devoto, in Ateneo veneto, CXXIII (1932), 1, pp. 182-83; S. Debenedetti, in Giorn. stor. d. letter. ital., C (1932), pp. 207 s.; L. Landucci, in Arti del R. Istituto veneto di sc., letter. ed arti, XCI (1931-32), pp. 83-86; G. Bertoni, in Il Libro italiano, VI (1938), pp. 299-302; A. Viscardi, in Veneto, 3 giugno 1932, e in La Cultura, s. 5, XI (1932), pp. 637-39; e dello stesso la commemorazione centenaria pubbl. in Cultura neolatina, XVII (1957), pp. 5-19 (poi rielaborata in Belfagor, XVI [1961], pp. 175-94 e ristampata in I critici. Storia monografica della critica moderna in Italia, Milano 1969, II, pp. 1347-70); D. Valeri, In memoria di V. C., in Archivio veneto, XII (1932), pp. 309-311; A. B. Terracini, V. C., Commemorazione, Padova 1935 (rist. in Guida allo studio della linguistica storica, Roma 1949, App., cap. VIII, Glottologia e filologia: V. C., pp. 237-51, ancora la migliore ricostruzione della personalità del filologo).
Particolarmente per i rapporti col maestro Canello e i caratteri della "scuola padovana" si vedano: T. De Mauro, Diz. biogr. d. Ital., s. v. Canello, Ugo Angelo; L. Renzi, in I critici, Milano 1969, I, pp. 595-616; C. Dionisotti, Appunti sulla scuola padovana, in Medioevo e Rinascimento veneto, Padova 1979, II, pp. 346-48; Id., Ricordo di Debenedetti, in Medioevo romanzo, V (1978), pp. 161-64 (specie sui rapporti con G. Bertoni); Cento anni di filologia romanza a Padova (catal. della Mostra storico-bibliografica in occasione del "IX Congrès Intern. de la Société Rencesvals"), Padova 1982, a cura di A. Limentani, pp. 18-20.