D'ONOFRIO, Vincenzo (Innocenzo Fuidoro)
Nacque a Napoli nel 1618, d'antica famiglia originaria di Procida di condizione mediana e civile.
Che il nome di Innocenzo Fuidoro, con il quale le sue opere sono firmate, sia chiaramente un anagramma del D. dà notizia, in un brano del Cronicamerone, Antonio Bulifon, colui il quale, idealmente, continuò la sua opera di diarista della città di Napoli. La causa di tale espediente va probabilmente ricercata nelle pagine della maggior fatica del D., I giornali di Napoli, in cui sono non di rado satireggiati e polemicamente attaccati ricchi e nobili.
Un ignoto copista settecentesco conferma la notizia, svelando, nel trascrivere il Diario diGiuseppe Campanile largamente postillato dal D., in una nota a fondo pagina nel frontespizio, la vera identità dell'infaticabile cronista.
L'esistenza non dovette serbargli sorprese, acuti disagi o particolari oneri di cui farsi carico. Rivestì, infatti, gli ordini religiosi ed ebbe cura di conseguire la laurea in legge, senza aver la voglia e quindi il bisogno di esercitare attivamente l'avvocatura. Il dottorato in giurisprudenza lo segnala, comunque, nel contesto della vita sociale e civile napoletana di metà secolo, se non tra le fila, almeno preda di quei fermenti culturali di rinnovamento e di impegno sul fronte della vita pubblica che caratterizzavano le migliori personalità di giureconsulti dell'epoca attive nella capitale, a stretto contatto con le autorità spagnole.
Ma l'attività sulla quale mostrava riporre le migliori forze fisiche ed intellettuali era senz'altro la compilazione dei Giornali, raccolta, giorno per giorno, di fatti, notizie e voci non solo, anche se in maggior misura, riferite alla città di Napoli. Aveva le sue precise fonti d'informazione nella parte meno gretta e retrograda della nobiltà, nell'alto clero dove, fra gli altri, fu intimo del cardinale Innico Caracciolo, in personalità a diretto contatto con Roma, in funzìonari dell'amministrazione pubblica.
I Giornali di Napoli non hanno un titolo generale: come data di partenza indicano il 1º febbr. 1660 e giungono a tutto dicembre 1680. Ma il D. è anche autore di due pubblicazioni che si riferiscono a periodi precedenti: i Successiistorici della sollevazione di Napoli delli 7 di luglio 1647 sino ai 6 aprile 1648, in cui si narra della sommossa partenopea guidata da Masaniello, e il Governo del conte d'Oñatte, dedicata alla successiva restaurazione spagnola.
Tali opere per stile, taglio documentario, interventi dell'autore formano senz'altro un organismo compatto ed unitario. Innanzitutto il D. vuole differenziarsi dal diarista classico, in quanto non tralascia di indagare il senso degli avvenimenti attraverso i loro nessi causali. L'amore per "la verità" è stimolo e causa prima della fatica di prender nota delle vicende metropolitane "per essempio e profitto dei posteri per buon reggere se medesimi". Le notizie raccolte sono esplicitamente considerate dall'autore alla stregua di nudi perciò genuini materiali, che il lettore può godere ma anche emendare a seconda delle esigenze e delle circostanze: da qui, l'attribuzione metaforica con cui il D. definisce la sua fatica in avvertenza ai prossimi fruitori, una "rustica selva", che si può percorrere a piacimento per rivivere con intelligenza e passione il dramma presente. Napoli, infatti, è la scena privilegiata di un teatro del mondo, la cui meraviglia non è però affidata a una ben oliata macchineria o a scorribande in spazi immaginifici, bensi risulta tutta concentrata sulla commedia umana di un popolo e i suoi governanti. Sono gli uomini, solo essi, che decidono e dispongono di ciò che accade.
Quando, ad esempio, egli, prete, vuole tirare in ballo l'intervento divino, questo appare come notifica dell'esistente, sigillo a questioni sulle quali il giudizio umano si è gia ampiamente esercitato. Se lo reputa opportuno, il D. spazia anche fuori Napoli per dar notizia di avvenimenti collegati con la città o che in essa abbiano prodotto un certo scalpore quali, per esempio, l'incendio dell'Escorial o le fasi della politica pontificia.
Il D., in generale, ritiene gli Spagnoli come sostanzialmente estranei alla vita del Regno; non tralascia quindi di riferire risse tra soldati e popolo, esecuzioni, conferimenti di cariche amministrative. L'aristocrazia è presa particolarmente di mira: il patriziato è ben lungi, a Napoli come nel Napoletano, dal recitare un ruolo guida per la vita dello Stato, spesso si ritira nei vari possedimenti fondiari, tagliato fuori dalle principali fonti di ricchezza, diffidente se non pigro nell'allestire fruttuose imprese commerciali, quando esce dalla sua tana è per ribaldeggiare e taglieggiare. Ciò è evidente soprattutto in provincia, ma anche la capitale non brilla in quanto a scambi e manifatture, vita universitaria, questione morale. Il clero interviene laddove i nobili sonnecchiano e gestisce una sua precisa e spesso illegale pratica economica.
Tutto ciò è presente nelle pagine del D. in modo deciso, tanto che qualche lettore ha lamentato, a volte, un atteggiamento riduttivamente moralistico, non attento ai reali rapporti di forza che quel corpo sociale era in grado di esprimere. È indubbio come, accanto a duelli feste, recite, arrivi, partenze, nascite, cerimonie, condizioni climatiche, persino annotazioni letterarie su Dante Tasso Tacito e le regole aristoteliche, la narrazione voglia ritagliarsi certe pause in cui trovi modo di manifestarsi in prima persona l'autore stesso: se è vero che, nel momento in cui lamenta degli sperperi che nobili, popolo e plebe sono usi mettere in atto, finisce col chiosare la notizia attribuendo tale atteggiamento a caratteristiche dell'animo umano generalmente inteso, è anche vero però che, subito dopo, si sofferma volentieri su puntualizzazioni più attinenti al contesto storico sociale indirizzando il lettore sulla pratica, deleteria per la società, dei matrimoni misti, tra rampolli di nobili spiantati e figli di popolani con tanto di borsa e di dote.
Nel 1681 il D. venne colpito da una grave infermità, che gli sottrasse l'uso delle gambe. Instancabile, la cronaca cittadina si confermava, ora più che mai, il maggior cruccio, l'attività senza posa, il motore ideale. Continuava a scrivere i Diari, divorava volumi di altri autori, copiava operette manoscritte e non, manteneva, seppure con minore intensità, i contatti con le fonti abituali. Venne fermato solo dalla morte, che lo colse a Napoli il 12 genn. 1692.
Opere: Successi istorici della sollevazione di Napoli delli 7 di luglio 1647 sino ai 6 aprile 1648, manoscritto (Napoli: Bibl. naz., X. B. 12 bis; Bibl. della Società storica napoletana, XXV. D. 4-6, e una copia al Museo dell'Archivio di Stato di Napoli), Governo del conte d'Oñatte, manoscritto (Napoli, Bibl. naz., X. B. 45); Innocenzo Fuidoro, Successi del governo del conte d'Oñatte, a cura di A. Parente, Napoli 1932; Id., Giornali di Napoli, manoscritto (Napoli, Bibl. naz., X. B. 13-19), Id., Giornali di Napoli dal 1660al 1680, I, a cura di F. Schlitzer, Napoli 1934; II, a cura di A. Padula, ibid. 1938, III, a cura di V. Omodeo, ibid. 1939.
Bibl.: Sul D., la sua cultura, la sua vita si vedano le prefazioni ai testi citati nell'elenco delle opere, in special modo I. Fuidoro, Successi del governo del conte d'Oñatte, cit., prefaz. di A. Parente, pp. IX-XXII, e il primo volume dei Giornali, cit., prefazione di F. Schlitzer, pp. IX-XI.