DANESE, Vincenzo
Figlio di Domenico, nipote di Danese di Cecco da Viterbo, viene comunemente ricordato nei documenti come Vincenzo Danese. Da una serie di documenti è ricostruibile la sua attività di scalpellino alla Fabbrica di S. Pietro quasi ininterrotta tra il 1590 e il 1514 (rimane non documentato l'anno 1512): dal 21 febbr. 1508, quando "Vincenzo Danesi" è definito "superstans magistrorum fabrice Sancti Petri", al periodo tra il marzo 1513 e il marzo 1514, quando è nominato nei "Chapitoli de l'opera de lo scalpello che al presente sa da fare in sancto petro infra Juliano Leno e li mastri scarpellini... secondo bramante designerà... a seij chappimastri scalpellini... mastro vincentio da Viterbo..." (Frommel, 1976). Da quest'ultimo documento si ricava come il D., oltre ad essere un abile esecutore, possedesse anche opportune capacità organizzative, indubbiamente derivategli oltre che dalla attività della sua famiglia, anche da una prolungata pratica di lavoro. A parte l'indiscutibile attrazione che il gigantesco cantiere di S. Pietro poteva produrre su ogni "esecutore", si potrebbe ritenere che l'incontro del D. con l'équipe di Bramante possa essere avvenuto a Viterbo, durante le trasformazioni bramantesche alla Rocca (dal 1506) per conto di Giulio II.
Il 21 giugno 1514, avendo il Comune di Viterbo deciso la costruzione di quella che sarà chiamata chiesa di S. Maria delle Fortezze, la direzione dei lavori fu affidata al Danese. È da ricordare come l'impianto della chiesa, che era simile a quello bramantesco a croce iscritta per SS. Celso e Giuliano a Roma, può in qualche modo giustificare le antiche fonti che la facevano opera di Bramante (Bussi, 1742), potendosi supporre che la pianta potesse essere stata fornita dalla cerchia bramantesca tramite il Danese. La cosa comunque può essere addotta a dimostrazione del fatto che un determinato linguaggio d'autore veniva acquisito e diffuso rapidamente da personalità minori, cui deve essere riconosciuto almeno questo merito.
Successivamente il D. compare insieme ad altri due "chapimastri" in una problematica lettera di Raffaello del 15 dicembre 1515 (segnalata da V. Federici, in Arch. della R. Società romana di storia patria, XXX [1907], p. 491) diretta al "Chapitaneo e chomuno de Tiboli" onde permettere la scelta e il prelievo di "prete antique" da "porse in opera de la fabricha de sancto petro" (E. Bentivoglio, Una lettera di Raffaello, in L'Architettura, 1971, n. 193, pp. 481 ss.). È nominato per l'ultima volta il 28 dic. 1517 nel testamento di Danese di Cecco che gli assegna un lascito.
Fonti e Bibl.: F. Bussi, Istoria della città di Viterbo, Roma 1742, p. 319; C. Pinzi, Memorie e docum. inediti sulla basilica di S. Maria della Quercia…, in Arch. storico dell'arte, III (1890), p. 304; C. L. Frommel, Die Peterskirche unter Papst Julius II. im Licht neuer Dokumente, in Römisches Jahrbuch für Kunstgeschichte, XVI (1976), pp. 59 ss.