FASSINI, Vincenzo Domenico
Da non confondersi con altri Fassini a lui contemporanei, con nome parzialmente identico, originari dello stesso luogo e ugualmente appartenenti all'Ordine domenicano, come Vincenzo Fassini, professore e predicatore, morto il 20 marzo 1787, e Angelo Vincenzo Fassini, morto il 15 ott. 1769.
Nacque il 18 ag. 1738 a Racconigi (Cuneo) dal giureconsulto Sebastiano e da Teresa Rossetto. All'età di quindici anni, dopo aver appreso i primi rudimenti delle lettere nel paese natale, prese l'abito domenicano nella casa di Garessio (Cuneo), studiò la filosofia nel convento del Bosco (oggi Bosco Marengo) e la teologia in quello di Como. Nella sua formazione culturale ebbe un ruolo determinante il passaggio, nel 1759, allo Studio generale di Bologna, dove apprese la lingua greca, la storia ecclesiastica e le antichità cristiane maturando - secondo Angelo Fabroni (Vitae Italorum..., XV, p. 129) - un certo distacco dai metodi degli scolastici.
Sempre a Bologna ricevette il suddiaconato il 18 dic. 1759, il diaconato il 16 sett. 1760 e il sacerdozio il 4 luglio 1761. Dopo il corso triennale degli studi conseguì il grado di lettore il 1º giugno 1764.
Di carattere ardente e polemico, il F. incontrò presto le resistenze dei suoi superiori a motivo del tenace sostegno dato, fin dagli anni giovanili, a quella linea di rinnovamento teologico che era stata avanzata dal confratello Daniele Concina e che si proponeva un ritorno alle sorgenti del pensiero cristiano e al tomismo originario in funzione antimolinista.
A difesa del Concina il F. scrisse una serie di profili biografici in latino e in italiano, alcuni dei quali pubblicati sotto pseudonimi, e di volta in volta aggiornati secondo la piega polemica antilassista. Essi furono il De vita et studiisp. Danielis Concinae O. P. commentarius cura et studio V[incentii] F[assinii] R[aconisiensis], Venetiis 1762; Dionysii Sandellii Patavini De Danielis Concinae vita et scriptis commentarius, Brixiae 1767; 2 ediz. Venetiis 1767; Vita delp. Daniello Concina... che serve di compimento alle celebri Lettere teologico-morali di Eusebio Eraniste, Venezia 1768, posta all'Indice nel 1777.
Nel 1768apparve a Brescia, sotto lo pseudonimo Niceforo Desmio, una traduzione italiana della Vita apparsa l'anno precedente, leggermente modificata e accresciuta da qualche sacerdote del seminario vescovile di Brescia guidato dal F. (Melzi, Dizionario..., I, p. 289).
Per la composizione di queste opere il F. si era messo in contatto con alcuni esponenti delle tendenze conciniane nella Repubblica veneta (come il conte Gian Maria Mazzuchelli) e con il principale punto di riferimento dei giansenisti romani, Giovanni Bottari, dal quale ricevette aiuti e consigli (Vecchi, Correnti religiose..., p. 348; Dammig, Il movimento giansenista..., p. 291).
Le censure ecclesiastiche alle biografie del Concina non si fecero attendere. Già al momento della prima edizione il F. avvertiva il Mazzuchelli che aveva dovuto sacrificare alcuni passaggi del volume per le "gran opposizioni" dei barnabiti incaricati della revisione, "i quali si protestano tomisti e concinisti, ma sono peggiori de' gesuiti" (lettera del 18 apr. 1762 in Mantese, Pietro Tamburini..., p. 46 n. 12).
Nel 1764 fu inviato a Brescia per insegnare filosofia e casi di morale nel locale convento domenicano. Qui consolidò i suoi legami col conte Mazzuchelli partecipando al rinomato circolo letterario che si teneva nella sua casa (cfr. le lettere del 1765 e del 1768 a Giambattista Rodella menzionate dal Vecchi, Correnti religiose… , pp. 473 s.).
Durante il soggiorno bresciano dette alle stampe altre opere: il Monologo d'un vivo contro i dialoghi dei morti, Brescia 1766 (sotto lo pseudonimo di Giuseppe Colpani, cfr. Melzi, Dizionario…, II, p. 207), il De vita et scriptis Fr. comitis Ginanni patricii et philosophi Ravennatis commentarius, ibid. 1767 (sotto lo pseudonimo Parvus Petrus; cfr. ibid., p. 318) e il De singularibus Eucharistiae usibus apud veteres Graecos commentarius, ibid. 1769 e Vienna 1776.
Desideroso di ricoprire una cattedra pubblica di teologia, nel 1769 pregò l'amico Lodovico F. Berta d'interporre i suoi buoni uffici presso P. M. Paciaudi per ottenere un posto nell'università di Parma. Andato a vuoto questo tentativo per le pregiudiziali del duca Ferdinando contro i regolari (cfr. Il giansenismo in Italia..., I, 2, pp. 79, 84), in quello stesso anno lasciò Brescia con l'incarico d'insegnare teologia morale nel convento di Ferrara. In questo periodo cominciò a frequentare a Venezia due confratelli di grande erudizione, Bernardo Maria De Rubeis e Casto Innocente Ansaldi. Sicuramente il senso filologico dei primo e l'esperienza apologetica sul terreno neotestamentario del secondo stimolarono il F. a rivolgere gli studi verso l'antichità cristiana. Espressione diretta di questa tendenza si possono considerare le due opere pubblicate a Venezia nel 1770 e nel 1772: il De priscorum christianorum synaxibus extra aedes sacras commentarius e il De veterum quorundam christianorum propriis selectisque nomibus dissertatio.
Dietro interessamento di Angelo Fabroni e del segretario del regio diritto del Granducato di Toscana Antonio Mormorai, il F. fu chiamato nel 1772 a ricoprire la cattedra di Sacra Scrittura nell'università di Pisa. Con motu proprio del 28 ag. 1784 venne anche incaricato - dietro sua richiesta - dell'insegnamento di storia ecclesiastica "con quel metodo che gli sarà prescritto dal provveditore di detta università" (Arch. di Stato di Firenze, Segreteria di Stato, 1784, Protocollo straordinario, III, ins. 171). In questa circostanza il suo stipendio fu aumentato di 60scudi oltre i 228 che percepiva annualmente.
Il trasferimento in Toscana segnò nel F. il passaggio dagli interessi prevalentemente teologici caratterizzati dalla lotta alle tendenze moliniste e alla tarda scolastica a quelli storico-apologetici in chiave antilluminista. Al centro del suo impegno culturale venne posta la difesa della Sacra Scrittura dagli attacchi degli esegeti libertini e razionalisti.
Un rilievo particolare assunse, al riguardo, la confutazione dell'Examen critique des apologistes de la religion chrétienne, attribuito a Nicolas Fréret (1766). Analizzato dettagliatamente dal Prandi, il De apostolica origine Evangeliorum Ecclesiae catholicae liber singularis adversus Nicolaum Freretum (Liburni 1775) rifletteva e ampliava i corsi universitari pisani.
Benché fosse a conoscenza delle repliche all'Exanien date da Nicolas-Sylvestre Bergier e da Antonino Valsecchi, il F. ritenne opportuno di far leva su nuovi argomenti filologici e di muovere ulteriori obiezioni di metodo. Avvalendosi degli studi esegetici senza preclusioni di carattere confessionale (cita, tra gli altri, J. Leclerc, R. Simon, H. Dodwell, J. Pearson, Th. Stackhouse, J. L. v. Mosheim), egli si propose di rivendicare l'apostolicità dei Vangeli canonici col mostrare che nel primo cristianesimo le dottrine eterodosse erano seguite da pochi, i quali peraltro si appoggiavano sui Vangeli canonici. In secondo luogo cercò di rettificare la cronologia dei Vangeli, fece appello alle qualità narrative di essi, alle testimonianze di Eusebio e di altri scrittori contro gli eretici per demolire le obiezioni contro la tradizione ecclesiastica.
Anche tre opere successive del F. ebbero per oggetto la difesa dei libri sacri: Divinae libri Apocalypseos auctoritatis vindiciae ex monumentis Graecis adversus nuperas exceptiones Firminii Abauzitii Genevensis, Lucae 1778 (contro le obiezioni del protestante Firmino Abauzit circa l'autenticità dell'ultimo libro del Nuovo Testamento vengono addotti testi dal I al IX secolo che l'attribuiscono a Giovanni apostolo); Divinitas Iesu Christi testimonis martyrum ostensa et vindicata, Venetiis 1780, e De Alexandro Magno ingresso Hierosolymina antequam se ad Hammonis oraculum transferret, exercitatio, in qua Flavii Iosephi narratio defenditur. Accedit altera de eiusdem regis imperii divisione ad cap. 1, lib. I Machabaeorum, Florentiae 1780 (a difesa dell'autenticità del I e II Maccabei).
Si comprende, quindi, come il notevole sforzo compiuto dal F. per difendere la Bibbia dalle obiezioni dei protestanti, dei libertini e degl'illuministi lo facesse ritenere presso i contemporanei uno dei più celebri apologisti della religione cristiana (Effemeridi letterarie di Roma, VIII [1779], p. 19).
Più complesso si rivela, invece, l'atteggiamento del F. verso il giansenismo e i suoi esponenti. Nonostante le lettere siano al riguardo "quasi sempre generiche e guardinghe" (come ha notato lo Stella in Il giansenismo..., I, 2, p. 56), non si possono ignorare i suoi rapporti con Giuseppe Zola, Pietro Tamburini, Scipione de' Ricci e Antonino Baldovinetti negli anni Settanta e ottanta del Settecento.
È significativo, ad esempio, che nel 1777 il F. prendesse parte attiva allo smercio della dissertazione tamburiniana De gratia (cfr. Firenze, Bibl. naz., Autografi, cassetta 50 n. 104: due lettere a Francesco Fontani del 10 gennaio e del 28 febbr. 1777), che fosse uno degli ideatori e dei collaboratori del periodico giansenista fiorentino Annali ecclesiastici (cfr. VII [1787], 29, pp. 119 s.), che carteggiasse con una certa continuità col Ricci (cfr. Arch. di Stato di Firenze, Carte Ricci, nn. 75, 76, 79), e che ne lodasse le pastorali.
Resta il fatto, tuttavia, che egli rifiutò sempre di schierarsi pubblicamente a favore del "partito" giansenista, come mostra la mancata risposta all'appello di Fabio De Vecchi per la sottoscrizione di una lettera di comunione alla Chiesa d'Utrecht nel 1780. Nel gruppo ricciano, questo ed altri episodi - come le critiche mosse, alla riduzione leopoldina degli Ordini religiosi (per le quali cfr. la lettera dell'Alfieri a M. Bianchi, del 25 nov. 1784, in Lettere inedite di Vittorio Alfieri..., pp. 125 ss.) - furono interpretati come l'espressione di una certa doppiezza interiore.
Non a caso il F. scrisse al Ricci il 12 marzo 1784: "Spero bene che la ossequierò un giorno, e che in quella occasione potrò toglier qualunque ombra che mai aver potesse intorno al mio pensare e costanza" (Arch. di Stato di Firenze, Carte Ricci, n. 79 c. 90).
Le critiche rivolte dal F. nel 1785 al piano di riforma della Chiesa di Livorno avanzato dal Baldovinetti mostrano che, per quanto estesi fossero i punti di contatto coi filoricciani in materia di teologia e di morale, rimanevano differenze non lievi sul terreno ecclesiologico e pastorale (cfr. Ibid., Segreteria di Stato, 1785, Protocollo XVII straordinario, ins. 44, contenente il parere del Fassini).
Su questi ultimi temi il F. intervenne nell'opera Ad r. p. Natalis Alexandri O. P. Historiam ecclesiasticam supplementum duas in partes distributum (Bassano 1778), la quale voleva aggiornare il prestigioso manuale del teologo gallicano Alexandre in senso opposto al Supplementum pubblicato dall'ex gesuita Francesco Antonio Zaccaria a Venezia nel 1776-77.
Su questa linea d'approfondimento delle dottrine della Chiesa in chiave storica e del correlativo distacco dalle fazioni teologiche contemporanee si situa l'ultima fatica del F., consacrata alla traduzione dal latino in francese dell'Histoire de la théologie del certosino Bonaventura d'Argonne, pubblicata a Lucca in due volumi nel 1785- Oltre a curare la traduzione, il F. premise al II volume una Dissertation sur le fanatisme théologique (pp. I-XXVIII).
Il F. morì a Pisa il 15 luglio 1787, lasciando i suoi beni ai domenicani di Torino, al cui convento egli restò affiliato nonostante fosse da molti anni vissuto extra claustra, non avesse più portato l'abito e fosse stato secolarizzato (dietro sua richiesta) con motu proprio di Pietro Leopoldo il 24 febbr. 1785.
Nella storia della teologia cattolica del secondo Settecento il F. è stato studiato per lo più nei suoi rapporti col giansenismo e solo grazie allo studio del Prandi s'è cominciato a valutare la portata del suo sforzo apologetico alla sfida libertino-illuminista. Come ha notato lo Stella (Il giansenismo italiano, I, 2, p. 56), si tratta di una personalità complessa non facilmente inquadrabile in una sola corrente di riforma religiosa.
Fonti e Bibl.: Annali ecclesiastici (Firenze), VII (1787), pp. 119 s.; L. Bulferetti, Lettere ined. di giansenisti bresciani, in Atti della Acc. delle scienze di Torino, LXXXIV (1949-1950), 2, pp. 96 s.; Il giansenismo in Italia. Collez. di documenti, a cura di P. Stella, I, 2, Zürich 1970, pp. 55 ss., 79 s., 84; I, 3, ibid. 1974, p. 575; Carteggi di giansenisti liguri, a cura di E. Codignola, Firenze 1941-1942, I, p. 454; II, p. 100; Lettere inedite di Vittorio Alfieri alla madre, a Mario Bianchi e a Teresa Mocenni..., a cura di I. Bernardi-C. Milanesi, Firenze 1864, pp. 125 ss., 140, 142, 144; Pietro Leopoldo d'Asburgo Lorena, Relazioni sul governo della Toscana, a cura di A. Salvestrini, I, Firenze 1969, p. 199; A. Fabroni, Vitae Italorum doctrina exce lentium qui saeculis XVII et XVIII floruerunt, XV, Pisis 1792, pp. 124-146; G. Tiraboschi, Storia della letter. ital., XI, Modena 1795, pp. 196, 272; A. Lombardi, Storia della letter. ital. nel secolo XVIII, I, Modena 1827, pp. 227 s.; E. Micheli, Storia dell'Università di Pisa dal 1737 al 1859, Pisa 1877, pp. 26 ss.; F. Banfi, Un umanista bolognese e i domenicani. A proposito dell'opera inedita su G. Garzoni..., in Memorie domenicane, LII (1935), pp. 365-378; G. Mantese, Pietro Tamburini e il giansenismo bresciano, Brescia 1942, pp. 45 s.; E. Dammig, Il movimento giansenista a Roma nella seconda metà del sec. XVIII, Città del Vaticano 1945, pp. 291, 372; E. Codignola, Illuministi, giansenisti e giacobini nell'Italia del Settecento, Firenze 1947, pp. 39 s.; A. Prandi, Cristianesimo offeso e difeso. Deismo e apologetica cristiana nel secondo Settecento, Bologna 1975, pp. 12-15, 315-346; A. Vecchi, Correnti religiose nel Sei-Settecento veneto, Venezia-Roma 1962, pp. 348, 473 s., 485; L. A. Redigonda, F. D. V., in Dict. d'hist. et de geogr. ecclés., XVI, Paris 1967, coll. 672 ss.; G. Melzi, Diz. d'opere anonime e pseudonime di scrittori ital., I, Milano 1848-59, p. 289; II, pp. 160, 207, 318; III, pp. 22, 252; H. Hurter, Nomenclator literarius, III, coll. 404 ss.; Enc. catt., V, col. 1054.