DOTTO (Dotti), Vincenzo
Nacque a Padova nel 1572 da Ettore e da Samaritana Papafava (Brandolese, 1795, p. 275); di nobile famiglia, ricevette un'istruzione universitaria ed ebbe comunque legami con l'università, perché il Tommasini (1654) lo ricorda come patrono padovano della nazione gallica; il Portenari (1627) lo definisce "geografo eccellentissimo" (p. 96) e "versatissimo nella Cosmografia, e nella Architettura. Ha delineato la città di Padova posta in quest'opera [il libro cioè del Portenari] con somma squisitezza" (p. 273); il Tommasini ancora (1654) lo definisce "mathematicae peritissimum". Preparazione matematica dunque e competenze di geografo e di topografo a corredo di un'attività architettonica che, per quanto importante e impegnata, non dovette tuttavia essere quantitativamente rilevante, poiché esercitata più per piacere personale e prestigio che per autonoma professione, secondo lo stile degli "architetti dilettanti", che proprio nella nobiltà veneta avevano i precedenti immediati del veneziano Alvise Corner e del vicentino Giangiorgio Trissino, legati a Padova e sicuramente presi a modello dal Dotto.
Egli morì, "senza discendenza" (Brandolese, p. 275), "il primo dì del settembre dell'anno 1629" (Moschini, 1817, p. 263).
Al di là delle affermazioni generiche del Portenari e del Tommasini le prime indicazioni concrete circa un'attività di architetto del D. compaiono nel Rossetti (1765), che riporta attribuzioni correnti fra gli architetti padovani suoi contemporanei, dietro i quali è ben supponibile una tradizione di giudizi risalente al secolo precedente. Il Brandolese (1795) accetta le attribuzioni, precisandone le date e integrandole con due ulteriori aggiunte: l'intero palazzo dell'Accademia Delia (distrutto nel corso dell'Ottocento), che i documenti assegnano allo Scamozzi, e il palazzo Abriani attribuito al D. "dagli intendenti" (Brandolese, 1795; E. Rigoni, V. Scamozzi a Padova, in Atti e mem. dell'Acc. patavina di scienze lettere e arti, LXXII [1959-60], 3, p. 77).
La formazione del D. non può che essere inserita nell'ambiente padovano tardocinquecentesco, caratterizzato per l'architettura dallo studio della grande tradizione classicistica dal Falconetto al Sarimicheli al Palladio, e soprattutto al palladianesimo dello Scamozzi. La mancanza tuttavia di studi approfonditi sul D. e, per ora, di adeguata documentazione, rende difficile una delineazione precisa del suo percorso. Bresciani Alvarez (1977) ipotizza un apprendistato presso il pittore-architetto Dario Varotari, dunque un iniziale accostamento ai modi sarimicheliani, per meditare successivamente su quelli dello Scamozzi: un passaggio rilevabile nel restauro-rifacimento di casa Marcato oggi Belloni (via Rudena: cfr. Calore, 1971) da considerarsi pertanto come la prima delle sue opere note. R importante tuttavia tener presente che in tutte queste i riferimenti a Saninicheli, Palladio, Scamozzi non rispondono mai a una sensibilità rigida e puristica ma ad una sostanzialmente libera ed autonoma, con esiti in certi casi decisamente innovativi. Fra il 1607 e il 1612, a seguito dei lavori di rimaneggiamento della reggia carrarese, il D. realizzò il famoso scalone del Capitanio (oggi dei Giganti, in piazza Capitaniato), che conduce alla sala delle Edicole e a quella più nota dei Giganti (un tempo degli Eroi); lo scalone rappresenta, si può dire, la sintesi più felice tra rispetto della tradizione palladiana-scamozziana e libera sensibilità dell'artista, per cui ab antiquo ebbe lodi e riconoscimenti.
Segue l'opera sua più importante e innovativa: il nuovo Monte di pietà (1612-18; oggi palazzo della Cassa di risparmio), con lavori che intervengono sul preesistente edificio di G. M. Falconetto. Il D. ingrandì la facciata meridionale in piazza Duomo (le ultime tre arcate e il corrispondente piano superiore; cfr. Cessi, 1964), raccordandola con quella orientale tutta nuova in via Monte di pietà; questa costituisce la vera fronte del palazzo, a conclusione prospettica della stretta e ancor medievale via Manin. Per queste ragioni, oltre che per la funzione simbolica del palazzo, la facciata è caratterizzata da un'intensa e originale sintassi che forza le derivazioni palladiane e scamozziane in una scenografia ormai prebarocca e pertanto condannata dai puristi neoclassici che non ne intesero né la libertà creativa né l'opportunità urbanistica. A questo momento felice del D. vanno ancora riferiti i lavori di restauro-rifacimento, ultimati nel 1617, della chiesa di S. Canziano nella via omonima (cfr. Cessi, 1964), quasi sicuramente per adeguarla alla nuova dignità dell'aggiornato vicino palazzo del podestà (architetto A. Moroni Puppi, 1973, p. 111). Poco dopo (1620) la sistemazione del "vòlto della Sanità", cavalcavia che univa la facciata occidentale della sala della Ragione all'"Offizio di Sanità" nella antistante prigione delle Debite (esso correva parallelo ad un altro cavalcavia, quello delle Debite, che invece portava alle prigioni vere e proprie; entrambi vennero demoliti nel 1872). Infine, nel 1623 il restauro-rifacimento del palazzetto Abriani. Non precisabile la cronologia della facciata di S. Clemente (piazza dei Signori) e degli interventi nel nuovo convento delle monache benedettine (in via Beato Pellegrino, oggi casa di ricovero), per realizzare l'oratorio del Beato Pellegrino con il relativo chiostro, interventi che potrebbero cadere fra il 1623 (ultima opera datata) e il 1629 (anno di morte).
Il Cessi (1964), il Bresciani Alvarez (1977) e il PUPP - i (1973) hanno messo a fuoco anche la valenza urbanistica dell'attività del D., caratterizzata, oltre che dalla capacità di inserirsi armonicamente nella preesistente realtà urbana, dall'intento di qualificare il centro della città (da piazza Capitanio a piazza Duomo a piazza dei Signori) "per stabilire ... un inderogabile rapporto tra programmazione architettonica e tangibili affermazioni di potere" (Bresciani Alvarez) di quella nobiltà padovana che lo annoverava fra i più prestigiosi suoi membri. Le opere e la figura del D. furono esemplari per altri architetti (fra i quali rilevante G. Viola Zanini), sì da costituire per un breve periodo (fino al 1630) una "scuola" architettonica padovana che fa da pendant, sia pur ritardato, a quella più famosa pittorica, che ebbe quali rappresentanti più noti Gualtiero e Stefano Dall'Arzere e Domenico Campagnola, entrambe espressione di quasi un secolo di rilevantissime affermazioni culturali, sociali, artistiche di Padova.
Fonti e Bibl.: Padova, Bibl. d. Museo civico, Mss. B.P. 126, XIX, (88-XIX): P. Selvatico, Continuazione e fine dell'architettura padovana dalla metà del sec. XVI fino ai nostri giorni, pp. 8 s.; A. Portenari, Della felicità di Padova, Padova 1627, pp. 96, 273; G. Viola Zanini, Della architettura, Padova 1677, premessa; G. F. Tommasini, Gymnasium Patavinum, Utini 1654, p. 51; G. B. Rossetti, Descriz. delle pitture, sculture ed architetture di Padova, Padova 1765, pp. 290, 293 s., 300, 311; P. Brandolese, Pitture sculture architetture ed altre cose notabili di Padova, Padova 1795, pp. 116, 150 s., 162, 177, 275; G. A. Moschini, Guida per la città di Padova all'amico delle belle arti, Venezia 1817, pp. 171 s., 201, 208, 263, 275; P. Selvatico, in Guida di Padova e della sua provincia, Padova 1842, pp. 280, 385; N. Pietrucci, Biografia degli artisti padovani, Padova 1858, pp. 407 s.; Padova. Guida ai monumenti e alle opere d'arte, Venezia 1961, ad Indicem; F. Cessi, V. D. architetto padovano del XVII secolo, in Padova e la sua provincia, X (1964), 8, pp. 9-14; 9, pp. 8-12; A. Calore, La casa del notaio Pietro Marcato, ibid., XVII (1971), 6, pp. 9- 11; L. Puppi, in Ritratto di una città, Vicenza 1973, pp. 110 n. 98, 111 n. 103; G. Bresciani Alvarez, L'architettura civile del Barocco a Padova, in Padova. Case e palazzi, Vicenza 1977, pp. 150-171; L. Puppi-G. Toffanin, Guida di Padova, Trieste 1983, pp. 85, 92, 117, 153; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, IX, pp. 502 s.