DUPLANCICH, Vincenzo
Nacque a Zara (Dalmazia) il 15 ag. 1818, figlio di Antonio e di Antonia Amadeo Fabri, di agiata e cospicua famiglia cittadina. Frequentò le scuole elementari e il liceo, ma rinunciò agli studi universitari. Si dedicò invece da autodidatta a studi letterari, di storia e di economia; scrisse pure, in prosa e in versi per lo più anonimi, per strenne e giornali. Nel 1845 aveva rifiutato di collaborare al settimanale La Dalmazia dell'abate Franceschi, mentre la sua attività giornalistica prese corpo negli anni successivi, quando un'atmosfera più liberale consenti parecchie nuove iniziative. In particolare i fratelli Battara, che già avevano dato vivace sviluppo a La Gazzetta di Zara - che per contratto col governo ospitava una parte "ufficiale" -, fondarono nel '48 La Dalmazia costituzionale, ricca di spunti antiassolutistici e di proposte avanzate.
Il D., che era stato fra i primi a Zara ad arruolarsi nella guardia nazionale, ne fu apprezzato collaboratore per il breve tempo della sua durata. Nel '49 i Battara, decisi a continuare nella strada ormai imboccata dell'opposizione, trasformarono La Gazzetta in un quotidiano politico, pagando per questo la pesante cauzione di 2.500 fiorini. Però, osteggiati dal governo, che aveva dato vita a un ufficiale Osservatore dalmato (con un'edizione italiana e una croata), abbandonati da vecchi collaboratori timorosi, esclusi dalla circolazione nel Lombardo-Veneto, si indussero a sospendere le pubblicazioni. Per assicurare alla Dalmazia la presenza d'un foglio liberale, essi cedettero al D. l'edizione e la redazione della Gazzetta, e questi con coraggio e dedizione accettò il difficile compito.
Il giornale, con linguaggio moderato ma fermo, fece sua ogni causa di democrazia e di libertà, sostenne l'estensione dell'istruzione, la riforma dell'ordinamento giudiziario, lo studio della lingua slava, l'introduzione di nuove culture (tabacco) e la difesa dei boschi. Gli articoli del D. non riuscivano naturalmente graditi al governo austriaco, rappresentato dallo Schwarzenberg, implacabile avversario delle nazionalità e dei liberali: perciò il capitano circolare lo ammoni "a contenersi nel foglio periodico da Lei compilato entro i limiti della moderazione della lealtà e del dovuto rispetto verso il Governo di Sua Maestà e i suoi organi", avvertendo "che, continuando nel contegno finora osservato, Ella si esporrà a misure di rigore tali che potranno influire sopra tutto il Suo avvenire" (rapporto del 20 ag. 1849).
I proprietari, nuovamente preoccupati per il giornale, ne riassunsero la gestione, abbandonata dal D.; ancora per pochi numeri La Gazzetta uscì, sostenendo soprattutto i diritti linguistici dei Croati e degli Italiani, poi col finire del '50 chiuse la sua vita quasi ventennale, che aveva avuto momenti non ingloriosi per la collaborazione di eletti ingegni.
Il D. si chiuse nella sua vita privata, come l'altro giornalista "quarantottesco", il raguseo Vincenzo de Benvenuti. Solo nel 1856, quando il Comune accettò il lascito della biblioteca di Pier Alessandro Paravia per fondare una biblioteca pubblica, il Consiglio lo nominò bibliotecario con un modesto stipendio. Egli, con grande operosità, portò in breve a compimento l'inventario e il catalogo a schede della biblioteca, provvedendo pure a sue spese all'acquisto di nuovi libri.
Nel fervore delle nuovi passioni politiche trovò modo. nel 1859, di collaborare attivamente con Luigi Fichert a La Rivista dalmata. Ne dettò il programma, mirante a conciliare le due nazionalità, "l'italiana già intinta della cultura e fornita degli spiriti di una delle più gentili nazioni del mondo, e la slava d'animo vergine, di pronta e sicura intelligenza, cui il cuore riscalda il presentimento di splendidi futuri destini". Fece seguito un buon successo, con la collaborazione di persone di diverse posizioni politiche: il Tommaseo, il Baiamonti, padre Fabianich e l'abate Danilo, Giuseppe Ferrari Cupilli, l'Ivicevich, Giovanni Franceschi, Casnacich e Voinovich da Ragusa. Ma l'intesa durò otto mesi, per cessare alla fine del '59, ai primi contrasti che il sensibile animo del Fichert non era in grado di fronteggiare.
Dopo l'assidua collaborazione prestata alla Rivista, sia in polemica antiaustriaca sia con scritti letterari e traduzioni dal francese, il D. collaborò ad un nuovo settimanale ispirato all'intesa fra Italiani e Slavi, La Voce dalmatica, foglio economico-letterario (2 giugno 1860) redatto da G. Ferrari Cupilli, C. de Begna, V. de Benvenuti. In quegli anni prevalevano ancora gli intellettuali autonomisti, che rivendicavano alla Dalmazia, senza distinzione tra Slavi e Italiani, uno sviluppo economico e politico proprio, mentre i propugnatori dell'unità politica degli Slavi in nome dell'illirismo, per l'unione di Croazia, Slavonia e Dalmazia erano poco influenti. Infatti la Dieta dalmata respinse come inaccettabile la proposta di unire la Dalmazia alla Croazia (18 apr. 1861), il Tommaseo intervenne publicamente in favore dell'autonomia della regione, il D. pubblicò a Trieste nel 1861 il volumetto Della civiltà italiana e slava in Dalmazia. Non vi è abbandonata la persuasione che Slavi e Italiani possano convivere pacificamente e autonomamente svilupparsi, ma i tempi sono mutati, l'Italia sta formandosi, ed è naturale che la lingua e la civiltà italiane debbano porsi al centro del progresso del paese.
Il partito autonomistico manteneva la maggioranza (la terrà fin dopo il '70), ma il partito nazionale croato sollevava la testa. Il D., divenuto editore e redattore della Voce (maggio 1862), ne faceva l'organo dei partito italiano, suscitando le proteste polemiche del Sundetich, del Gliubich e del Danilo, ma anche le preoccupazioni del Tommaseo.
A quest'ultimo "sarebbe piaciuto che le cose buone da' Croati tentate o desiderate nella Voce dalmatica avessero lode schietta, acciocché quindi divengano più autorevoli le osservazioni da farsi sopra le loro miserie e i difetti, sopra le consuetudini mezzo barbariche, e le istituzioni viete e impotenti. Anche mi piacerebbe che il dotto sig. Cupilli, e altri, prendessero nelle appendici a raccontare le benemerenze de' Dalmati italianamente educati, verso gli slavi di Dalmazia e d'altri paesi, a dire qual parte avessero i Dalmati e con l'ingegno e colla mano nella civiltà italiana e nell'europea" (lettera al Salghetti, 10 giugno 1862: in Lettere inedite…, 1928, pp. 165 s.). Nonostante i buoni consigli del Tommasco, l'impegno del D. a favore del progetto d'una linea ferroviaria che unisse Zara ad Osijek (piuttosto che quella da Spalato a Belgrado, sostenuta da alcuni spalatini) e quello per l'istituzione d'una facoltà di giurisprudenza a Zara (perdurando la chiusura dell'università di Padova), le polemiche nazionali avvelenavano l'atmosfera. Era chiara l'opposizione del D. agli sforzi degli annessionisti, che miravano all'unione della Dalmazia ai paesi slavi e al predominio della loro nazionalità, mentre "i principi di libertà e lo sviluppo della coltura e lingua italiana, è ciò che egli volle costantemente, e perciò si trovò sempre e si trova ora in opposizione al partito governiale ad ogni costo" (Voce dalmatica, Suppl. al n. 21, 11 marzo 1863).
Il suo giornale subi vari sequestri e, "indiziato di perturbazione della pubblica tranquillità e di lesa maestà", il D. fu condannato in prima istanza per il primo reato (marzo 1863), rimanendo a piede libero per l'immunità di cui godeva come deputato alla Dieta provinciale. Prevedendo però la conferma della condanna da parte del tribunale d'appello (che venne, infatti, in agosto), egli fuggi da Zara la sera del 23 luglio, mettendosi in salvo su un bragozzo chioggiotto, che lo sbarcò sulla spiaggia delle Torrette di Ancona.
Dopo una brevissima permanenza ad Ancona il D. si trasferì a Milano. Alcuni amici, fra i quali il pittore D. Salghetti Drioli, provvidero alla sua sussistenza e a quella della vecchia madre lasciata a Zara, mediante un vitalizio, ed egli poté dedicarsi ancora al giornalismo in un ambiente ricco di possibilità. Insieme con P. Valussi, che dal '59 dirigeva LaPerseveranza, con F. Dall'Ongaro, F. D. Guerrazzi, B. Zendrini e altri, egli figura tra i collaboratori d'una rivista settimanale allora fondata da G. Podrecca, La Vita nuova (15 luglio 1865), cui procurò pure alcuni articoli del Tommaseo. Ma il periodico letterario, intento alla valutazione della poesia e delle arti in Italia, con qualche sottinteso irredentistico, non andò oltre al quarto numero e non ebbe seguito.
Il D. offerse ancora la sua collaborazione a La Perseveranza, svolse opera di traduttore e d'insegnante privato, ma., pur mantenendosi in relazione con i suoi consenzienti in Dalmazia, non vi fece più ritorno. Col passare degli anni egli venne sempre più isolandosi, fino alla morte sopravvenuta a Milano il 16 nov. 1888.
Della scomparsa del patriota, che il Praga non esita a definire "il più acuto scrittore politico della Dalmazia nel Risorgimento", scrisse ampiamente solo IlDalmata di Zara, che subi perciò il sequestro.
Fonti e Bibl.: Necr. di V. Brunelli, in Il Dalmata (Zara), nn. 96, 97, 100, 103 (1-29dic. 1888); P. Kasandrich, Il giornalismo dalmato, Zara 1899, pp. 54 s.; Lettere ined. di N. Tommaseo dirette al pittore zaratino D. Salghetti Drioli, in Arch. stor. per la Dalmazia, I (1927), 4, pp. 79 s; II (1928), 3, pp. 159-168; G. Praga-A. Zink, Documenti del 1848-49 a Zara e in Dalmazia, in LaVenezia Giulia e la Dalmazia nella Rivol. naz. del 1848-1849, Udine 1848, II, p. 268; A. de Benvenuti, Storia di Zara dal 1797 al 1918, Milano 1953, pp. 113, 116; C. Camizzi, Il dibattito sull'annessione della Dalmazia alla Croazia, in Riv. dalmatica, XLIV (1973), pp. 125-159, 225-272; Id., V.D., in L'Esule (Milano), 15 ott. 1980, pp. 4-5; G. Paoli Palcich, V. D., lettere e documenti, tra autonomia eirredentismo, in Rivista dalmatica, LVII (1986), pp. 169-236; T. Chiarioni, 1861: i diversi contributi alla difesa dell'autonomia dalmata (seguito da V. Duplancich, Della civiltà ital. e slava in Dalmazia), ibid., LVIII (1987), pp. 14-50; L'avventurosa fuga di V. D., a cura di V. Brunelli, ibid., pp. 97-102.
S. Cella