ERRANTE, Vincenzo
Nacque a Roma il 12 febbr. 1890 da Celidonio, dei baroni palermitani di Vannella e Calasia, e da Maria Rosmini.
La famiglia paterna poteva vantare accanto ad una antica nobiltà una cultura erudita e un po' provinciale. Il bisnonno dell'E., Celidonio, aveva pubblicato nel 1822 a Palermo una traduzione con a fronte il testo greco in edizione critica dei Frammenti di Dicearco da Messina sulla vita della Grecia; il nonno Vincenzo, più noto per il suo impegno politico nei moti del '48 e quindi nel giovane Regno d'Italia, deputato e infine senatore, compose poemi, tragedie, libretti musicali e, negli anni '80, due monografie storiche, dedicate a G. Washington e all'Impero osmano.
Il padre dell'E., impiegato al ministero degli Interni, aveva sposato Maria Rosmini, discendente dalla famiglia comitale di Rovereto cui era appartenuto il filosofo Antonio, una nobildonna di cultura e tradizioni mitteleuropee, vicina per consuetudini agli ambienti intellettuali del cattolicesimo austrotedesco.
Da ragazzo, l'E. sentì una forte attrazione per gli studi classici, vissuti come riscoperta delle sue origini e come esercizio di libertà; significativa negli anni della scuola l'influenza del docente di lettere Giovanni Staderini che, ricorderà nel 1932, "...accese dentro di me, bambino stupefatto innanzi alla rivelazione, una fiamma che non è più spenta. L'amore infinito ed esclusivo, attivo e anzi aggressivo, torturante e beatificante per la Poesia, e in genere, per ogni cosa bella" (cit. in S. Carloni, p. 249). La prima delle opere a stampa dell'E., Giovanni Meli e i suoi tempi (Civitavecchia 1908), un breve saggio di storia e poesia siciliana pubblicato al termine degli studi liceali, rivela il tentativo di conciliare la cultura umanistica della formazione paterna, la sottile sensibilità della madre e le "leggi da troppo tempo obliate del vivere in Bellezza" (Orazione celebrativa di Gabriele D'Annunzio, p. 24), che il modello estetico ed esistenziale di D'Annunzio aveva diffuso tra le giovani generazioni. "Scopertamente dannunziano" (Nardi, Altri tempi, p. 40) fu anche il romanzo, scritto tra il 1909 e il 1911 - anni nei quali frequentava a Roma la facoltà di lettere - e mai pubblicato, La colomba nel turbine, esile storia di una coppia seguita nel pellegrinaggio mistico ed erotico tra le funzioni della settimana santa.
Nel 1911, concluso il primo biennio di università, l'E. si trasferì a Padova e qui alla passione per la poesia e per D'Annunzio subentrarono nuovi interessi di critica letteraria. Il docente di letteratura italiana, Vittorio Rossi, era ancora un seguace del metodo storico, ma intorno a lui iniziavano a diffondersi, soprattutto grazie a Ciro Trabalza, le teorie estetiche crociane. Incerto tra questi due orientamenti, l'E. seguì con grande interesse il Trabalza, dando vita insieme ad alcuni compagni di corso, tra i quali Manlio Dazzi, Giuseppe Toffanin e Pietro Nardi, a conferenze di evidente impronta crociana e, contemporaneamente, si dedicò con passione a ricerche d'archivio; nel 1911 scoprì due tragedie inedite di I. Nievo, che presentò in una conferenza all'Accademia Olimpica di Vicenza e in seguito pubblicò per i caratteri di Carabba (ICapuani, Lanciano 1914 e Spartaco, ibid. 1919); decise inoltre di approfondire le sue conoscenze di letteratura greca. Alla scuola di Ettore Romagnoli, l'E. conobbe il fascino di traduzioni che, pur essendo impeccabili filologicamente, tendono a donare ai classici nuova vita, riproponendo atmosfere e ritmi suggeriti dall'autore in un linguaggio vicino alla sensibilità moderna.
Tra il 1911 e il 1913 l'E. partecipò come attore agli allestimenti del "Teatro greco", ideato dal Romagnoli, prendendo parte nella città universitaria, a Fiesole e a Siracusa alle rappresentazioni di Le nuvole, Le Baccanti, Alcesti e Il ciclope, e, nella suggestione di questa esperienza tradusse "dal tedesco nei modi che ... teneva traducendo dal greco" (Nardi, Altri tempi, p. 45) alcune opere teatrali di ambientazione classica ma di spirito romantico, come Il vello d'oro o Saffo di F. Grillparzer. A questi anni risale anche lo studio del Faust di Goethe e del Faust di N. Lenau, che si collega idealmente all'innovativo saggio di G. A. Borgese, Mefistofele, del 1911.
Nel 1912 si laureò discutendo una tesi di storia dal titolo "Forse che sì forse che no": la terza spedizione del duca Vincenzo Gonzaga in Ungheria alla guerra contro il Turco (Milano 1915), frutto di lunghe ricerche all'Archivio di Mantova.
Accanto all'amore per il D'Annunzio, questo lavoro, eccentrico in un corso di studi filologici e critico-letterari, testimonia la coscienza di epigono dell'E., intimidito dalla idealizzazione crociana dell'artista e incerto sulla propria vocazione critica. La prospettiva di conciliare cultura filologica-positiva e una sensibilità estetica, che il Mariano definisce romantica, ma che a noi sembra neoromantica e decadente, indusse infine l'E. a dedicarsi alla letteratura tedesca, come traduttore più che come interprete: nel 1942 scrisse: "Gli aspetti che della Germania non rispecchiano il volto guerriero; sibbene quello sentimentale sognante e poetico ... mi riconducevano innanzi agli occhi del cuore l'immagine della Germania nel fascino molteplice che ad essa avvinse, con nodi rimasti poi indissolubili, la mia giovinezza irrequieta" (V. Errante, Introduzione a C. di San Lazzaro, L'anima tedesca, Moena 1942, p. V).
Il romanticismo tedesco, nella sua complessità, offre all'E., come del resto in quegli stessi anni ad un altro giovane germanista, Giuseppe Gabetti, modo per affrancarsi dal dibattito teorico. La conferenza, tenuta nel febbraio 1913 all'Accademia Olimpica di Vicenza, poi pubblicata nel settembre del 1914 dalla rivista Rassegna contemporanea, col titolo Il romanticismo in Germania, mostra come l'E. si muovesse con qualche impaccio tra le scuole per poi approdare con sicurezza ed entusiasmo all'analisi e alla traduzione di poesie, in particolare quelle dolenti e mistiche di Novalis. Nel 1914 presentò, ancora a Vicenza, un contributo più "tecnico", Saggi di versione metrica dalle elegie di W. Goethe e F. Schiller (poi stampato in volume, Roma 1919).
L'anno successivo, all'entrata in guerra dell'Italia, l'E. venne richiamato col grado di capitano di complemento; partecipò a quattro campagne tra lo Zugna e il Garda e venne più volte decorato con la croce al merito di guerra, la medaglia di bronzo e quindi insignito cavaliere dell'Ordine di Ss. Maurizio e Lazzaro. Durante il conflitto iniziò a tradurre un poema lirico drammatico, il Faust di Lenau, di un artista cioè che condivide con Grillparzer sensibilità cattolica e dolore esistenziale, e le poesie del Mare del Nord di Heine, attratto dalla musicalità dei versi e dalla corposa ricchezza delle immagini.
A guidarlo nella scelta di due autori tanto diversi tra loro furono i temi che torneranno in tutta la produzione successiva: in primo luogo il desiderio di far conoscere scrittori poco noti, nella convinzione di essere chiamato ad un apostolato culturale ed estetico dalle profonde implicazioni religiose; quindi l'idea che fosse possibile, attraverso la traduzione, donare nuova vita all'arte del passato: "...Come ogni opera di poesia è una entità che nel susseguirsi delle generazioni passa per una serie di successive metamorfosi, in cui, ridivenendo attività spirituale ogni volta con diversa tonalità, infinitamente rinasce e si rinovella, - così ogni generazione esige che nuovi traduttori presentino al suo spirito le opere poetiche straniere sotto una specie che rechi, dell'epoca, il suggello spirituale e formale" (Introduzione a E. Heine, IlMare del Nord, p. VII); l'interesse infine per quel rispecchiamento poesia-personalità che rappresentò il filo rosso del suo lavoro di critico.
Particolarmente sentito questo tratto nell'analisi dell'opera di Lenau che accompagnerà l'E. per oltre venti anni: "La sua personalità offre questa caratteristica: di consistere in una indissolubile "sintesi a priori" tra gli elementi della vita e gli elementi dell'arte"; il tema del legame tra Erlebnis, esperienza sensibile dell'autore, e prodotto artistico, torna in molti degli studi dell'E., dalle successive analisi dell'opera di Lenau, alle monografie su Goethe e Rilke, pubblicate rispettivamente nel 1933 e nel 1937, ai commenti alle opere di S. George, H.v. Hofmannsthal, F. Hölderlin. Attraverso la pura bellezza dei versi l'E. si proponeva di svelare la sostanza psicologica di un carattere, ricomporre una biografia, mostrare una "grande confessione" suggerendo in questo modo una vicinanza tra il lettore e l'artista, tra il passato e la modernità. Nella monografia goethiana l'E. indica, reinterpretando una analisi fatta da Borgese in uno studio del 1911 sulla personalità di Goethe, due tipi di autori, i poeti eroi, che sanno "armoniosamente compenetrare" vita e poesia e i poeti martiri, caratterizzati dal "prevalere dei sensi sul sentimento, e della fantasia sulle attività razionali", i primi da ammirare, i secondi da amare: "Sconfitti, questi sono più vicini alla nostra debole umanità. Vittoriosi, quelli sovrastano di troppo la nostra natura. Ci accostiamo ai poeti martiri come a fratelli poiché ci è dato guardarli negli occhi dall'altezza stessa dei nostri occhi" (Personalità di Goethe, pp. 46, 62). La partecipazione immediata, attraverso la poesia, ad una struttura psicologica, forza a volte la mano al traduttore, che tende a interpretare le frasi, a chiarire lo spirito del testo, anche a prezzo di aggiunte o forzature. Come scrive nella Nota per l'amico Gabetti a margine della traduzione di Patmos di Hölderlin: "...bisogna tener conto dei criterii che ho seguiti col proposito di dare non una arida translitterazione ma una Nachdichtung... Di qui la necessità: a) di eseguire una traduzione esegetica, che chiarificasse le oscurità, sciogliesse i nodi, riempisse gli acrobatici salti della Begeisterung hölderliniana" (Mariano, 1970, p. 2998). Il legame psicologico con gli autori, che orienta agli inizi le scelte dell'E., lascia spazio nel corso degli anni '30 ad una indagine di tipo categoriale: Rilke non è più considerato come individuo, ma come "personalità espressiva anzi simbolica di tutta un'epoca" (Rilke, p. 9); la stessa deriva compare negli scritti più maturi su Lenau e Hölderlin e ispira il lavoro di maggior impegno dell'E., l'affresco storico letterario sul mito del Faust tra il '500 e il dramma goethiano, interpretato come metafora dello spirito tedesco. Il primo riconoscimento accademico gli venne per la traduzione della Pentesilea di FI.v. Kleist, apprezzata dal Borgese per gusto e competenza, malgrado alcune riserve sulla raffinatezza della versione italiana, poco rispettosa delle asprezze del linguaggio dell'autore.
Nel 1921 l'E. si trasferì a Bologna come segretario generale della casa editrice Zanichelli e nel novembre del 1922 ottenne la cattedra di letteratura tedesca all'università di Pavia. Nella sua prolusione l'E. propose una lettura "di parte" di Goethe, visto qui come incarnazione del superuomo che preferisce agire nel dolore e nell'errore piuttosto che lasciarsi inghiottire dalla passività delle masse.
L'adesione teorica al fascismo favorì negli anni successivi l'intensa attività dell'E. come organizzatore e promotore di cultura: nel 1925 si trasferì a Milano, direttore generale dell'editrice Unitas, membro direttivo della Rivista d'Italia e condirettore della Arnoldo Mondadori editore; nel 1928 iniziò a collaborare con la UTET di Torino, progettando, insieme con Ferdinando Palazzi alcune grandi opere, tra le quali "La scala d'oro", l'Enciclopedia della famiglia e Iltesoro del ragazzo italiano e quindi dette vita, insieme con P. Grassi e A. Pellegrini, alla Rivista di studi teatrali.
Tra il 1929 e il 1930 l'E. si misurò con il linguaggio e la personalità di Rilke, traducendo gran parte dell'opera e quindi tracciando nel '30 un impegnato profilo critico. In questo studio l'E. dava un giudizio ambivalente di Rilke, grandissimo come poeta, ma minato come uomo dalla incapacità, che apparirebbe chiaramente nelle Elegie duinesi, di trovare sbocchi per la sua ansia. Nel 1932 ottenne la cattedra di lingua e letteratura tedesca all'università di Milano, lasciata da G. A. Borgese per motivi politici; dopo questo successo, non privo di ombre anche per la statura intellettuale del suo predecessore, l'E. si dedicò attivamente alla letteratura francese, occupandosi in modo significativo di autori lontani dalla cultura di regime, Maurice de Guérin, Paul Valéry, Baudelaire. Tornò quindi alla germanistica nel 1934, alternando agli autori della ricerca giovanile, scrittori decadenti come George o Hofmannsthal lirico. Malgrado la fortunata traduzione di Tristano e Isotta di R. Wagner (Milano 1938), l'E. prese progressivamente le distanze dalla cultura dominante in Germania e sostenuta dal regime nazista e, in occasione della visita di Hitler a Roma, tradusse per la rivista Augustea, con una provocazione che rimase ignorata, tre poesie di Hölderlin, piene di nostalgia per la Grecia e impietosamente critiche verso la Germania sua contemporanea.
Nel 1940 lasciò Milano per Riva del Garda e qui, dopo aver terminato una lettura in chiave essenzialmente religiosa dell'opera e della personalità di Hölderlin, lavorò alla traduzione del Faust di Goethe, che, pubblicato tra il 1941 e il 1942, assicurò all'E. una grande fortuna di pubblico, ma gli procurò anche delle critiche per le numerose infedeltà all'originale. Ripropose quindi le versioni rilkiane e nel 1942, con una nuova edizione di Rilke. Storia di un'anima e di una poesia, superò tutte le riserve formulate nel 1930 sulle elegie duinesi e rivalutò l'agire privato, estatico e "oltremondano", che anima le ultime opere di questo autore.
Nel dopoguerra l'E., sottoposto tra l'altro ad un procedimento conoscitivo della Commissione di epurazione dell'università di Milano, visse una profonda crisi esistenziale, che lo portò a interrompere l'insegnamento e a coltivare interessi sempre più lontani dall'attualità politica: tradusse e commentò la poesia di Catullo e quindi i drammi di Shakespeare; tra il 1946 e il 1948 propose in versione poetica piuttosto libera nove tra i testi più noti dell'autore inglese, da Amleto a Re Lear, a Romeo e Giulietta, interessato soprattutto alla resa scenica e alla efficacia lessicale delle opere; curò insieme con E. Mariano una raccolta antologica di liriche, Orfeo.
Nel 1948 sposò Mary Martello Maluta, allieva in giovinezza della scuola di L. Rasi, prima attrice nella compagnia di Umberto Romagnoli e quindi apprezzata interprete delle traduzioni rilkiane dell'Errante. Riprese il "ciclo goethiano", riproponendo alcune traduzioni degli anni Trenta e proseguendo con maggiore impegno la ricerca sul mito del Faust, con l'analisi della prima parte della tragedia goethiana, pubblicata postuma in due volumi nel 1952. Ma malgrado l'eccezionale produttività di questi anni i suoi lavori furono accolti con indifferenza: le traduzioni, concepite dall'E. per i teatri, solo raramente vennero scelte dalle compagnie; le prove di poesia furono invece considerate espressione di un gusto letterario ormai superato.
In particolare suscitarono perplessità le libere "interpretazioni" dell'E. e la raffinatezza un po' manierata del suo lessico; così nel fascicolo della Fiera letteraria del 12 ag. 1951 dedicato al tradurre (Inchiesta sulle traduzioni) l'E. venne definito "traditore" da Ungaretti e criticato da E. De Michelis, che sollevò delle riserve sull'uso del verso nelle traduzioni; anche il meno severo tra i critici intervenuti, G. Baldini, che giustificava l'E. in nome della diffusione delle sue opere, mostrò di non condividerne gli orientamenti culturali.
L'E. morì a Riva del Garda (Trento) il 25 ag. 1951.
Oltre alle opere citate nel testo ricordiamo Ippolito Nievo, Mantova 1911; Il discorso su Ippolito Nievo, ibid. 1919; Novalis e Dehmel. Appunti critici, Padova 1919; Lenau e il canto dei giunchi, Bologna 1922; Giosuè Borsi, Firenze 1923; Il mito di Faust. Dal personaggio storico al poema di Goethe, Bologna 1924; Paraphrasenüber Lenau, München 1924; Rilke, Storia di un'anima e di una poesia, Milano 1930 (2 ediz., Firenze 1942); Maurice de Guérin e il suo "compianto in morte di Maria de la Morvonnais", Venezia 1932; Orientamento allo studio dei poeti stranieri, Milano 1933; La personalità di Goethe e lirica goethiana, ibid. 1933; Commemorazione di Stefan George, Venezia 1934; Lenau. Storia di un martire della poesia, Messina-Milano 1935; Orazione in vita eterna di Gabriele D'Annunzio, Milano 1938; La lirica di Hölderlin, Firenze 1943; La poesia di Catullo, Milano 1945; Orazione celebrativa di Gabriele D'Annunzio, Verona 1949; Ilmito di Faust, 3 voll., Firenze 1951-1952.
Traduzioni: N. Lenau, Faust, Roma 1919. F. Grillparzer, Saffo, Lanciano 1920; E. Heine, IlMare del Nord, Firenze 1920; E. Kleist, Pentesilea, ibid. 1922; W. Goethe, Ifigenia in Tauride, Milano 1926; Walther von der Vogelweide, Quattro "Lieder", ibid. 1926; Eschilo, Prometeo incatenato, ibid. 1928; R. M. Rilke, Liriche, ibid. 1929; Id., Iquaderni di Malte Laurids Brigge, ibid. 1929; Id., Storie del buon Dio, ibid. 1930; Id., Augusto Rodin, ibid. 1930; M. De Guerin, IlCentauro, ibid. 1932; Id., La Baccante, Siracusa 1932; V. Errante, Saggio di traduzione in versi delle liriche di Baudelaire, Milano 1932; P. Valéry, L'anima e la danza, Vicenza 1933; U. von Hofmannsthal, Liriche, Genova 1936; V. Errante, Gemme, Milano 1937 (antologia); Id., La lirica di Hölderlin, Milano-Messina 1940; J. W. Goethe, Faust. Parte prima, Firenze 1941; R. M. Rilke, Prose, Storie del buon Dio, Malte Laurids Brigge, ibid. 1942; J. W. Goethe, Faust. Parte seconda, ibid. 1942; Novalis, Inni alla notte, Milano 1942; W. Shakespeare, La tragedia di Amleto principe di Danimarca, Firenze 1946; Id., La tragedia di Otello, ibid. 1946; Id., La tragedia di Re Lear, ibid. 1946; Id., La tragedia di Macbeth, ibid. 1946; Id., La tragedia di Giulio Cesare, ibid. 1947; Id., La tempesta, ibid. 1947; Id., La tragedia di Romeo e Giulietta, ibid. 1947; Id., Ilmercante di Venezia, ibid. 1948; Id., Ilsogno di una notte d'estate, ibid. 1948; R. M. Rilke, Liriche e prose, ibid. 1951.
Fonti e Bibl.: P. Wertheimer, Vorwort, in V. Errante, Paraphrasen über Lenau, München 1924, pp. VII-XXI; P. Nardi, Un germanista: V. E., in Il Giorn. di politica e di letteratura, II (1926), pp. 716-729; A. Galletti, Ilmito del Faust, in Teorie di critici ed opere di poeti, L'Aquila 1930, pp. 122-147; G. D. Leoni, Tre liriche di Hölderlin tradotte da V. E., in Augustea, XIII (1938), 9, p. 37; G. C. Rossi, IlTristano di Wagner in versi italiani, in Convivium, X (1938), pp. 424-428; H. Wocke, V. E. zum Gedächtnis, in Romanistisches Jahrbuch, IV (1951), pp. 432-436; G. B. Eminert, V. E., in Studi trentini di scienze storiche, XXXII (1953), pp. 511 s.; E. Mariano, V. Errante. Critica e poesia, in Letterature moderne, IV (1954), pp. 423-535; Testimonianze, Milano 1955; B. Tecchi, Officina segreta, Caltanissetta 1957, pp. 103 s.; P. Nardi, Altri tempi, Vicenza 1960, pp. 40-45; E. Mariano, V. E., in Letteratura italiana. I critici, IV, Milano 1970, pp. 2992-3003; A. Tonelli, Relazioni imperfette, in Adige Panorama, IX (1978), 32, pp. 16 s.; Id., Poeti martiri o Poeti eroi?, in Sintesi, II (1978), 7-8, pp. 1 s.; Id., Considerazioni come ipotesi su "La personalità di Goethe" di V . E., in Adige Panorama, X (1979), 35, p. 16; S. Carloni, V. E., in Goethe: il viaggio in Italia e i grandi traduttori del Garda trentino, Riva del Garda 1986, pp. 247-299; Enc. Ital., App. II, 1, p. 871.