FILICAIA, Vincenzo
Nacque a Firenze il 30 dic. 1642 dal senatore Braccio e da Caterina di Cristofano Spini.
Dal padre fu indirizzato a un percorso di studi ormai tradizionale fra i giovani di famiglia aristocratica; dopo alcuni anni trascorsi nel collegio dei gesuiti di Firenze continuò gli studi filosofici e teologici nell'università pisana, perfezionandosi nel diritto sotto la guida di B. Chesi. Fu in questi anni che strinse amicizia con l'avvocato B. Gori, il medico L. Bellini, il cavaliere L. Pucci. Con loro come con F. Redi, B. Menzini, G. B. Fagioli, A. M. Salvini, A. Marchetti, L. Magalotti e molti altri eruditi, scienziati e funzionari toscani tenne un fitto carteggio.
Alla professione legale, alla quale il padre lo aveva avviato, il F. dedicò dopo la laurea alcuni annì di pratica nello studio di G. Federighi, celebre giureconsulto e amico di famiglia. Fin dalla gioventù mostrò, inoltre, uno spiccato interesse per la musica e la poesia, un connubio che già a fine Cinquecento si era espresso e sviluppato attorno alla "camerata de' Bardi". Abile nel canto e nel violino, anche il F. "compose con molta lode degli intendenti", come ricorderà C. T. Strozzi nel tracciarne un breve profilo (Carte strozziane, s. III, f. XIVbis, c. 47 v). Fu proprio durante queste sue esibizioni che incontrò e si innamorò perdutamente, non corrisposto, di una "nobile donzella". Per lei compose un'ode amorosa, pubblicata postuma dal canonico D. Moreni (Sonetti diAngiolo Alloridetto il Bronzino ed altre rime ineditedi più insignipoeti, Firenze 1823, pp. 169 ss.).
L'ode fu significativamente dedicata a F. Nomi, autore di un poema satirico, Ilcatorcio d'Anghiari, che fu censurato per aver preso di mira autorevoli personaggi del luogo. Come il Nomi, il F. era portavoce del disagio vissuto dalla giovane generazione degli intellettuali toscani all'indomani della vicenda galileiana e nel pieno delle esperienze maturate nell'Accademia del Cimento; in sospeso c'erano ancora le eredità mitiche del passato rinascimentale, del paganesimo, del neoplatonismo.
Sulla scia della migliore tradizione musicale barocca il F. continuò intanto ad apprezzare i componimenti sacri e profani come testimonia la raccolta, conservata nella sua biblioteca di campagna, di libretti di oratori a più voci cantati nelle confraternite cittadine come nei collegi gesuitici di Siena e Roma; i temi amorosi, presto ripudiati dal poeta come argomento dei suoi versi, ricorrono invece nelle numerose arie, cantate, sonate, duetti e mottetti che costituirono il repertorio musicale del F. e di cui redasse uno scrupoloso inventario, conservato nelle carte di famiglia.
L'8 nov. 1664 accettò l'iscrizione all'Accademia della Crusca, di cui fu censore nel 1667, nel 1690, nel 1702 e nel 1705. Si aprivano così interessanti prospettive di contatti con la cultura europea e di lavoro concreto attorno al progetto di una terza edizione del vocabolario, che uscì in tre volumi nel 1691.
Per accontentare il padre, nel 1673 sposò Anna Capponi, figlia di Scipione, conosciuta come rimatrice di "frottole". Nel 1677 nacque il primogenito Braccio e poco dopo Scipione. Di una figlia morta piccola si ha notizia in alcuni suoi versi latini, dedicati alla beata Umiliana Cerchi (Carmina illustriumpoetarum Italorum, IV, p. 321), della quale proprio in quegli anni si promuoveva la canonizzazione da influenti membri di casa Cerchi.
Tra il 1683 e il 1684 il F. compose e pubblicò le sue prime opere poetiche, che lo resero celebre grazie anche al sodalizio culturale e all'affettuosa amicizia stretta con la regina Cristina di Svezia, da tempo dimorante a Roma, dove era diventata un indispensabile punto di riferimento per molti scrittori, artisti ed eruditi. A questi rapporti, all'eredità di Dante e Petrarca, il F. si richiamava, prendendo le distanze dalla prosa e poesia metaforica, allusiva, scherzosa del "marinismo" della prima età barocca; maggiore preferenza riscuotevano i temi magniloquenti, sacri, filosofici o politici che davano corpo alle teoriche del sublime.
Delle sei canzoni composte dal F. per l'assedio di Vienna e la sua liberazione dai Turchi, tutte accompagnate da lettere dedicatorie, una fu indirizzata a Giovanni III Sobieski re di Polonia, una all'imperatore Leopoldo I, una a Carlo duca di Lorena e una in ringraziamento alla divina maestà. Una prima edizione uscì a Firenze nel 1684, mentre la maggior parte delle altre rime apparve nell'edizione fiorentina del 1707 pubblicata postuma dal figlio Scipione e da altri accademici della Crusca. Con le sei canzoni, i sei sonetti, la canzone all'Italia e una canzone all'Europa si poteva dire completo il ciclo delle rime politiche. Èsu questa produzione che la critica letteraria si è concentrata e divisa di volta in volta, trascurando i temi biografici o di riflessione più profonda che emergono da altre terzine, canzoni e odi latine del Filicaia; di queste ultime, in particolare, manca un'edizione completa.
Si rafforzava intanto l'amicizia del poeta con Cristina di Svezia, dalla quale accettò anche aiuti materiali per l'educazione dei figli e soprattutto per Braccio, che nel 1687 fu mandato a studiare al collegio "Tolomei" di Siena. Risale a questi anni la maturazione nell'animo del F. di una religiosità di tipo mistico, influenzata dalle dottrine quietiste di M. de Molinos, e che risulta più evidente in un gruppo di otto sonetti sul tema dell'elevazione dell'anima a Dio dedicati a Cristina. Tormentato dai problemi economici il F. si ritirava sempre più spesso insieme con la famiglia nella sua villa di campagna, non ancora deciso ad accettare cariche pubbliche per timore di perdere la propria libertà.
Nel 1691 fu ascritto all'Arcadia appena fondata e assunse lo pseudonimo di Polibo Emonio. Dopo la morte della regina di Svezia, avvenuta nel 1689, non potendo più sottrarsi dal chiedere aiuti concreti, riuscì, sempre nel corso di quello stesso 1691, a far accettare il figlio Braccio come paggio alla corte medicea. Nel 1695 Braccio moriva e il poeta si ammalò gravemente. Guarito, confessava all'amico L. Magalotti di essere ormai deciso ad accettare la carica di senatore non per ambizione, ma per bisogno. Nominato da Cosimo III commissario a Volterra, riuscì a farsi apprezzare molto anche in questa nuova veste di amministratore e rettore di giustizia. Con la stessa fermezza e prudenza svolse la carica di commissario a Pisa tra il 1699 e il 1701, trovandosi a volte a dover contrapporre la sua propensione all'applicazione delle pene previste ai cortesi ma pressanti inviti di Cosimo all'uso di una maggiore clemenza. Sempre salda e apertamente manifestata fu la convinzione nutrita dal F. che il rispetto dei ministri e del loro operato fosse tutt'uno col rispetto dovuto al principe.
Ammalatosi di nuovo seriamente nel 1701,non rifiutò l'incarico di segretario delle Tratte. Morì a Firenze il 24 sett. 1707.
Opere edite: Canzoni in occasione dell'assedio di Vienna, Firenze 1684; Poesie toscane, ibid. 1707 (altra ediz., ibid. 1708); Poesie toscane, Parma 1709; Poesie toscane, Firenze 1720 (con la biografia del poeta scritta da T. Bonaventuri); Carmina illustrium poetarum Italorum, Florentiae 1719, IV, pp. 321 ss.; Poesie toscane, Parma 1726; Opere, Venezia 1734; Opere, I-II,ibid. 1755; Egloghe, Ferrara 1760; Poesie e prose latine e toscane, I-II,Venezia 1771; Poesie, Londra [ma Livorno] 1781; Opere, Venezia 1787; Opere, Prato 1793; Poesie toscane del sen. V. da F. aggiuntovi il di lui carteggio relativo alle suddette poesie, I-II,Venezia 1812; Elogio di Cosimo de' Medici 'Pater patriae', a cura di D. Moreni, Firenze 1814; Il pellegrinaggio, a cura dello stesso, ibid. 1821; Poesie toscane, con nuove aggiunte a cura dello stesso, ibid. 1823; Poesie, ibid. 1827; Lettere a F. Redi, Firenze 1828; Lettere di Lorenzo il Magnifico al di Sommo Pontefice Innocenzo VIII e più altre di personaggi illustri toscani, a cura di D. Moreni, Firenze 1830, pp. 34-82; Opere, I-II,Milano 1834; Poesie e lettere, con prefaz. di U. D'Amico, Firenze 1864; Lettere a L. A. Muratori, a cura di G. Spinelli, Milano 1875; Poesie, con prefaz. di G. Tamietti, Torino 1884; Lettere inedite ... al conte L. Magalotti, Pisa 1885. Molte delle opere e delle lettere del F. non ancora edite si trovano in filze non ordinate dell'Archivio Geddes Filicaia di Montaione (Firenze). Nessuna biblioteca contiene l'opera manoscritta completa del poeta; alcuni esemplari delle edizioni delle sue opere con annotazioni manoscritte sono conservate presso la Biblioteca naz. di Firenze.
Tra i manoscritti dell'Arcadia conservati nella Biblioteca Angelica di Roma si trovano alcuni componimenti del poeta per lo più editi nelle raccolte postume e nelle pubblicazioni degli arcadi (cf. Ms. 2, 3, 5, 8, 9). Si segnala infine il codice 2056, sempre presso la Biblioteca Angelica, che contiene vari componimenti latini su una rarissima specie di gelsomino e genericamente intitolati Ad Mogarinum.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Tratte (poi Segreteria delle Tratte), 442, 883, 1201-1204; Carte strozziane, s. III. ff. 14 e 14 bis; Carte Magalotti, 178; Arch. di Stato di Pisa, Commissario, 199, 738, 739, 740, 741.
Sulla vita e le attività del F., vedi inoltre: T. B. Bonaventuri, Vita del senator V. da F., in Vite degli arcadi illustri, II, Roma 1709, pp. 60-82; L. Fabbri, Oraz. in morte del sen. V. da F. detta nell'Accad. degli Apatisti, Firenze 1709; S. Salvini, Fasti consolari dell'Accad. fiorentina, Firenze 1717, p. 653; L. A. Muratori, Della perfetta poesia italiana, Venezia 1724, pp. 22-24, 196-199; M. Lastri, Elogio del sen. V. F., in Serie di ritratti di uomini illustri toscani...,Firenze 1773, IV, pp. 139 s.; A. Fabroni, V. F., in Vitae Italorum doctrinae excellentium..., VII, Pisiis 1781, pp. 293-314; G. Tiraboschi, Storia della lett. ital.,VIII, Modena 1793, pp. 458-460; I. Corniani, I secoli della lett. ital. dopo il Risorgimento, VIII, Brescia 1819, p. 190; U. Foscolo, Opere edite e postume, X,Firenze 1850, p. 356; D. Settembrini, Lezioni di lett. ital., II, Napoli 1875, p. 309; F. Guardione, Di due canzoni del conte D'Arco e del F., in Il Propugnatore, XVII (1884), pp. 397-44; L. Castellani, Il Seicento e V. F., in Scritti letterari, Città di Castello 1889, pp. 119-160; I. Carini, L'Arcadia dal 1690 al 1890, Roma 1891, p. 252; A. Targioni Tozzetti, Antologia della poesia italiana, Livorno 1893, p. 497; G. Caponi, V. F. e le sue opere, Prato 1901; M. Sterzi, V. F. e il teatro volterrano, in Rass. bibl. d. lett. ital., XIV (1906), pp. 277-289; C. Calcaterra, V. da F., in Encicl. ital., XV, Roma 1932, p. 287; I lirici del Seicento e dell'Arcadia, a cura di C. Calcaterra, Milano 1936, p. 885; R. Nuti, Per la supposta dimora di V. da F. a S. Lucia sul Prato, in Arch. stor. pratese, XX (1942), pp. 131 s.; A. Vallone, Fede e arte nel F., in Antico e nuovo, 11 (1947), pp.1-10; B. Croce, Nuovi saggi sulla lett. ital. del Seicento, Bari 1949,pp. 326-332; A. Belloni, Il Seicento, Milano 1955, pp. 163-168;C. Jannaco, IlSeicento, Milano 1963, pp. 232-234; W. Binni, La formazione della poetica arcadica e la letteratura fiorentina di fine Seicento, in L'Arcadia e il Metastasio, Firenze 1963, pp. 39-44;Id., IlSettecento letterario, in Storia della lett. ital., a cura di E. Cecchi-N. Sapegno, VI, Milano 1968, pp. 303-306; A. Asor Rosa, La lirica del Seicento, in Storia della lett. italiana, Bari 1981, pp. 182-189; S. Parodi, Catalogo degli accademici della Crusca, Firenze 1983, p. 114; G.Nicoletti, Firenze e il Granducato di Toscana, in Letteratura ital. [Einaudi], Torino 1988, pp. 749 e 766 s.;M. P. Paoli, Esperienze religiose e poesia nella Firenze del '600: intorno ad alcuni sonetti "quietisti" di V. da F., in Rivista di Storia e Letteratura religiosa, XVIII (1992), pp. 35-78.