FLORIO, Vincenzo
Nacque a Bagnara Calabra il 4 apr. 1799 da Paolo e Giuseppa Safflotti. Poco dopo la famiglia si trasferì a Palermo, dove il padre aprì una bottega di droghe. Ricevette un'ottima educazione e presto, sotto la guida dello zio Ignazio, conobbe l'arte e la pratica degli affari.
La bottega era stata avviata nel 1801 insieme con P. Barbaro, un piccolo mercante pure lui calabrese, col quale i Florio, in precedenza, avevano avuto altri rapporti. Due anni dopo, ritiratosi il Barbaro, Paolo Florio continuò da solo l'attività sino alla morte, avvenuta nel 1807. Ad occuparsi del negozio a sua volta in società con il F., figlio unico ed erede universale, Giuseppa Safflotti chiamò il cognato Ignazio che si dimostrò amministratore abile e scrupoloso. La ditta assunse la ragione di Ignazio e Vincenzo Florio.
A mano a mano che gli utili del commercio delle droghe aumentavano, Ignazio provvedeva a diversificare gli investimenti. Non sempre le scelte risultavano felici, ma l'andamento generale della gestione compensava ampiamente singole perdite. Con inizio dal 1824, poi, fu possibile conseguire grossi profitti con la vendita del cortice (polvere della corteccia triturata dell'albero della china), ritenuto efficace febbrifugo e il cui diritto di commercializzazione era stato a lungo contestato ai Florio dai farmacisti locali. Ma di fronte al prodotto purissimo, ottenuto con una macchina polverizzatrice che, a quanto sembra, il giovane F. aveva apprezzato durante un viaggio in Inghilterra e da lì importata a Palermo, le autorità non poterono che accogliere le ragioni dei Florio. Del resto, in poco tempo essi allargarono il commercio a moltissimi generi e ciò determinò il loro avvicinamento, quanto a prestigio e solidità economica, agli esperti negozianti inglesi, presenti nell'isola fin dall'inizio del secolo, e ai più grossi trafficanti del luogo.
Ignazio Florio morì nel 1828 lasciando tutti i suoi beni al nipote. L'eredità consisteva soprattutto nelle quote di utili accumulate in quei venti anni, peraltro già reinvestite nel negozio. Il testamento conteneva un'unica condizione: che la ditta continuasse l'attività sotto la medesima ragione di I. e V. Florio.
A poco meno di trent'anni, il F. cominciò a volgere l'interesse verso imprese di grande portata, pur non trascurando il normale commercio cui doveva la sua fortuna. Era venuto il momento di mettere a frutto gli insegnamenti ricevuti e lo studio dei comportamenti dei citati affaristi inglesi - a cominciare dal celebre B. Ingham - i quali, da veri imprenditori moderni, disdegnavano di vivere all'ombra della rendita fondiaria, la tradizionale forma di reddito delle classi agiate. Passeranno alcuni anni e la casa di commercio, date le dimensioni assunte, sarà divisa in tante sezioni quanti erano i campi di attività entro cui si muovevano le iniziative del F., e cioè navigazione, commercio, tessili, vino, zolfi, siderurgia, ecc. Per finanziare le speculazioni sugli zolfi creerà una piccola banca che durerà sino al 1902. Lavoratore instancabile, dotato di un forte carattere e di senso del dovere, il F. a ragione poteva essere considerato una delle personalità di spicco tra gli uomini d'affari del suo tempo, non solo in Sicilia.
Insieme con C. Campostano nel 1829 assunse la gerenza della Società anonima per la Regia interessata delle dogane, per la privativa della fabbricazione dei tabacchi e per la Regia interessata dello spaccio dei medesimi. Nell'ottobre dello stesso anno fondò con altri negozianti la Compagnia palermitana di assicurazioni, con un capitale di 28.000 onze. Tra i soci figuravano i più bei nomi della borghesia di Palermo, tra cui G. D'Anna, M. Buonocore e altri. Quindi fu la volta della tonnara dell'Arenella, una parte della quale il F. acquistò per 900 onze, dando inizio a un'industria che, pur con vicende alterne, non sarà più abbandonata. La tonnara passò interamente di sua proprietà nel 1837, anno in cui il F. aveva già preso in affitto dal principe di Valdina e di Solanto un'altra tonnara, quella di San Nicolò.
Rimasto senza esito, per intralci burocratici e incomprensioni governative, il tentativo di introdurre a Palermo una raffineria di zucchero, il F. comprò tre piccole navi a vela con l'intento di risparmiare sui noli: il "Leone", di 416 t, e i due bricks "Diligente" di 204 t e "Giuseppa" di 101. Il "Leone" faceva traversate tra Palermo e Marsiglia e Liverpool, spingendosi, a volte, fino a New York.
L'industria enologica, la quale aveva arricchito imprenditori come Woodhouse e il ricordato Ingham, non poteva lasciarlo indifferente. Nel 1832, sebbene già da tempo il mercato attraversasse una crisi di cui non si vedeva la fine, sfidò le due ditte dando il via alla costruzione di una fattoria a Marsala per la produzione dell'omonimo vino e investendo, con un socio che lo affiancherà per i primi anni, 3.300 onze. Vent'anni dopo questo capitale sarà salito a 200.000 lire. Gli Operai, fra adulti e ragazzi, supereranno il centinaio.
Di questo periodo sono pure la fondazione della Società dei battelli a vapore, l'affitto delle tonnare di Formica e Favignana, la costruzione di un piccolo stabilimento per la produzione dell'acido solforico alle falde del monte Pellegrino, l'impianto di una filanda lo sviluppo del commercio e dell'industria dello zolfo, soprattutto dopo l'accordo con la vedova del principe di Pantelleria per lo sfruttamento delle miniere di Recalmuto, e alcune iniziative nel campo della finanza.
La Società dei battelli a vapore - nata per iniziativa del F., del solito Ingham e di un gruppo di capitalisti - contava più di 120 soci (tra cui, sia pure con poche azioni, R. Settimo, il capo della rivoluzione dei '48) e un capitale di 35.000 onze. Essa si proponeva di spezzare il monopolio delle compagnie napoletane nei trasporti tra la Sicilia e il continente. A Greenwich fu fatto costruire un bastimento di 150 cv, il "Palermo", il quale arrivò nella capitale dell'isola il 27 sett. 1841 tra l'entusiasmo dei soci e della città. La speranza di realizzare forti guadagni andò però delusa. I ricavi coprivano a malapena le spese. Nel 1848 il governo rivoluzionario sequestrò il vapore per le sue necessità e decretò di fatto la fine della società.
Malgrado le perplessità che accompagnarono quel primo tentativo, il F., divenuto intanto uno dei più "pecuniosi uomini della capitale" (Candela, p. 82), intuì che l'attività armatoriale in Sicilia, se ben organizzata, poteva ugualmente essere fonte di buoni profitti. Pertanto, nel 1847, ancora in vita la Società dei battelli a vapore, fece venire dalla Francia l'"Indépendent" che toccò il porto di Palermo, in piena rivoluzione, sotto bandiera francese per essere al riparo dalle navi borboniche. Era nata l'Impresa I. e V. Florio per la navigazione a vapore dei piroscafi siciliani. Soffocata la rivoluzione, la nave prese il nome di "Diligente" per non urtare la suscettibilità del governo, iniziando regolari viaggi intorno alla Sicilia al comando del capitano M. Davì.
Nel 1851 il F. ordinò ai cantieri Thompson di Glasgow il "Corriere siciliano", di 250 cv, capace di trasportare un centinaio di passeggeri tra prima e seconda classe. Destinato ad alcune linee mediterranee, arrivava sino a Marsiglia. Cinque anni dopo l'Impresa firmò col governo borbonico la prima convenzione per il trasporto di soldati e materiali, con un compenso di 7.500 ducati all'anno, e per lo svolgimento del servizio postale in Sicilia. Quest'ultimo servizio venne rimunerato col 20% delle tariffe postali.
Per far fronte ai nuovi impegni, si rese necessario l'acquisto di un terzo vapore, l'"Etna", di 326 t, pure costruito a Glasgow. Poi, sfruttando alcune protezioni politiche, fu possibile assicurarsi la concessione del servizio postale tra Napoli e la Sicilia, con un anticipo di 30.000 ducati con cui aumentare la crescente flotta di un altro bastimento.
Dopo la scadenza non si presentarono difficoltà al rinnovo dei contratti per i successivi sei anni. Si trattò di un ottimo affare: 30.000 ducati all'anno e l'anticipazione di un'annata destinata all'ulteriore ingrandimento della flotta di una unità. Il nuovo bastimento, l'"Elettrico", si distinse per l'eccezionale velocità di 13 nodi che era in grado di sviluppare.
Durante gli eventi del 1860 il Borbone noleggiò queste navi, le armò di cannoni e le pose di sorveglianza lungo le coste siciliane. Requisite poi da Garibaldi, tornarono al proprietario dopo l'annessione delle Due Sicilie al Regno d'Italia, con l'eccezione dell'"Etna", affondato perché inservibile.
Con l'uscita di scena dei Borboni, si poneva per il F. il problema dell'inserimento nel nuovo contesto politico-economico, tanto più che i suoi rapporti col passato regime potevano fare disperare della benevolenza del governo italiano. Non che egli risultasse apertamente compromesso, ma non si dimenticava che la sua partecipazione ai fatti del '48 era stata tiepida e comunque condizionata dalla preoccupazione di salvaguardare il patrimonio e gli interessi economici. Chiunque ricordava, per esempio, il rifiuto, per mancanza di garanzie, di un prestito alla rivoluzione per una fornitura di armi. Invece tutto andò per il meglio. Del resto, Torino aveva ogni convenienza a pacificare gli animi e instaurare sereni rapporti con la borghesia produttiva delle nuove regioni.
Sicché, all'indomani dell'Unità, il F. presentò i suoi prodotti all'Esposizione italiana di Firenze, dove ottenne buoni riconoscimenti, in particolare per il sommacco, la cui esportazione in Francia, principale paese consumatore, era caduta per le frodi commesse da alcuni conimercianti. Il sommacco del F., risultato purissimo, aveva avuto il merito di fare tornare il mercato alla normalità.
Dopo la definitiva affermazione del marsala, seguita a un primo periodo di incertezza, è da registrare l'ingresso nell'industria siderurgica avvenuto con il rilevamento, dai fratelli Sgroi, della Fonderia Oretea, che già nel 1844 costruiva interessanti torchi idraulici oltre a moltissimi piccoli utensili di uso domestico. Alla caduta del Regno, l'azienda dava lavoro a 150 persone, tra operai e impiegati, e usava macchine a vapore. Ingrandita e ammodernata, rimarrà a lungo la più importante della Sicilia.
Ad uno stabilimento per la filatura del cotone il F. aveva pensato invece nel 1838, quando installò una macchina filatrice in un locale a ridosso del convento di S. Domenico a Palermo. Per costruire un vero opificio, chiese la concessione di un terreno di proprietà del Comune fuori porta Termini ma, scoraggiato dalla lentezza delle pratiche, risolse di impiantarlo a Marsala, proprio vicino alla fattoria del vino, della quale poteva utilizzare le macchine a vapore. Nel periodo migliore, nella filanda lavorarono 150 operai. Il cotone filato ogni anno ammontava a poco meno di 1.200 q e risultava di buona fattura. Tuttavia la produzione non andò mai oltre il mercato circostante. E quando, nei primi anni Sessanta, la concorrenza nazionale ed estera si fece insostenibile, il F. sospese per sempre l'attività.
In compenso, nel periodo che va dal 1841 al 1859, tenne in gabella le tonnare di Formica e Favignana, di cui erano proprietari i marchesi Pallavicino di Genova e la famiglia Rusconi. Egli si gettò con vera passione in quell'industria, apportandovi fondamentali innovazioni. Inventò la montaleva la quale, modificando un sistema vecchio di secoli, rese possibile l'eliminazione del cosiddetto corpo grande che pesava - bagnato - oltre un quintale e mezzo, e la cattura dei tonni singolarmente, senza attendere i branchi. Si cominciò, inoltre, ad impiegarne l'olio nella preparazione della concia.
Prima del F. il tonno veniva conservato soltanto salato, e ciò ne limitava il consumo e lo faceva sospettare causa di malattie. Egli applicò il confezionamento sott'olio e, in questo modo, il commercio si estese progressivamente in tutta Italia.
Ma le sue attenzioni maggiori si concentravano nella marineria, tanto più che, decadute le convenzioni col precedente governo, era da prevedere la concessione degli stessi servizi attorno alla Sicilia e nel Mediterraneo da parte delle Poste italiane. Ed infatti, nell'estate 1861, a Torino, U. Peruzzi per il ministero e G. Orlando, direttore della compagnia del F., firmarono una convenzione provvisoria sempre della durata di sei anni : La società si impegnava ad impiegare vapori di almeno 580 t, con una forza di 140 cv. La sovvenzione ammontò a 18,50 lire per lega marina percorsa. In previsione dei maggiori impegni che si profilavano dopo l'accordo, il F. ordinò due nuovi vapori in Inghilterra, abbandonò il carattere familiare dell'impresa di navigazione e costituì, il 25 ag. 1861, la società in accomandita Piroscafi postali di I. e V. Florio, con un capitale di 320.000 onze, pari a 4.000.000 di lire, suddiviso in azioni da 80 onze. E F. conferì le navi e il contratto con lo Stato. La società ebbe sede a Palermo ed egli, naturalmente, se ne riservò la gerenza.
L'attività di negoziante (nell'ampio significato che allora aveva questo termine) e di capitalista, cui si dedicava senza risparmio di energie, non impediva al F. di guardare alla vita pubblica. Già per venticinque anni, dal 1834 al 1859, aveva ricoperto la carica di membro della Camera consultiva di commercio di Palermo e quella, assai prestigiosa, di governatore del Banco di corte. Dopo l'Unità venne eletto in seno alla sezione palermitana del Consiglio di ammiragliato mercantile, presidente del consiglio amministrativo della sede locale della Banca nazionale nonché presidente della Camera di commercio. Questa, anzi, pur avendo ufficialmente sede nel palazzo del ministro luogotenenziale, sino al 1863 funzionò in casa sua.
Il governo italiano, intanto, doveva pure istituire i servizi postali e commerciali lungo le linee dell'Adriatico e del Mediterraneo. In un primo tempo qualcuno aveva proposto di gestire in proprio quelle attività. Poi prevalse l'orientamento di affidarle a terzi assuntori e, in mancanza di una sola grande compagnia con cui preferibilmente si sarebbe voluto trattare, si finì con l'interpellare tutte le società ritenute in grado, per mezzi e competenza posseduti, di assolvere il servizio con regolarità. Le condizioni preliminari prevedevano che le imprese risiedessero in Italia e che le navi battessero bandiera nazionale. La proprietà poteva anche essere in mani straniere. Alla fine i negoziati si restrinsero alle tre compagnie che meglio rispondevano ai criteri di idoneità: la Rubattino. l'Accossato e la Florio.
Con R. Rubattino la firma della convenzione avvenne il 21 nov. 1861 e riguardò il servizio postale tra il continente e la Sardegna per un periodo di quindici anni. Il Rubattino si assicurò una sovvenzione di ventuno lire per lega e un'anticipazione di 1,8 milioni per il potenziamento della flotta.
Agli inizi di dicembre G. Accossato sottoscrisse il contratto per il servizio postale e commerciale nel Mediterraneo, con una sovvenzione di 28 lire per lega e l'anticipazione di 3.000.000 rimborsabili in dieci anni.
La convenzione del F., firmata l'8 apr. 1862, assorbiva la precedente del 1861. Aveva una durata di quindici anni con un sussidio statale di 21 lire per lega marina e un'anticipazione senza interessi di un milione con cui, come al solito, provvedere la flotta di altri vapori. La compagnia si impegnava a servire le linee attorno alla Sicilia e quella da e per Napoli, nel trasporto di viaggiatori, merci e plichi postali.
Delle società controparti dello Stato, quella siciliana veniva a beneficiare dei minori introiti a causa del numero inferiore di leghe da percorrere ad essa assegnato. Questo però non significava che il F. non godesse di altissima considerazione nelle sedi ministeriali. Del resto, l'affermazione dei suo primato in Italia si andava delineando chiaramente.
Nel giro di un anno, rispettando i termini degli accordi, portò a dodici le unità che componevano la flotta e, contemporaneamente, elevò il capitale a 6.000.000. La compagnia, ottimamente diretta, guadagnò ancora in forza economica e prestigio. Le sue navi diventarono ben presto farniliari in tutti gli scali del Mediterraneo e, benché non fossero infrequenti le lamentele per i noli troppo alti, le città i cui porti venivano saltati elevavano preoccupate proteste. I soci ringraziavano il F. degli eccellenti risultati. Alla borsa di Palermo, pur in un ambiente afflitto dalla mancanza di intraprese commerciali e industriali, le azioni si mantenevano costantemente sopra la pari del 20%. Nel 1865, con l'ulteriore aumento del capitale da 6 a 8.000.000 e l'incessante opera di arricchimento del naviglio, apparve evidente il disegno della società di volersi confrontare anche con le potenti flotte francesi operanti nel Mediterraneo.
Col definitivo riconoscimento su scala europea dell'impresa di navigazione, il F. deliberò la costruzione a Palermo delle attrezzature per la manutenzione ordinaria delle navi, dando incarico all'amico architetto C. Giachery di progettare uno scalo d'alaggio al molo. Inoltre fece installare al porto una gru capace di sollevare 40 tonnellate. Ma i lavori dello scalo d'alaggio risultarono insoddisfacenti e il F. abbandonò l'opera con una perdita di 700.000 lire.
I suoi interessi avevano superato da un pezzo i ristretti confini isolani. Nel 1864 partecipò al comitato promotore di una società che avrebbe dovuto rilevare dallo Stato il cantiere di S. Bartolomeo, nel golfo di La Spezia. Nel comitato sedevano alcunì tra i più prestigiosi imprenditori italiani, tra cui C. Bombrini e D. Balduino. Tuttavia il Parlamento non approvò il disegno di legge presentato dal ministro della Marina mercantile e della società di costruzioni navali, sicuramente destinata ad un grande avvenire, non si parlò più.
Nominato senatore nello stesso 1864, il F. morì a Palermo l'11 sett. 1868 lasciando un patrimonio di 12.000.000 di lire. Aveva sposato la milanese Giulia Portalupi, dalla quale ebbe due figlie, Angelina e Giuseppa, e un figlio, Ignazio.
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. Giulia Florio Afan de Rivera, Carte private Florio, Raziocini dell'eredità di Paolo Florio, 1808, 27 genn. 1809, 24 genn. 1810, passim; Arch. di Stato di Palermo, Notai defunti, Domenico Guarnaschelli, 25 sett. 1838; Ibid., Intendenza di Palermo, b. 918; Ibid., Direz. generale di statistica, f 147; Palermo, Arch. notarile distrett., Notaio Michele Maria Tamajo, 5 ott. 1841; Ibid., Giuseppe Quattrocchi, 10 ott. 1861 n. 863; 21 sett. 1868, n. 512 ali.; Atti parlamentari, Camera, Discussioni, tornata dell'8 marzo 1862; Senato del Regno, Discussioni, 8 giugno 1864; 1° dic. 1868; Roma, Arch. centrale dello Stato, Min. Agr., Ind. e Commercio, 1860-1899, Div. Ind. e Commercio, b. 20, f. 166; Ibid., Min. Comunicaz., Direz. generale Marina merc., Ispettorato servizi marittimi, cart. 115, fasc. 915, 11965; cart. 116, fasc. 15331, 20805, 10151; Compagnia Palermitana di assicurazioni, Palermo s.d. [1830], pp. 3 s. e passim; Repliche dei signori Ignazio e Vincenzo Florio..., Palermo 1835, pp. 4 ss.; Società dei battelli a vapore, Documenti riuniti per la intelligenza dei soci, Palermo 1842, passim; P. Calvi, Mem. stor. e critiche della Rivoluzione siciliana del 1848, Londra 1851, I, pp. 204, 304 s.; II, pp. 260, 304-308; Esposizione italiana tenuta in Firenze nel 1861, Relazione dei giurati, Firenze 1864, II, p. 68; L'Amico del popolo, 12 sett. 1868; L. Di Maggio, Per i solenni funerali del cav. V. F., Palermo 1868; F. Guardione, Il dominio dei Borboni in Sicilia dal 1830 al 1861 in relazione alle vicende nazionali, Torino 1907, p. 44 n.; C.A. Vecchi, La marina mercantile, in Mezzo secolo di storia ital., Milano 1911, p. 92; O. Tiby, Il Real Teatro Carolino e l'Ottocento musicale palermitano, Firenze 1957, pp. 181 s.; C. Trasselli, Premessa a M. Taccari, I Florio, Caltanissetta-Roma 1967, passim; Centocinquanta anni della Camera di commercio di Palermo, Palermo 1969, passim; D. Mack Smith, Storia della Sicilia medievale e moderna, Bari 1970, passim; R. Romeo, Risorgimento in Sicilia, Bari 1973, p. 243; R. Trevelyan, Principi sotto il vulcano, Milano 1977, passim; P. Nicolosi, Palermo fin de siècle, Milano 1979, pp. 16, ss, 104; R. Giuffrida, Politica ed economia nella Sicilia dell'Ottocento, Palermo 1980, p. 68 e passim; C. De Seta - L. Di Mauro, Palermo, Bari 1980, p. 150; Camera dei deputati, I moti di Palermo del 1866, Verbali della Commiss. parlamentare d'inchiesta, Roma 1981, pp. 147 s.; 240, 417; F. Renda, Storia della Sicilia dal 1860 al 1970, Palermo 1984, I, pp. 109, 228, 247; R. Giuffrida - R. Lentini, L'età dei Florio, Palermo 1985, pp. 29-52; S. Candela, I Florio, Palermo 1986, passim; O. Cancila, Palermo Bari 1988, passim; Id., I grandi siciliani…, V. e I. Florio: Suppl. de L'Ora, 29 nov. 1989, pp. 17 ss. e passim; L'economia dei Florio, Palermo 1990, passim; O. Cancila, La Società di navigazione "Tirrenia (Flotte Riunite Florio - Citra)". 1932-1936, in Fra spazio e tempo. Studi in onore di L. De Rosa, III, a cura di I. Zilli, Napoli 1995, pp. 155-179.