FOPPA, Vincenzo
Figlio di Giovanni da Bagnolo, nacque a Brescia, città dove il padre svolgeva il mestiere di sarto, tra il 1427 e il 1430. Non si hanno notizie certe sul suo apprendistato artistico, intuibile solo dagli influssi riscontrabili nelle sue prime opere. Una notizia desunta dal Trattato dell'arte della pittura ... di G.P. Lomazzo (lib. VI, cap. XXI) farebbe pensare a una primissima attività del F. a Milano, mentre è interessante sottolineare che i Bembo avevano aperto una scuola a Brescia tra il 1421 e il 1433.
A Brescia il F. dovette guardare sia agli affreschi di Gentile da Fabriano nel Broletto che all'Annunciazione di Iacopo Bellini in S. Alessio. Decisamente tardogotica è la prima opera concordemente attribuita al F. dalla critica, la Madonna col Bambino e angeli musicanti (Firenze, I Tatti), in cui si riscontrano motivi cari a Gentile da Fabriano e spiccate analogie con l'arte dei Bembo.
Incerta è l'attribuzione al F. dei cartoni per la vetrata del Nuovo Testamento nella quinta finestra della navata del duomo di Milano, eseguita dai maestri vetrari Da Pandino, che il Ragghianti (1954) ritiene fra le prime opere del Foppa.
A una fase leggermente successiva appartiene la Crocefissione del 1456, che si conserva all'Accademia Carrara di Bergamo. Si tratta della prima opera firmata e datata, definita "la più audace rivelazione della libertà con cui la pittura del Nord Italia interpretò il Rinascimento" (Wittgens, 1956, p. 752).
II dipinto evidenzia la conoscenza che il F. aveva della prospettiva albertiana, mentre l'inquadratura della scena attraverso l'arco rimanda a Donatello e a Masaccio, interpretati in maniera inusuale, poiché - come ha sottolineato la Dalai Emiliani (1971) - le regole prospettiche come di consueto sono applicate empiricamente. Secondo la studiosa infatti le scorrettezze prospettiche, che corrono lungo tutta la produzione del F., vanno lette piuttosto come "correzioni" dettate dalla necessità di rispettare la "verità ottica", mentre già a partire da questo dipinto viene lasciato "ampio margine a notazioni fenomeniche, sia nel paesaggio non misurabile sullo stesso parametro matematico del primo piano, sia nell'asimmetricità voluta per la disposizione delle tre croci oltre l'arco e oltre il "moderno" pavimento a scacchiera" (pp. 132 s.). Il paesaggio fiabesco che si apre sullo sfondo fa da apparato scenografico, inserto naturalistico quasi sempre presente nelle composizioni del F.; esempio di suggestiva modernità è inoltre il naturalismo delle figure, di cui si ha traccia anche nella gamma cromatica usata.
Profondamente naturalistico è anche il S. Girolamo, sempre dell'Accademia Carrara. Il dipinto, firmato, presenta chiare aperture alla cultura padovano-mantegnesca (già evidente nella Crocefissione del 1456), nell'uso del paesaggio roccioso e nel panneggio spezzato. Molto si è parlato a proposito della luce di questo dipinto che, secondo la definizione di Longhi (1928-29, p. 261), è un esempio di "luce laterale", che anticipa gli sviluppi futuri della "pittura della realtà" in Lombardia (Rossi, 1990).
Tra le opere giovanili del F. va ricordata inoltre la Madonna col Bambino, già in collezione Trivulzio e ora presso le Civiche Raccolte del Castello Sforzesco, che si ispira anch'essa a modelli padovani.
Tra il 1456 e il 1458 il F. prese domicilio a Pavia, dove rimase più o meno stabilmente con la famiglia fino alla fine del nono decennio, come attestano anche alcuni documenti relativi ai suoi figli, Francesco e Giovanni Evangelista. Nel 1462, per l'abate di Morimondo G.B. Maletta, esegui un polittico (oggi scomparso) nella chiesa del Carmine, cui Salmi (1923) ha collegato i Ss. Agostino e Teodoro delle Civiche Raccolte dei Castello Sforzesco, ritenendoli frammenti, e Natale (1982) ha ipotizzato la provenienza da questo polittico di due pannelli con S. Paolo e S. Siro del Minneapolis Institute of Arts. Nel 1465 il F. ricevette pagamenti per i lavori svolti nella Certosa di Pavia. Nel frattempo nel gennaio 1461 era presente a Genova dove iniziò a lavorare per conto della Confraternita di S. Giovanni Battista alla decorazione (perduta) della omonima cappella nella cattedrale e a una Maestà, anch'essa perduta, per cui era stato raccomandato da Francesco Sforza; i lavori procedettero lentamente, come attestano i pagamenti tra il 1467 e il 1474.
Nel corso del settimo decennio il F. lavorò a Milano, in realtà molto più per la ricca colonia fiorentina che per la corte sforzesca. A Milano il F. operò a fianco del Filarete, che lo cita nel suo Trattato dell'architettura, annoverandolo tra i maggiori pittori italiani. Fra le opere ricordate dal Filarete sono gli affreschi con brani di storia antica (perduti) per il Banco mediceo realizzati tra il 1462 e il 1464, di cui resta verosimilmente un solo frammento alla Wallace Collection di Londra, raffigurante un Fanciullo che legge Cicerone che, per il paesaggio sullo sfondo e per il gioco di "nature morte" composte dai libri negli scaffali, si avvicina alla produzione e agli interessi del F. in quegli anni. Nella loggia del Banco si doveva trovare un affresco con la Giustizia di Traiano, andato perduto, a cui si può forse collegare un disegno conservato presso l'Ashmolean Museum di Oxford. Intorno al 1464 il F. realizzò l'affresco perduto che doveva commemorare la fondazione dell'Ospedale Maggiore progettato dal Filarete.
Entro il 1468 realizzò il ciclo di dipinti murali commissionatigli da Pigello Portinari, nobile fiorentino, rappresentante del Banco medicco milanese, per la cappella di S. Pietro Martire nella chiesa di S. Eustorgio.
Si tratta del capolavoro del F. e di una delle maggiori imprese pittoriche del Quattrocento italiano in cui è evidente la ricerca, propria del gusto lombardo, di un illusionismo scenografico, che sembra precorrere le ricerche sull'illusionismo ottico seicentesco. La decorazione negli arconi comprende l'Annunciazione sull'arco trionfale, l'Assunzione su quello della controfacciata della parete d'ingresso della cappella, la Predica di s. Pietro Martire e il Miracolo dell'Ostia su quello di destra, il Miracolo di Narni e il Martirio del Santo su quello di sinistra. Nei tondi dei pennacchi d'imposta del tamburo il F. raffigurò i Quattro Dottori della Chiesa, mentre una teoria di angeli danzanti in stucco decora il tamburo e alla base della cupola oculi prospettici racchiudono otto busti di santi. Dottori della chiesa e santi posti all'interno di uno spazio prospetticamente definito sono un importante esempio di applicazione di quell'illusionismo naturalistico rielaborato da Mantegna così frequente nelle opere del Foppa. Durante le peste del 1630 le pareti della cappella furono scialbate e in parte ricoperte da affreschi seicenteschi, rimossi dopo il ritrovamento nella seconda metà dell'Ottocento della sottostante decorazione del Foppa. In un insieme di maestria illusionistico-prospettica che richiama le ricerche fiorentine e padovane, il F. realizzò quella che è stata definita la risposta lombarda alla cappella Ovetari nella chiesa degli Eremitani a Padova, arricchita dalla vena naturalistica di matrice nordica, e di ricercatezza decorativa, testimoniata anche dall'aggraziata teoria di angeli danzanti in stucco policromo. Questo ciclo più degli altri è importante per una ricostruzione della biografia artistica del F. poiché attesta che egli fu decisamente un conoscitore della pittura del Rinascimento, che studiò Mantegna e gli affreschi padovani, che fu a conoscenza dell'arte di Piero della Francesca e che fu in contatto con la scuola ferrarese. In questa cappella l'aggiornata cultura rinascimentale del F. evidenzia una sensibilità non solo da pittore, ma anche da architetto. Inoltre, come nella maggior parte delle opere del F., il paesaggio ha una parte molto importante: nel caso del Martirio di s. Pietro sembra rimandare più a una interpretazione francese che fiamminga (in particolare è stata notata un'aderenza ai modi di Jean Fouquet: Dalai Emiliani, 1984).
Intorno alla data del ciclo Portinari ruotano alcuni dipinti mariani, che la compostezza devota allontana dai preziosismi tardogotici: la Madonna del Libro presso le Civiche Raccolte del Castello Sforzesco, la Madonna con Bambino degli Staatliche Museen di Berlino, già Dahlem, e la Madonna della Tenda, Firenze, I Tatti. In particolare nella prima il gioco spaziale che si crea tra l'azzurro del cielo e il braccio della Vergine sporto in avanti fa pensare che il dipinto sia stato eseguito dopo la decorazione in S. Eustorgio.
Il F. non fu mai pittore di corte, sebbene fosse molto apprezzato dagli Sforza, come attesta una lettera del 17 luglio 1473 di Bartolomeo Gadio a Galeazzo Maria Sforza che scriveva di aver chiamato il F. per stimare la decorazione eseguita da Stefano de Fedeli in una nuova cappella nel castello di porta Giovia a Milano (Samuels Welch, 1985). Nel 1469 il F. si era offerto di decorare il Camposanto di Pisa, ma l'incarico venne dato a Benozzo Gozzoli. Diventato cittadino di Pavia nel 1467, fu a lungo attivo nella città nel corso dell'ottavo decennio. Tra il 1474 e il 1476 lavorò agli affreschi del soffitto e a una grande ancona per la cappella delle reliquie nel castello di Pavia e tra il 1475 e il 1476 partecipò insieme con Zanetto Bugatto e Bonifacio Bembo alla decorazione del tramezzo della chiesa francescana di S. Giacomo fuori Pavia, commissionato da Zaccarina Lonati, interrompendo più volte il soggiorno per recarsi a Brescia e in Liguria (Nova, 1983).
Tra il 1477 e il 1510 con varie interruzioni lavorò agli affreschi nella volta della cappella Averoldi nella chiesa del Carmine a Brescia. Eseguì le raffigurazioni degli Evangelistinella volta a crociera e dei Dottori della Chiesa fiancheggiati dai simboli degli Evangelisti, sopra otto putti a monocromo nei peducci; nella stessa chiesa aveva già realizzato tra il 1475 e il 1476 la pala d'altare con il Martirio del beato Simonino da Trento, poi andata perduta. Nella stessa cappella Averoldi si trova un Crocefisso a fresco, riportato su tela, dubitativamente attribuito al Foppa.
Oscilla fra il 1476 e il decennio successivo, attorno al 1482-83, la datazione del polittico per la chiesa bergamasca di S. Maria delle Grazie (Milano, Pinacoteca di Brera), in cui la ricostruzione - non del tutto certa per quanto riguarda lo scomparto centrale - evidenzia una calibrazione degli effetti prospettici.
La scansione in due registri della pala sarà d'esempio per altre opere successive dell'Italia settentrionale fino a culminare nella Pala di S. Martino di B. Butinone e B. Zenale (1485), nella collegiata di S. Martino a Treviglio. A differenza di quest'ultima, dove il punto di fuga è unico, nella pala del F. ogni sezione ha un proprio punto di fuga, come spiega la Dalai Emiliani (1971). La studiosa asserisce infatti che il F. non considera "un astratto punto geometrico, ma tiene conto [ ... ] sia della forzata molteplicità dei punti di vista dei fedeli, sia dell'impossibilità di una fruizione sincronica dell'intero polittico" (p. 125). L'incoronazione della Vergine ha un tono poco ufficiale, anzi piuttosto intimo nell'originale gesto del Bambino che pizzica le corde del liuto dell'angelo vicino. Sopra la Vergine, s. Francesco riceve le stimmate all'interno di un elegante paesaggio in cui è ancora evidente l'intento naturalistico del Foppa (Chastel, 1993). Interessante è la predominanza della posizione del riquadro con S. Francesco che riceve le stimmate rispetto al riquadro con la Madonna con Bambino. La spiegazione più plausibile è legata alla dottrina "dell'alter Christus" secondo cui per i fedeli il culto di s. Francesco si identificava completamente con quello del Redentore tanto da poter essere avvicinato a quello della Pietà e della Crocefissione generando tali anomalie iconografiche (Guazzoni, 1983). Quanto alla datazione Natale (1988) propone di fissarla non prima del 1482-83: il dipinto registra, infatti, novità presenti in ambito milanese non prima di quelle date, come il motivo decorativo del profilo della pedana su cui è posto il trono della Vergine che rimanda alla tribuna bramantesca in S. Maria delle Grazie a Milano, e il Bambino che si riferisce al disegno di Leonardo della Madonna del Gatto, realizzata tra la fine del soggiorno fiorentino e l'inizio di quello milanese. Infine, procedendo nel percorso di ricostruzione della produzione foppesca questo polittico sembra indicare un allontanamento dalle pacate ricerche compositive di S. Eustorgio verso un progressivo abbandono delle regole prospettiche dell'ultimo periodo della sua attività.
Diversa è la soluzione della Pala Bottigella, proveniente dalla omonima cappella in S. Tommaso a Pavia, e ora presso la Pinacoteca Malaspina della città, in cui il F. adottò lo schema a scena unica e lo spazio unificato che rimanda alla cappella Portinari; la nuova revisione cronologica delle opere del F. tende a considerarla precedente al polittico di S. Maria delle Grazie (Natale, 1988).
Commissionata da Giovan Matteo Bottigella e dalla moglie Bianca Visconti, raffigura la Madonna con Bambino in trono con i santi Matteo e Giovanni Battista da un lato e Girolamo e Stefano dall'altro; compaiono inoltre i due beati Domenico da Catalogna e Sibillina Biscossi, e in primo piano i donatori inginocchiati. La pala è verosimilmente databile attorno al 1480, poiché Domenico da Catalogna non poté essere beatificato prima di quella data essendo in vita fino a tutto il 1477, mentre dovette essere realizzata entro il 1486, data di morte di Bianca Visconti. Per la costruzione prospettica il dipinto è ritenuto una delle opere più significative sia nella produzione del F. sia nell'ambito lombardo del nono decennio del Quattrocento.
A Brera si conserva un affresco staccato, opera del F. raffigurante la Madonna con Bambino e ss. Giovanni Battista ed Evangelista, datato 1485. La Vergine, affacciata con il Bambino a un parapetto da cui pende un tappeto a motivi geometrici vivacemente colorato, è inquadrata in un arco monumentale con volta a lacunari, al di fuori del quale si situano i due santi.
L'importanza data all'architettura è forse legata alla originaria collocazione dell'opera proveniente dalla sacrestia della demolita chiesa di S. Maria di Brera, dove si trovava sopra la porta. Ritenuta dapprima opera di Bramantino, è stata a lungo considerata l'esempio più evidente di ripresa di motivi bramanteschi, mentre appare più chiaro il riferimento alle architetture albertiane e in particolare all'arco trionfale del vestibolo di S. Andrea a Mantova di cui sembra una libera elaborazione.
Sempre a Brera si conserva un altro affresco staccato, raffigurante il Martirio di s. Sebastiano, proveniente dalla stessa chiesa di S. Maria di Brera, dove si trovava, secondo la testimonianza del Lomazzo, nella prima cappella di sinistra entrando in chiesa, di fronte a una raffigurazione di S. Rocco probabilmente di B. Luini.
L'imponente impianto architettonico entro cui si sviluppa la scena ha fatto avvicinare di frequente in passato il dipinto alle opere di Bramante, mentre la Dalai Emiliani (1971), riprendendo alcune considerazioni di Longhi, ha notato la progressiva indipendenza raggiunta dal F. in questa opera nei confronti delle regole prospettiche e dei canoni "matematico-spaziali". In tal modo viene a cadere il presunto evolversi in senso bramantesco della produzione del K; ancora evidente è la sua vicinanza agli esempi mantegneschi nella tavoletta del S. Sebastiano di Vienna, ma qui naturalismo lombardo e pragmatismo legato alla funzionalità e alla destinazione dell'opera sembrano evidenziare un estremo bisogno di totale libertà dal codice spaziale-prospettico. L'opera era solitamente ascritta attorno al 1486, per il rapporto notato con l'epidemia di peste che imperversava que - l'anno a Milano, malattia contro cui venivano solitamente invocati i santi Sebastiano e Rocco. Ma la data va forse leggermente posticipata, come suggerisce l'impianto architettonico ridotto a esempio rispetto alla Madonna del 1485. Questa tendenza a diminuire l'imponenza degli apparati architettonici si nota nelle opere subito successive a quest'ultima data, ed è riscontrabile anche nella tavola con il Martirio di s. Sebastiano del Castello Sforzesco di Milano, composizione che riprende in maniera molto diretta l'affresco di Brera di cui ripete in controparte la figura del santo.
Nel 1487 il F. accettò di dipingere una cappella in S. Pietro a Gessate a Milano per Ambrogio Griffi. Il committente, importante membro della corte degli Sforza, insistette molto presso Ludovico il Moro perché il F. firmasse il contratto; malgrado le pressioni ricevute dal F. da parte del duca di Milano ancora due anni dopo, non risulta che egli abbia mai realizzato il lavoro.
A Genova. dopo gli affreschi nella cattedrale, il F. fu ancora presente tra il 1478 e il 1481 e nel 1489, quando gli fu saldata la perduta pala per la certosa di Rivarolo (Sanipierdarena), commissionatagli dalla famiglia Doria. Nell'aprile 1489 completò il polittico di Manfredo Fornari, già nella certosa di S. Maria di Loreto, in prossimità di Savona, e ora nella Pinacoteca comunale della città. Fra le poche opere datate del F. che si siano conservate, la pala è connotata da un gusto arcaicizzante.
Tra il 10 e il 28 aprile di quell'anno il F. fu condotto in prigione a Genova per un debito contratto con il pittore Bertolino della Canonica e fu rilasciato su cauzione, pagata dal pittore Bartolomeo D'Amico. Tornato a Pavia, tra il 29 ottobre e il 5 dic. 1489 fu coinvolto in vertenze giudiziarie con il cognato Bartolomeo da Caylina in merito all'eredità della suocera Caterina de Bolis.
Tra il 1480 e l'ultimo decennio del secolo va ascritta la tavola con la Natività nella chiesa di S. Maria Assunta di Chiesanuova, vicino Brescia. L'opera doveva verosimilmente provenire dalla chiesa dei Ss. Nazzaro e Celso a Brescia e, secondo l'ipotesi del Ragghianti (1954, p. 543 n. 12), doveva far parte di un trittico, o un polittico, comprendente due pannelli con S. Giovanni Evangelista e S. Apollonia finiti nel mercato antiquario e ora nella Pinacoteca Tosio Martinengo di Brescia.
La tavola centrale con la Natività, dato il soggetto rappresentato, fu verosimilmente trasferita nel XVIII secolo nella chiesa di S. Maria Assunta, dipendente da quella di Brescia. L'opera dimostra l'intima religiosità del F. tradotta in un linguaggio familiare; la gravità usuale è addolcita probabilmente dai rapporti che in quel momento il F. dovette avere con Giovanni Bellini, senza nulla togliere alla matrice profondamente lombarda che emerge dall'interesse naturalistico di ascendenza fiamminga (Rossi, 1990, pp. 273 s.).
Lasciata Pavia, il F. si trasferì a Brescia dove, su deliberazione del consiglio cittadino del dicembre 1489, ratificato nell'agosto 1490, ottenne uno stipendio dal Comune in quanto pittore ufficiale, ma fu dimesso dalla carica nel maggio 1495. Il 4 ott. 1490 ricevette un incarico per la decorazione della nuova loggetta nella piazza Maggiore di Brescia.
Ascrivibile tra la fine del XV secolo e l'inizio di quello successivo è la cosiddetta Pala della Mercanzia, raffigurante la Madonna col Bambino e i ss. Faustino e Giovita, proveniente dall'oratorio di S. Faustino a Brescia e ora nella Pinacoteca Tosio Martinengo.
Nel 1490 il F. eseguì per l'altare maggiore della cattedrale di Savona il polittico commissionatogli dal cardinale Giuliano della Rovere, futuro Giulio II, trasferito nel 1542 nell'oratorio di S. Maria di Castello sempre a Savona, dove tuttora si trova. Opera di grande mole, realizzata su quattro livelli, particolare che insieme all'alto lignaggio del committente ne puntualizza l'importanza, fu completata da Ludovico Brea (Chastel, 1993, pp. 190 s.).
Sempre a Pavia, tra il 1497 e il 1501 il F. eseguì per la chiesa di S. Maria Gualtieri una pala d'altare su fondo oro con predella, andata perduta.
Alla maturità del F. appartengono la Pietà, proveniente da S. Pietro in Gessate, poi presso il Kaiser-Friedrich di Berlino e ora perduta, l'Annunciazione (Isola Bella, Museo Borromeo), forse eseguita al tempo in cui il F. realizzava (1499) lo sfarzoso polittico per la chiesa di S. Maria Gualtieri, in cui la Wittgens (1956) ha ravvisato chiari echi leonardeschi. Nell'Adorazione dei Magi della National Gallery di Londra, anch'essa opera della maturità, accanto all'effetto fantastico, accentuato dalla presenza del paesaggio, è evidente ancora una volta l'intento naturalistico di matrice fiamminga.
Il 19 febbr. 1510 il F. si accordava con l'arciprete e i consoli della pieve di S. Maria di Soncino per realizzare un grande polittico per l'altare maggiore che doveva essere terminato entro la Pasqua del 1511; l'opera dovette essere eseguita, ma andò presto distrutta, forse già agli inizi del XVII secolo.
Alle soglie dei novant'anni il F. dipinse tra il 1514-1515 lo stendardo di Orzinovi, vicino Brescia, commissionatogli dal Consiglio del borgo il 16 ag. 1514. L'opera, che doveva avere un effetto taumaturgico contro la peste, in formato di ex voto processionale, è dipinta su entrambi i lati: sul recto raffigura la Madonna con Bambino e i ss. Caterina e Bernardino e sul verso i Ss. Rocco, Sebastiano e Giorgio; la composizione e il baldacchino derivano dalla Pala della Mercanzia, ora nella Pinacoteca Tosio Martinengo di Brescia.
Il F. morì tra il mese di maggio del 1515 e l'ottobre 1516 a Brescia, come attestano due documenti relativi a pagamenti fatti il primo dal F., il secondo dai suoi eredi.
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