GABIANI, Vincenzo
Le notizie sul G. "gentilhuomo et academico bresciano", documentato intorno alla metà del sec. XVI sono molto scarse. Le fonti non riportano le date di nascita e di morte e riassumono in poche righe l'esistenza di questo letterato: "per godere la quiete del suo cuore e la tranquillità dell'animo suo, visse assai solingo" (Cozzano, p. 299) e "nemico delle discordie versando ne' poetici studi" (Peroni, p. 74).
P. Guerrini fornisce notizie sulla famiglia bresciana dei Gabbiani (o Gabbiano o de Gabbiano), che dal paese d'origine, Gabbiano, oggi Borgo San Giacomo, si trasferì a Brescia per il commercio dei latticini e, nel 1445, quando venne ascritta prima alla cittadinanza, poi alla nobiltà bresciana cambiò l'antico cognome Manenti con il nome del paese avito. Il G. potrebbe essere appartenuto a questa famiglia, ma tale ipotesi non è confermata dagli altri documenti di cui si dispone.
L'attività letteraria del G. si svolse nell'ambito della lirica e del teatro. Nel 1551 pubblicò a Venezia, presso il tipografo G. Giolito da Ferrari, una commedia in cinque atti intitolata I gelosi, probabilmente composta verso il 1545.
Nel prologo de I gelosi il G. dichiara di aver "tolto" la vicenda da due commedie di Terenzio, l'Andria e l'Eunuco, e difende con passione questo genere teatrale dall'accusa di essere spettacolo lascivo e contrario alla morale cattolica, indicandone la finalità nel miglioramento dei costumi attraverso il diletto e il ridicolo.
Il G. osserva fedelmente le regole prescritte: la divisione della commedia in cinque atti, il rispetto delle unità aristoteliche, la scelta della città come luogo scenico privilegiato.
La commedia, inoltre, segue uno schema fisso, codificato a partire dagli anni Venti che rispecchia più da vicino i modelli del teatro latino. Tale schema prevede che la vicenda nasca dal contrasto tra i giovani e l'autorità dei padri. I desideri dei giovani trasgrediscono i valori dominanti e la volontà paterna, provocando di conseguenza altre trasgressioni e complicando la situazione fino alla catastrofe. Alla fine, grazie agli espedienti dell'agnizione e del ritrovamento si assiste al trionfo dei desideri giovanili e alla pacificazione con l'autorità paterna.
Il testo presenta poi una particolarità: le battute di personaggi che parlano contemporaneamente sono contraddistinte ciascuna da una lettera dell'alfabeto, e questo "per poter dare a conoscere a coloro, che leggeranno, hora due, et hora tre persone in quelli luoghi parlare ad uno medesimo tempo insieme…" (p. 4).
La commedia del G. giudicata da I. Sanesi "fredda e fiacca", "poco originale nell'invenzione e tutt'altro che felice nell'esecuzione" (p. 259), ebbe gran successo tra i contemporanei, come dimostrano la ristampa del 1560, sempre presso i Giolito, l'edizione del 1606 e la traduzione in francese a opera del drammaturgo P. Larivey con il titolo Jealoux.
I gelosi non furono la prima opera teatrale del G.: nel prologo, infatti, l'autore accenna a un'altra sua commedia, Il talento, già rappresentata e accolta con favore dal pubblico bresciano.
In una lettera indirizzata a Pietro Bembo, scritta da Brescia il 10 luglio 1538 (Lettere da diversi re e principi e cardinali e altri uomini dotti a mons. Pietro Bembo scritte, Venezia, Sansovino, 1560, V, pp. 85 s.) il G. definisce Il talento "primo parto degli oci miei" e chiarisce le ragioni della lettera, in quanto "desideroso di haver il parere vostro sopra il Talento, la prima commedia in ordine che fatto mi habbia…". È interessante notare come il G., attento lettore e ammiratore delle Prose del Bembo, attribuisca grande importanza allo stile definito "forza della scrittura". Nel congedo il G. allude ad altre sue commedie "… a me darà animo di fargliele vedere anchora un paio". Ma nessun esemplare de Il talento e di altre commedie è giunto fino a noi.
La produzione lirica del G. è racchiusa in due antologie poetiche, tipologia di libro cui si deve la diffusione dell'interpretazione classicistica del Petrarca proposta dal Bembo e della lirica petrarchista. La silloge curata da G. Ruscelli, Rime di diversi eccellenti autori bresciani, pubblicata a Venezia per P. Pietrasanta nel 1554, contiene due sonetti, "Lasso, ch'io sento in mezo al dubio core" e "Colle ch'un tempo il mio languire udisti", e una sestina, "Posta è mia vita a mezo verno in mare" (pp. 213-215). Un sonetto, "Là dove austro sospigne in braccio l'onde", si trova in Il tempio alla divina s. donna Giovanna d'Aragona (p. 111), raccolta curata dallo stesso Ruscelli e stampata a Venezia per i tipi di F. Rocca nel 1565. Tale antologia fu composta nel 1551 (e stampata una prima volta dal Pietrasanta nel 1555) per iniziativa dell'Accademia dei Dubbiosi che intendeva così celebrare Giovanna d'Aragona moglie di Ascanio Colonna. La presenza del sonetto del G. all'interno di questa raccolta, unita all'epiteto che si accompagna al suo nome, "accademico bresciano", lascerebbe supporre l'appartenenza del G. stesso a questa accademia letteraria; ma non si hanno notizie a conferma di questa ipotesi.
Fonti e Bibl.: L. Cozzando, Libraria bresciana, Brescia 1694, p. 299; V. Peroni, Bibliotecabresciana, Bologna, 1818-23, II, p. 74; S. Bongi, Annali di Gabriel Giolito de Ferrari, Roma 1895, I, p. 331; II, p. 90; F. Flamini, Il Cinquecento, Milano s.d., pp. 296 s., 315, 557; P. Guerrini, Iscrizioni bresciane, in Fonti per la storia bresciana, V, Brescia 1928, p. 33; Id., Borgo San Giacomo. Memorie parrocchiali, in Mem. stor. della diocesi di Brescia, IX (1938), p. 85.