GAJASSI, Vincenzo
Figlio di Antonio, nacque a Roma nel 1811 (non nel 1801). Molto precoce è, dunque, il suo esordio come incisore: nel 1826-27 realizzò trenta tavole per illustrare la Secchia rapita di Alessandro Tassoni. Distribuite in fascicoli, come risulta dal manifesto di associazione, le incisioni mostrano il G. emulo, se non direttamente allievo, di Bartolomeo Pinelli, secondo la vena più sbrigativa e grottesca del Meo Patacca (1825). Il G. era legato da stretta amicizia al Pinelli, come dimostra un acuto saggio sulla sua opera che pubblicò poco dopo la morte dell'artista romano sul Tiberino (III [1835], 23, pp. 89 s.). I contemporanei lodarono il G. come "degno successore del Pinelli" (Dalbono, 1839); ma, per quanto vi sia in lui l'imitazione di un certo spirito scherzoso tipico del Pinelli, enorme è la differenza di stile, che nel G. risulta da influenze diverse, per esempio del protoromantico Luigi Sabatelli e del neoclassico John Flaxman.
Simile a Pinelli fu, semmai, nell'anticonformismo degli atteggiamenti, se è vera la notizia riportata dal Silvagni (1883-85) che egli fosse a capo di una banda di artisti, a cui si univano giovani rampolli della ricca borghesia e della nobiltà, dedita a burle di ogni sorta: legare le carrozze all'uscita dei teatri, simulare incendi, o tingere in nero il cavallo bianco di qualche elegante. Un altro tratto bizzarro del G. riferito dal Silvagni riguarda un serpente addomesticato che egli teneva in casa e che avrebbe fatto fuggire un confessore quando, durante una malattia, l'artista credeva di essere in punto di morte. Sulla cattiva salute del G. si trova cenno in lettere del 1834 e 1839 di Giuseppe Gioachino Belli a Iacopo Ferretti, che gli erano amici. A proposito del serpente addomesticato è da notarsi come il G. abbia inserito una rappresentazione di questo animale in molte sue opere di scultura, anche quando la sua presenza non sembrerebbe affatto necessaria al soggetto, come nel caso del Monumento a Palladio a Vicenza (1859).
L'anticonformismo del G. appare riflesso nella sua opera, come dimostrano le illustrazioni del poema S. Benedetto di Angelo Maria Ricci. La pubblicazione si interruppe nel 1828, ai primi due canti, forse proprio perché il G. scelse di insistere sugli spunti orrifici e grotteschi dell'argomento. Il successo di queste imprese editoriali, realizzate a Roma, non era del resto scontato: già nel 1826 il G. sottopose una supplica al cardinal camerlengo per tutelarsi dalle illecite pubblicazioni della sua Secchia rapita e di un "Ossian del Cesarotti" (Spetsieri Beschi, 1986), che non ebbe evidentemente seguito.
Alcuni manifesti di associazione, fatti pubblicare dal G. sul Tiberino, per "tutte le tragedie dell'Alfieri" (I [1833], 40, p. 160), oppure per le "Storie Fiorentine espresse in 50 stampe" (II [1834], 8, p. 4), non sembra abbiano trovato sottoscrittori.
Maggior fortuna ebbe la pubblicazione delle Notti romane di Alessandro Verri (Roma 1832), con dedica a B. Thorvaldsen, vera e propria imitazione delle composizioni a tratto del Flaxman. Del 1833 è l'opera collettiva Scene di società ossia Piacevole collezione di… illustrazioni desunte dagli umani costumi, stampata a Roma presso il Salviucci, in ventiquattro tavole, timido tentativo di satira sociale della Roma contemporanea; degli artisti che vi lavorarono, tra cui anche il Pinelli, il G. fu l'autore del maggior numero di tavole. Nello stesso anno il G. iniziò anche la serie, continuata fino al 1835, della Storia della Grecia moderna dal 1803 al 1832, illustrante alcuni episodi tra i più crudeli e sanguinosi della lotta di liberazione dai Turchi. Dell'opera, di cui si conservano le lastre e disegni preparatori in collezione privata a Roma, uscirono solo dieci tavole, probabilmente per ragioni di censura. Forse per tale motivo il G. si dedicò a illustrare un testo irreprensibile come I martiri ovvero Il trionfo della religione cristiana, di F.-R. de Chateaubriand (1834-35), di cui uscirono però solo trenta delle annunciate cinquanta tavole.
Dopo questa, il G. non illustrò più opere di vasto respiro, dedicandosi soprattutto all'attività di scultore, di cui però non si conoscono prove anteriori alla metà degli anni Trenta. Non si sa neppure dove egli abbia imparato l'arte, per quanto sia probabile, anche per ragioni di stile, una sua presenza nello studio del Thorvaldsen. Primo e, almeno inizialmente, esclusivo committente del G. scultore fu il principe banchiere Alessandro Torlonia che, a partire dal 1833, iniziò la sua campagna di ristrutturazione e abbellimento del palazzo di piazza Venezia e della villa sulla via Nomentana, oltre alla costruzione ex novo della cappella funebre di famiglia in S. Giovanni in Laterano. Il G. partecipò a tutti e tre i progetti, ma, smantellato e distrutto il palazzo nel 1901-02, deturpata da atti di vandalismo la villa in anni più recenti, molte sue opere sono andate disperse o perdute.
Probabilmente il primo lavoro realizzato per il Torlonia, originale connubio tra scultura e incisione, fu la realizzazione di quaranta lastre di marmo che ornavano il pavimento dell'atrio del palazzo, incise e intarsiate di piombo in modo da disegnare "qui i vari putti con tigri, con cani; fiumi, animali, ed altrettanti capricci" (Checchetelli, 1842, p. 10); sull'esempio di queste, un'altra serie di lastre fu commissionata al G. dalla duchessa di Sutherland (ibid.). All'esterno del secondo cortile del palazzo Torlonia, si trovavano otto medaglioni, non è chiaro se di stucco o di marmo, con altrettante figure allegoriche maggiori del vero, tra le quali la Magnificenza dei principi e l'Intelligenza (ibid., pp. 11-13).
Tra il 1835 e il 1836 eseguì la scultura di marmo di una delle nove Muse, minori del vero, che insieme con un Apollo ancora ornano le nicchie della sala di Alessandro affrescata da F. Coghetti a villa Torlonia. La Melpomene del G., atteggiata come una Medea da tragedia, ha più carattere e movimento delle altre sculture della sala, eseguite perlopiù da giovani dello studio di P. Tenerani: si capisce come nel 1843, dovendo eseguire quattro statue di gesso per l'interno del teatro adiacente alla villa (Shakespeare, Racine, Euripide e Rossini, ora distrutte), il G. ricevesse un compenso doppio rispetto a tutti gli altri scultori. Nel 1837 aveva già eseguito il grande timpano di terracotta che orna il frontone del Tempio di Saturno, bizzarria architettonica che si trova nel parco di villa Torlonia; il bassorilievo raffigura Saturno come dio del tempo circondato dalle quattro stagioni, dalle personificazioni del Piacere e dello Studio e dell'Ozio e della Vigilanza alle opposte estremità.
Intorno al 1840 modellò in stucco trentacinque bassorilievi che ornavano il vestibolo della villa di Marino Torlonia, fratello di Alessandro, nei pressi di porta Pia (completamente distrutta da un attentato nel dopoguerra). Nel 1841 curò l'allestimento di una effimera colonna onoraria, costruita sul modello della Traiana, che aveva in cima una statua della Religione e dipinti sul fusto in finto bassorilievo i fatti della vita di Gregorio XVI; l'aspetto generale del singolare monumento, elevato sul piazzale di Ponte Milvio per il ritorno del papa dal suo viaggio nella Comarca, è conservato in un'incisione del G. stesso.
Di questi anni sono anche i numerosi medaglioni di stucco con soggetti mitologici (molti rintracciati da J.B. Hartmann in collezioni romane e al Museo di Roma) che completavano, a palazzo Torlonia, la decorazione della sala di Psiche, affrescata dal Coghetti, e della camera di Diana, dipinta da F. Podesti. Alcuni rilievi eguali e altri approntati per l'occasione compongono la decorazione plastica dei palchi del teatro Nuovo di Spoleto, la cui costruzione era iniziata nel 1853.
Nel 1844 il G. firmò il busto in marmo di Benvenuto Cellini donato alla Protomoteca capitolina da lady Eleanor Butler. Di un singolare busto di Andrea Doria, tratto dal ritratto dipinto da Sebastiano del Piombo, commissionato in due esemplari dal principe Filippo, una copia si trova nel palazzo Doria-Pamphilj al Collegio Romano, mentre la replica è conservata in Campidoglio; dello stesso genere sarebbe stato molto probabilmente il busto di Michelangelo che il G. si offrì di compiere gratuitamente per la Fabbrica di S. Pietro nel 1855, purché fosse posto nella camera d'accesso alla palla della cupola vaticana; ma l'offerta fu rifiutata.
Ultima opera per i Torlonia fu la statua in marmo della Giustizia (1847), alta più di 2 metri, che si trova in una delle nicchie della loro cappella in S. Giovanni in Laterano. Di bizzarra iconografia, fu pagata la notevole somma di 1000 scudi.
Michelangelo Lanci, orientalista e poeta amico del G., nel 1861 elencò in versi numerosi ritratti in busto di contemporanei, soprattutto di virtuosi della musica, del canto e della danza, come quello del famoso Cassandrino, cioè l'attore e marionettista Filippo Teoli, nonché quello del Lanci stesso e l'autoritratto dell'artista (tutte opere di ubicazione ignota). Tra gli altri lavori di cui non si ha più traccia vi sono un bassorilievo, descritto dal Malpica (1844, p. 242), raffigurante Napoleone "che in sogno vede le ombre di tutti coloro che per lui furon morti"; due versioni di una Eva scolpite per un signore inglese (Winterbottom) e per il principe Galitzin; una statua al naturale a tutto tondo della Madonna di S. Sisto di Raffaello scolpita per la contessa Alessandra Potocka (1853) e una statua colossale di Socrate eseguita per Leopold Kronenberg (1856), entrambe spedite a Varsavia.
Del 1846 è il Monumento funebre di Caterina Maria Bryant, sposata Borghese in quell'anno e morta poco dopo le nozze, a diciannove anni, che si trova nella chiesa romana di S. Isidoro: la figura intera e giacente della defunta, è un romantico esercizio medievaleggiante; un altro monumento funebre, per il marchese Enrico Forcella (1858), fu eseguito per la chiesa dei cappuccini di Palermo.
Nel 1848, prima della fuga di Pio IX da Roma, il G., facendo parte del Circolo artistico, fu scelto da Ciceruacchio come membro del comitato di Guerra, ma non sembra sia stato altrimenti coinvolto poi nei fatti della Repubblica Romana.
La sua ultima e più importante opera fu il già citato Monumento a Palladio (1859), collocato accanto alla basilica di Vicenza, commesso da Francesco Bressan e da questo donato al Municipio della città.
Il G. morì a Roma il 20 ott. 1861.
Lasciò solo una sorella, Anna, vedova Savetti. L'artista aveva due studi, uno nella scomparsa piazza della Tribuna di S. Carlo, al numero 3, e un altro al numero 504 di via del Corso.
Fonti e Bibl.: M. Lanci, Ghirlanda di fiori poetici… deposta… su la tomba del… G., Roma 1861; G.G. Belli, Lettere giornali zibaldone, a cura di G. Orioli, Torino 1962, pp. 216, 298; C.T. Dalbono, Roma. Memorie e frammenti, Napoli 1839, p. 172; L'architetto girovago, ottobre 1842, p. 317; F. Borioni, Le feste anconitane nel 1841 per… Gregorio XVI, Ancona 1841, tav. X; G. Checchetelli, Una giornata di osservazione nel palazzo e nella villa di… Alessandro Torlonia, Roma 1842, pp. 10-12, 41 s., 70-72; C. Malpica, Venti giorni in Roma, Napoli 1843, p. 196; Id., in Poliorama pittoresco, VIII (1844), 30-31, pp. 239-242; Id., Roma visitata da un cattolico e da un artista, Roma 1847, p. 138; F. Gasparoni, in Giornale degli architetti, 1846-47, pp. 7 s.; La statua di A. Palladio donata a Vicenza da Francesco Bressan.Atti…, Vicenza 1861; D. Silvagni, La corte pontificia e la società romana nei secoli XVIII e XIX (1883-85), Roma 1971, I, pp. 22, 66; III, p. 253; IV, pp. 63 s., 281; Diario del principe Agostino Chigi, I, Tolentino 1906, p. 155; G. Bariola, Miscellanea tassoniana, Bologna-Modena 1908, pp. 485-508; Mostra di Roma nell'800, Roma 1932, pp. 62 s.; G. Beltrami, in Roma, XVI (1938), 10, pp. 413 s.; G. Hubert, La sculpture dans l'Italie napoléonienne, Paris 1964, adindicem; J.B. Hartmann, La vicenda di una dimora principesca…, Roma 1967, ad indicem; A. Daly, S. Isidoro, Roma 1971, pp. 60-62; C. Spetsieri Beschi, in Risorgimento greco e filellenismo italiano (catal.), Roma 1986, pp. 311-314; Villa Torlonia. L'ultima impresa del mecenatismo romano, a cura di A. Campitelli, Roma 1997, ad indicem (con bibl.); U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XIII, pp. 71 s.