GALIZIA, Vincenzo
Nacque il 16 ott. 1884 a Nocera Inferiore, nel Salernitano, dove il padre Francesco, giovane pittore dell'avanguardia artistica napoletana - premio speciale del re d'Italia per la sezione giovani pittori nella prima Esposizione nazionale (1877) - si era trasferito per compiere restauri agli affreschi della basilica di S. Alfonso de Liguori e dove aveva sposato Amalia Libroja, sorella del canonico della chiesa, il teologo Matteo Libroja.
Morto il padre poco dopo (nel 1887), il G. compie gli studi dapprima a Nocera Inferiore, poi a Napoli: qui si laurea in giurisprudenza nel 1906 con il massimo dei voti. Nel 1907 vince il concorso in magistratura: presidente della commissione è Ludovico Mortara, che da poco ha lasciato l'insegnamento universitario per la magistratura e che, nella sua relazione, sottolinea la "serietà dei vincitori" (84 sui 150 posti a concorso) e specialmente il "non comune valore" dei primi classificati, il piemontese Giuseppe Garrone (che cadrà nel 1917 come ufficiale degli alpini) e, con pari punteggio nelle prove di concorso ma con minori titoli speciali, il Galizia. Ludovico Mortara fa distaccare i due giovani magistrati presso la Corte di cassazione (vi si insediano nel 1908) perché vuole organizzare un embrionale servizio di massimario della giurisprudenza. Dopo un anno, tuttavia, i due giovani, che trovano troppo "di vertice" la loro attività presso la Cassazione, sono - su loro espressa domanda - trasferiti in Piemonte: G. Garrone alla procura di Torino, mentre il G. alla procura di Novara (per lui la scelta piemontese è legata alla sua ammirazione per l'opera del conte di Cavour).
Nel 1911 il G., in relazione a una malattia della madre, passa al tribunale di Salerno, ma per breve periodo perché, interessato ad approfondire la conoscenza del Meridione d'Italia, chiede di essere trasferito in Calabria, dove nel 1912 è pretore a Nocera Terinese. Nello stesso periodo Garrone chiede di essere trasferito in Libia.
Le idee del G. si muovono entro una cornice comune con quelle del fratello maggiore Alberto (nato nel gennaio 1883, libero docente, e dal 1913 professore incaricato di diritto privato commerciale nella facoltà di giurisprudenza di Napoli, cadrà, come ufficiale di artiglieria, alla fine del 1917 sul Piave), il cui pensiero, sensibile alle aperture del "socialismo giuridico" e sotto più aspetti influenzato da E. Gianturco, si colloca nel quadro di un liberalismo con marcata accentuazione sociale, con una viva sensibilità per la modernizzazione in campo economico e giuridico e una accentuata insistenza sul momento giurisprudenziale.
Il G., anche se collabora all'attività redazionale della Giurisprudenza italiana, diretta da L. Mortara (della direzione scientifica della rivista il G. stesso sarà membro sul finire della sua vita) è spinto a concentrarsi in modo essenziale sull'attività giudiziaria e sull'esperienza giurisprudenziale, con una forte apertura verso la prassi. Esiste a suo avviso, pur nella fondamentale rilevanza della dottrina, una logica intima propria dell'esperienza giuridica ed è a questa soprattutto, pur nel collegamento fra teoria e prassi, che il giudice deve essere essenzialmente consonante: un aspetto su cui viene a incidere l'impronta giansenistica che segna il suo cattolicesimo, con una sentita devozione a B. Pascal (del resto, sul senso religioso del suo agire anche giuridico, hanno insistito, nei loro ricordi, Francesco Acampora e Luigi Bianchi D'Espinosa).
Nel 1913 il G. chiede di essere trasferito in provincia di Arezzo. È così pretore a Poppi e, per un certo tempo, regge anche la pretura di Bibbiena. Alla fine del 1920, per essere al capezzale della madre gravemente ammalata (morirà nel 1924), rientra a Napoli, dapprima come pretore, poi come giudice del tribunale. Ma prima di lasciare la Toscana sposa una ragazza ventenne di Poppi, Gina Baldi; e a Poppi e al Casentino, che considererà da allora sua vera patria spirituale, rimarrà sempre legato in modo particolare.
Nel 1926 vinse il concorso speciale "in anticipazione" per consigliere di appello. Fu, per brevi periodi, consigliere della corte di appello di Trieste, poi di quella di Palermo; ma nel 1930 era a Roma, consigliere della prima sezione civile della corte di appello, nel 1933 vinse il concorso per meriti speciali in Cassazione e, dal gennaio 1934, divenne consigliere della prima sezione civile della Corte di cassazione e delle sezioni unite. Sia come consigliere d'appello, sia come consigliere di cassazione fu estensore di sentenze di grande interesse, pubblicate su riviste giuridiche dell'epoca, con attenzione rivolta principalmente a problemi di diritto civile e commerciale, ma anche di diritto processuale e di diritto internazionale. Nel 1936, su proposta di Mariano D'Amelio, primo presidente della Cassazione, che intendeva dare un particolare impulso sul piano tecnico all'attività del tribunale della capitale in relazione all'inizio della codificazione, il G. fu nominato presidente-capo del tribunale di Roma. Una presidenza, la sua, che raccolse numerosi consensi sia sul piano organizzativo, sia sul piano dell'evoluzione giurisprudenziale (in proposito si veda, in particolare, tra gli altri, il giudizio di Remo Pannain, allora giudice presso quel tribunale).
Scettico dapprima, il G. guarderà alla codificazione con crescente interesse: nella speranza che i nuovi codici possano preludere a più incisive trasformazioni nelle istituzioni, soprattutto a più forti aperture alla realtà sociale, sviluppando quei pur deboli germi, che riteneva comunque fervidamente presenti, nella "Carta del lavoro"; un orientamento forse astratto e un po' ingenuo, ma che si deve ritenere da lui spontaneamente sentito.
Nel 1940 fu promosso presidente di sezione della Cassazione e, su sua domanda, nominato primo presidente della corte di appello di Firenze.
In questa veste, durante i tragici eventi del settembre 1943, condivide l'atteggiamento di quei magistrati che dichiarano di restare in servizio in base alle norme di diritto internazionale che disciplinano le occupazioni straniere, opponendosi così al giuramento di fedeltà; atteggiamento appoggiato dal Comitato clandestino di liberazione nazionale, che teme che, in caso di dimissioni, i magistrati possano essere sostituiti da funzionari legati al partito. La situazione però si complica allorché, nel febbraio 1944, un decreto della Repubblica sociale italiana stabilisce l'obbligo del giuramento immediato per tutti i pubblici funzionari, compresi i magistrati. Dura in proposito la linea del segretario del partito A. Pavolini, specie in ordine al giuramento dei magistrati. A Firenze, come ricorda Carlo Francovich, il G. in un incontro ebbe a dichiarare al ministro di Giustizia Piero Pisenti, anche a nome di tutti i magistrati toscani, "il loro reciso rifiuto a giurare". Pisenti nelle sue memorie precisa, tuttavia, che egli, dapprima orientato verso una posizione drastica, passò poi a un orientamento "favorevole ad una sospensiva, che divenne poi indefinita", aggiungendo che questa nuova linea morbida venne assunta per "motivi di opportunità storica". Occorre tenere conto pure della moderazione che, in questo come in altri casi, mostrò Pisenti, che da giovane aveva militato nel partito socialista.
Nel dicembre 1952 il G. fu nominato primo presidente della Corte suprema di cassazione. Come ha sottolineato L. Bianchi D'Espinosa, durante la sua presidenza "la giurisprudenza di quel collegio segnò notevoli tappe, specialmente di fronte ai problemi di natura costituzionale che, non essendo stata ancora istituita la Corte costituzionale, dovevano essere affrontati dalla Cassazione". In opposizione a un precedente atteggiamento di scarsa sensibilità della Cassazione verso i nuovi valori costituzionali, il G. "dette il suo personale contributo, indirizzando decisamente la giurisprudenza verso una maggiore aderenza a principi accolti nella Costituzione".
Intervenendo, agli inizi del 1953, al Consiglio superiore della magistratura, ancora formato in base alla vecchia normativa, il G. ebbe a sottolineare alcuni aspetti problematici nella struttura del Consiglio che erano stati "agitati anche in sede di Assemblea Costituente" e, tra questi, il "complesso e delicato problema del collegamento tra il Consiglio Superiore e il Ministro": problemi che avrebbero dovuto essere a suo avviso risolti conferendo al Consiglio una struttura ancora più adeguatamente conforme alla ratio complessiva della Costituzione e ai valori che ne erano alla base. Comunque, in quel particolare momento, il G. avvertiva la necessità di rendere operante al più presto il Consiglio superiore "nella composizione stabilita in Costituzione"; anche, in questo caso, si profilava inderogabile - a suo avviso - il "problema della doverosità costituzionale, della fedeltà alla Costituzione", della sua piena attuazione, elusa dai "troppi rinvii". Nell'esaminare i vari aspetti dell'ordinamento della magistratura, il G. si soffermava specificamente sulla posizione e sul ruolo del pubblico ministero, che doveva considerarsi organo di giustizia, non di inquisizione: fondamentale diveniva la questione della sua piena indipendenza dagli interessi di parte e specialmente da "ogni ingerenza o pressione del potere esecutivo" sotto qualsiasi forma. Il pubblico ministero, pur nella specificità dei suoi compiti, "deve, il G. ebbe a chiarire, essere un giudice al pari del magistrato giudicante […] deve, al pari del magistrato giudicante, obbedire soltanto alla legge", porsi come "presidio di ordine, di giustizia, ma soprattutto di libertà" (Bianchi D'Espinosa).
Il G. cessò dalle sue funzioni di magistrato ordinario nell'ottobre 1954; successivamente fu presidente della Commissione tributaria centrale.
Morì ad Agordo, nel Bellunese, il 10 ag. 1956 e fu sepolto, secondo la sua volontà, a Firenze. La Corte di cassazione lo commemorò in una speciale adunanza pubblica il 25 ott. 1956.
Ebbe due figli: Mario, professore universitario, e Paolo. Quest'ultimo, nato il 6 giugno 1923, fu membro del Comitato fiorentino del Fronte della gioventù e della direzione del giornale clandestino La Giovane Italia. Comandante di una formazione partigiana, cadde combattendo contro reparti tedeschi per la liberazione di Firenze nell'agosto 1944.
Fonti e Bibl.: M. Stella-Richter, Ricordo di V. G., in Giustizia civile, VI (1956), p. 1; L. Bianchi D'Espinosa, V. G., in Il Diritto fallimentare e delle società commerciali, XXXI (1956), p. 207; R. Pannain, V. G., in Archivio penale, XII (1956), p. 360; F. Acampora, La tradizione nella magistratura. V. G., in Giustizia civile, X (1960), 4, p. 589; C. Francovich, La Resistenza a Firenze, Firenze 1961, ad ind.; R. Sabatantonio, V. G. e Piero Calamandrei, in Giustizia e società, III (1965), p. 371; P. Pisenti, Una repubblica necessaria: la R.S.I., Roma 1977, ad ind.; V. Zagrebelsky, La magistratura oridinaria dalla Costituzione a oggi, in Storia d'Italia (Einaudi), Annali 14, Legge, diritto, giustizia, a cura di L. Violante, Torino 1998, p. 746 n.; M. Galizia, Itinerario toscano di un giudice napoletano (in corso di stampa).