GIUSTINIANI (Giustiniani Recanelli), Vincenzo
Nacque a Chio il 28 ag. 1519 da Francesco e Caterina di Bricio Giustiniani del ramo dei Longo. Entrato tra i domenicani osservanti dell'isola, compì gli studi a Genova nel collegio di S. Maria di Castello. Qui conobbe fra Stefano Usodimare, che, divenuto procuratore generale dell'Ordine nel 1546, lo nominò suo assistente, nonostante la giovane età.
Godendo di questo appoggio, il G. intervenne al capitolo del 1553 con il grado, ormai onorifico, di provinciale della Terrasanta e, con l'elezione dell'Usodimare a maestro generale, ne uscì provinciale d'Inghilterra e vicario generale dei domenicani. Dopo la morte del suo protettore nel 1557 e l'anno di vicariato di Pietro Martire da Lugano, il successivo capitolo, svoltosi a Roma per volontà di Paolo IV, lo elesse maestro generale il 28 maggio 1558.
La scelta del G. rispondeva alle pressioni per la riforma religiosa dei domenicani in senso tridentino. Già la sua prima lettera circolare descriveva con drammaticità la decadenza di un Ordine a cui, a causa del generale peggioramento della vita religiosa, il protestantesimo aveva tolto otto province, minacciando ora quelle francesi. Per tamponare le falle più gravi, il G. accorpò i resti delle province boema e ungherese a quella austriaca e ribadì alle altre il rispetto della regola, del voto di povertà, l'istituzione di un solo noviziato ciascuna e di almeno un convento dove si praticasse l'osservanza.
Al capitolo di Avignone del 1561 si accompagnò la visita in Francia, dove l'azione di riforma soffriva per i conflitti religiosi e il giurisdizionalismo della monarchia, che gli impedì di assumere il governo diretto del convento parigino di S. Giacomo per riformarlo di persona, come avrebbe voluto. Conclusa questa visita, il 18 ott. 1561 il G. si trasferì a Trento per assistere all'ultima fase del concilio, fino al dicembre 1563.
Per quanto fosse sostenitore della riforma cattolica (fu lui a introdurre i teatini a Genova), il G. assunse posizioni complessivamente moderate, cercando di difendere le garanzie tradizionali degli ordini religiosi. Approvò così che l'obbligo di residenza per i vescovi derivasse dal diritto divino e non da semplici esigenze disciplinari, ma difese la legittimità e la pienezza dei "vescovi titolari" (cioè di diocesi senza più chiesa e popolo), che i riformisti più accesi volevano abolire. Poi propose che i padri conciliari leggessero i testi di Lutero sull'eucarestia, per meglio comprenderne e condannarne le posizioni, chiese maggiore libertà per la predicazione dei religiosi, difese i tentativi di riforma dei suoi predecessori, lodò il rispetto della povertà, pronunciandosi invece per l'abolizione della mendicità.
Terminato il concilio, il G. andò a Bologna, dove aveva convocato il capitolo del 1564 per instaurare ufficialmente la riforma tridentina tra i domenicani alla presenza delle reliquie del santo fondatore dell'Ordine. Pur ammettendo che a Trento si era limitata troppo la libertà degli ordini religiosi, il G. ordinò la piena accettazione delle nuove norme per il clero regolare, specie in materia di possesso di beni, concesso alla comunità nel suo insieme ma non ai singoli. Le nuove costituzioni domenicane, che fece pubblicare nel 1566, stabilirono un rigido controllo del maestro generale su tutte le attività dell'Ordine, rendendo necessario il suo assenso pure per creare in un luogo la Confraternita del Rosario, devozione cui teneva molto.
Dal 1565 al 1566 il G. visitò la Spagna e il Portogallo, disponendo che le province iberiche avessero un unico procuratore per trattare gli affari con la monarchia, anziché uno ciascuna, e ribadendo il divieto di ammettere ebrei nell'Ordine. Contava di concludere la visita, insieme con il suo mandato, ad Anversa per il capitolo del 1567. Tuttavia, l'elezione, il 7 genn. 1566, del pontefice Pio V (il cardinale domenicano e protettore dell'Ordine Michele Ghislieri) gli consentì di spostare il capitolo a Roma, facendolo slittare al 28 maggio 1569. Qui, alla presenza dello stesso Pio V, ottenne un'altra riconferma del suo generalato, accompagnato dal sostegno diretto del papa alla propria azione riformatrice, da imporre ormai anche con la forza. D'altro canto, Pio V fece sì che i decreti del concilio sugli ordini mendicanti fossero applicati in senso generalmente più favorevole ai religiosi.
La permanenza del G. alla guida dell'Ordine domenicano ritardò quella nomina cardinalizia che egli si sarebbe atteso alla normale fine del suo mandato. Ma Pio V capiva che, se avesse concesso il cardinalato al G., avrebbe dovuto fare altrettanto a membri degli altri maggiori ordini religiosi. Così la porpora gli venne promessa al compimento di una missione diplomatica in Spagna, che il papa gli ordinò con il breve del 10 ott. 1569, per tentare di trovare con Filippo II una composizione delle controversie giurisdizionali tra l'arcivescovo di Milano Carlo Borromeo e il Senato milanese e il governatore spagnolo dello Stato, nonché per difendere i diritti della Chiesa nel Regno di Napoli e in Sicilia. Questo avrebbe consentito al nunzio a Madrid Giovambattista Castagna di avere più tempo per le trattative per la conclusione della lega antiturca.
Inizialmente Pio V aveva deciso di affidare questo incarico al vescovo Camillo Campeggi, che però morì prima di partire. A quel punto il G., che vantava buoni rapporti con la Spagna, tanto da essere giudicato filospagnolo dallo stesso ambasciatore di Filippo II a Roma, Juan de Zúñiga, parve la persona adatta. Invece, la missione del G. non produsse risultati: arrivato in Spagna nel novembre 1569, egli riuscì solo a consegnare al re un memoriale scritto su Napoli e la Sicilia, elencando a voce i problemi di Milano. Filippo II ne rinviò continuamente l'esame finché, nell'agosto 1570, a Roma non restò altro da fare che richiamare il G., che già il 17 maggio, come promesso, aveva avuto la sua berretta cardinalizia, ma per i soli meriti di rappresentante dell'Oriente cristiano.
La condotta diplomatica del G. risentì del suo non voler scontentare entrambe le parti: se infatti aveva riferito esattamente al re quanto ordinatogli dal papa, aveva anche voluto mantenere la reputazione di amico sincero della Spagna (così lo Zuñiga lo descriverà di nuovo nel 1571, inserendolo nell'elenco dei papabili graditi al suo re), che Filippo II seppe sfruttare per promettergli a sua volta l'appoggio per la berretta cardinalizia. In seguito, si diffusero perfino voci su una presunta transazione tra Filippo II e il G. in favore del riconoscimento dei diritti giurisdizionali della monarchia siciliana, sempre smentite da Roma. In ogni modo, Pio V antepose a questi problemi la firma della Lega santa, cui assistette pure il G. il 25 maggio 1571. Nello stesso anno depose il generalato dell'Ordine.
A Roma, il G. partecipò alla commissione incaricata di esaminare e confutare la confessione di Augusta e le "centurie" di Magdeburgo e fu membro delle congregazioni dell'Indice e dei Vescovi e regolari. Il suo ruolo in Curia gli consentì anche di accogliere e proteggere alcuni membri della sua famiglia esuli da Chio dopo l'occupazione turca dell'isola, nel 1566, specie il cognato Giuseppe, che divenne il capostipite del ramo romano dei Giustiniani, e i figli di costui Vincenzo, futuro marchese, e Benedetto, che avviò alla carriera ecclesiastica, garantendogli le proprie prelature.
Il G. morì a Roma il 28 ott. 1582.
È sepolto in S. Maria sopra Minerva, nella cappella gentilizia dedicata a S. Vincenzo Ferrer eretta da lui, insieme con le altre cappelle della navata sinistra, durante i lavori di restauro della chiesa e del convento che fece eseguire a partire dal 1560.
Del G. non restano opere scritte, eccetto le lettere circolari e altri documenti attinenti alla funzione di generale. Si deve però al suo interessamento l'importante prima edizione degli Opera omnia di s. Tommaso d'Aquino (Romae, haeredes A. Bladi, 1570), 17 voll. in folio, a cura di fra Tommaso Manrique, editi a spese dell'Ordine e di Pio V.
Fonti e Bibl.: Acta capitulorum generalium, a cura di B.M. Reichert, IX, 4, Romae 1901, pp. 339, 345; X, 5, ibid. 1901, pp. 1-117; XI, 6, ibid. 1902, pp. 21, 49, 108; XIII, 8, ibid. 1903, p. 312; Correspondencia diplomatica entre España y la S. Sede durante el pontificado de s. Pio V, a cura di L. Serrano, I-IV, Madrid 1914, ad indicem; G.B. Semeria, Secoli cristiani della Liguria, I, Torino 1843, pp. 248 s., 251 s.; A. Mortier, Histoire des maîtres généraux de l'Ordre des frères prêcheurs, V, Paris 1911, ad indicem; T. Amayden, La storia delle famiglie romane, a cura di C.A. Bertini, I, Roma [1914], pp. 455 s.; L. von Pastor, Storia dei papi, VII-IX, Roma 1950-55, ad indices; G. Catalano, Controversie giurisdizionali tra Chiesa e Stato nell'età di Gregorio XIII e Filippo II, in Atti dell'Accademia di scienze, lettere e belle arti di Palermo, s. 4, XV (1954-55), 2, pp. 26, 58, 79 s., 125, 138; A. Walz, I domenicani al concilio di Trento, Roma 1961, ad indicem; G. Alberigo, Lo sviluppo della dottrina sui poteri nella Chiesa universale, Roma 1964, p. 146; G.L. Masetti Zannini, Intorno all'edizione romana delle opere di s. Tommaso…, in Studi tomistici, I (1974), pp. 285-290; C. Eubel - G. van Gulik, Hierarchia catholica, III, Monasterii 1923, p. 44; Dict. d'hist. et de géogr. ecclésiastiques, XXI, sub voce.