VINCENZO I Gonzaga, duca di Mantova e del Monferrato
VINCENZO I Gonzaga, duca di Mantova e del Monferrato. – Nacque a Mantova tra il 21 e il 22 settembre 1562, unico maschio del duca Guglielmo e di Eleonora d’Asburgo, figlia dell’imperatore Ferdinando I.
Battezzato il 7 aprile successivo nella cappelletta di Castello, fu educato a corte da valenti precettori: nello studio del greco e del latino Francesco Crotto, nella filosofia Giulio Sirenio, nella matematica il messinese Giuseppe Moleti, che fu maestro del giovane principe dal 1570 al 1576 prima di assumere la cattedra di matematica all’Università di Padova. A essi si affiancarono i mantovani Aurelio Pomponazzi e Marcello Donati, celebre medico e filosofo, in seguito suo influente consigliere ducale. Un percorso formativo vario che Vincenzo condivise con la sorella Margherita, futura duchessa di Ferrara, nata il 17 maggio 1564, con la quale ebbe una particolare affinità affettiva e culturale favorita dal comune carattere ambizioso e volitivo; sodalizio che non condivise con i medesimi accenti con l’altra sorella, Anna Caterina, nata il 17 gennaio 1566, divenuta poi arciduchessa d’Austria in seguito al matrimonio del 30 aprile 1582 con l’arciduca del Tirolo Ferdinando II, zio materno della sposa.
La giovinezza del principe fu caratterizzata da alcuni episodi di intemperanza, conseguenza dell’opposizione del Gonzaga alle ristrettezze economiche e ai severi principi morali ai quali era sottoposto dal padre Guglielmo, noto per il suo irreprensibile rigore morale e la parsimonia nelle spese. Il 24 febbraio 1579 Vincenzo accompagnò a Ferrara la sorella Margherita che andava sposa al duca Alfonso II d’Este, suo zio, rimasto vedovo senza prole dalla precedente unione con Barbara d’Asburgo, sorella di Eleonora madre dei due Gonzaga. Qui, oltre a conoscere Torquato Tasso, con il quale allacciò una sincera amicizia – grazie alla quale il poeta fu poi liberato nel febbraio del 1586 dall’ospedale di S. Anna a Ferrara – Vincenzo si legò affettivamente con la bellissima contessa di Sala, Barbara Sanseverino Sanvitale, più anziana di lui di dodici anni, facendole poi visita più volte l’anno successivo nella residenza della contessa a Colorno durante il soggiorno del principe nella vicina Viadana, dove Vincenzo si era trasferito per allontanarsi, ormai diciannovenne, dal diretto controllo paterno.
A Colorno ebbe modo di allacciare relazioni amorose con alcune nobildonne del seguito della Sanseverino, tra le quali Ippolita Torelli, che divenne in quell’occasione sua amante, e la gentildonna napoletana Agnese Argotta, che Vincenzo, una volta divenuto duca, creò marchesa di Grana in Monferrato e dalla quale ebbe in seguito almeno tre figli, Francesco frate teatino e poi vescovo di Cariati e di Nola, Silvio cavaliere di Malta, Eleonora monaca nel convento di S. Vincenzo a Mantova. Di bellissimo aspetto, sensibile al fascino femminile – anche in ciò, oltre che nel fisico, affatto dissimile dal padre – e incline a cedervi, Vincenzo allacciò negli anni diverse altre relazioni extraconiugali dalle quali nacque anche Francesca, avuta da Felicita Guerrieri. Analoga intemperanza egli mostrò nel 1582 quando suo padre dovette mettere a tacere un altro scandalo, causato dall’assassinio a Mantova il 3 luglio, a opera dello stesso Vincenzo, del nobiluomo scozzese James Crichton, ospite da alcuni mesi della corte mantovana dove era divenuto, per le sue prodigiose qualità dialettiche e di erudito in molti campi delle conoscenze di allora, uno dei favoriti e influenti consiglieri del duca, notoriamente osteggiato, tuttavia, dal giovane principe.
Dopo il matrimonio di Margherita Gonzaga a Ferrara Guglielmo rifiutò l’anno successivo l’offerta giunta da Firenze per unire Vincenzo con Eleonora de’ Medici, figlia del granduca Francesco I e di un’altra sorella di Eleonora d’Asburgo, Giovanna, morta di parto il 9 aprile 1578. Il rifiuto era dovuto alla forte avversione della duchessa di Mantova per la rivale della sorella a Firenze, Bianca Cappello, nuova granduchessa di Toscana, ma anche dalla necessità politica di isolare il Ducato di Toscana da poco elevato a Granducato, in un momento in cui a Firenze si vagheggiavano mire egemoniche che avrebbero potuto dimostrarsi pericolose nei confronti di Ducati minori quali quelli di Ferrara, Mantova e Parma.
Miglior sorte toccò, infatti, all’altra trattativa, intavolata con Parma forse proprio in funzione antifiorentina, per maritare Vincenzo con la quattordicenne Margherita Farnese, figlia di Alessandro, governatore spagnolo dei Paesi Bassi. Tale unione, celebrata il 2 marzo 1581 nel duomo di Piacenza dal vescovo di Parma, Ferrante Farnese, si concluse con il solenne ingresso a Mantova dei due sposi il 30 aprile successivo; essa sanava inoltre gli antichi dissapori tra le due corti, rinsaldando allo stesso tempo i rapporti di fedeltà delle due case alle Corone asburgiche di Madrid e di Vienna. L’unione politico-matrimoniale era destinata tuttavia a fallire clamorosamente dopo solo un anno quando Ranuccio Farnese, fratello della sposa, riconduceva a Parma Margherita non essendo lei in grado di consumare il matrimonio a causa di una malformazione congenita. Le nozze furono infine dichiarate nulle dal cardinale Carlo Borromeo nel 1583. In quello stesso anno furono quindi riprese le trattative interrotte con i Medici, ma esse si scontrarono questa volta con le diffidenze del granduca Francesco I e ancor più con quelle di Bianca Cappello desiderosa di riscatto nei confronti della duchessa di Mantova; riscatto che prese la forma di una prova di virilità cui avrebbe dovuto sottoporsi il principe di Mantova per fugarne i dubbi di infertilità. Allettato forse anche dai 300.000 scudi d’oro che avrebbero accompagnato Eleonora de’ Medici, Guglielmo Gonzaga acconsentì all’esibizione, anche per tacitare le voci nel frattempo diffuse da Firenze su una presunta incapacità a procreare di suo figlio.
Il secondo matrimonio, oggetto anch’esso di numerosi pettegolezzi nelle cancellerie di mezza Europa e di successive ricostruzioni storiche, letterarie e cinematografiche dai risvolti ritenuti talvolta troppo salaci per quella prova cui si sottopose il principe (Bellonci, 1981, pp. 77-109), fu infine celebrato a Mantova il 29 aprile 1584. Il 7 maggio 1586 seguì la nascita del primogenito Francesco, che insieme a quella del secondogenito Ferdinando, avvenuta neanche un anno dopo, il 26 aprile 1587, fugava ogni timore circa la successione ai ducati di Mantova e del Monferrato. Negli anni seguenti nacquero poi Domenico Guglielmo Lungaspada, il 4 agosto 1589 (morto dopo soli tre anni); Margherita, il 2 ottobre 1591, poi andata sposa a Enrico duca di Lorena nell’aprile 1606; Vincenzo, nato tra il 6 e il 7 gennaio 1594, cardinale nel 1615 e poi duca dopo la morte del fratello Ferdinando nel 1626; Eleonora, nata il 23 settembre 1598, che avrebbe poi sposato nel 1622 l’imperatore Ferdinando II.
Il 14 agosto 1587, quattro mesi dopo la nascita del secondogenito di Vincenzo, morì Guglielmo Gonzaga. Già con la celebrazione dell’incoronazione, avvenuta il 22 settembre, con apparati e costumi divenuti memorabili per lo sfarzo e le straordinarie spese – per la sola corona sembra che Vincenzo avesse sborsato centocinquantamila scudi – apparve tuttavia con grande evidenza il diverso stile del nuovo duca nella conduzione degli affari economici, politici, culturali e soprattutto di immagine rispetto al suo predecessore. Ma Vincenzo non tardò a mostrare anche segni di grande generosità verso i sudditi quando il mese successivo all’incoronazione, in seguito all’alluvione che colpì la popolazione mantovana per la rottura delle acque del Po a San Giacomo, intervenne con la distribuzione di vettovaglie agli alluvionati guadagnandosi la riconoscenza dei sudditi.
Le fallite nozze con la Farnese fecero riemergere più volte negli anni i dissidi tra le due Case con provvedimenti che rasentarono lo scontro armato, come si vide già un anno dopo l’assunzione al trono ducale di Vincenzo allorché, sul finire del 1588, il principe di Parma Ranuccio Farnese fu accusato quale mandante del violento incendio che distrusse a Mantova l’armeria ducale (Archivio di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga, bb. 1387-1388). Il conflitto armato fra Mantova e Parma fu scongiurato in quell’occasione solo per l’intervento dell’imperatore e del papa Sisto V; mentre l’ultima scintilla si sarebbe accesa nella primavera del 1611, quando fu scoperta a Parma una congiura dei feudatari locali contro il duca Ranuccio. Tra le carte degli accusati emerse il coinvolgimento del duca Vincenzo – definito «il primo cospiratore» – nella persona del suo emissario Giulio Cesare Malaspina, comandante degli arcieri del duca di Mantova; Malaspina riuscì a rifugiarsi a Mantova evitando la cattura, il processo, la condanna a morte e l’esecuzione che colpì infine il 19 maggio 1612 sulla piazza di Parma i maggiori esponenti della nobiltà parmense, compresa Barbara Sanseverino Sanvitale.
Vincenzo era però morto poche settimane prima e l’ennesima crisi con Ranuccio Farnese fu gestita negli anni che seguirono dai suoi figli. Sulla scena europea, al contrario, i venticinque anni di governo di Vincenzo furono caratterizzati da un sostanziale equilibrio nelle alleanze politiche, mirato ad affermare la propria lealtà verso l’Impero, il Papato, il re di Spagna e il re di Francia; di quest’ultimo divenne cognato quando, nel 1600, Maria de’ Medici, sorella della duchessa di Mantova Eleonora, sposò Enrico IV. Negli anni dell’interdetto di Paolo V contro Venezia, con la nomina del secondogenito Ferdinando a cardinale nel dicembre 1607, gli fu riconosciuto dal pontefice un ruolo di mediatore che seppe condurre con cauto atteggiamento per non essere bersaglio dell’una o dell’altra delle parti allora in lotta; ma già nel 1588 Vincenzo aveva ricevuto dal papa Sisto V il prezioso stocco dorato insieme al cappello con corona. Uguale segnale di benevolenza da parte del re di Spagna dovette rappresentare il 2 febbraio 1589 l’invio del collare del Toson d’oro, ricevuto nella basilica di S. Andrea a Mantova dalle mani di Carlo d’Aragona, duca di Terranova e governatore di Milano; quell’onorificenza fu nondimeno favorita dal versamento da parte di Gonzaga nelle casse di Filippo II di 300.000 scudi a titolo di prestito, mai restituito, per finanziare le ingenti spese militari del sovrano nelle Fiandre e avere per sé il titolo, peraltro mai giunto, di generale della fanteria spagnola in quelle province.
Riconoscimenti e onorificenze che alimentarono la ben nota incontrollata autocelebrazione del duca che lo portarono a rincorrere per tutta la vita favolosi quanto irraggiungibili troni reali, e ciò in virtù dell’essere nato da una madre, come egli stesso scriveva, figlia, nipote e zia di imperatori. Nel 1598 inviò in Polonia gli emissari Pietro Franco e Cesare Spadari per valutare la possibilità di un’elezione a quel trono, paventata dagli allettamenti e dai maneggi del marchese di Mirova Sigismondo Mischowcki (Archivio di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga, b. 560); allo stesso modo nell’autunno del 1601, sollecitò a Praga per il tramite dell’inviato Federico Gonzaga il governo della Transilvania; e ancora, sul finire del 1608, nel rientrare dal secondo viaggio nelle Fiandre dove si era curato alle terme di Spa, si trattenne in Francia presso il cognato Enrico IV cercandone l’appoggio per un’improbabile candidatura all’elezione di re dei Romani, in un momento in cui forti erano i dissidi tra l’imperatore Rodolfo II e l’arciduca Mattia (Luzio, 1922, p. 101); infine, ancora pochi mesi prima di morire, accarezzò, invano, l’idea di cingersi della corona di Albania inviandovi alla fine del 1610 due propri emissari incaricati di promuovere, con la complicità di alcuni capi locali, tra i quali il voivoda Stefano Vulatkovich, un’insurrezione per essere insignito di quel Regno (Archivio di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga, b. 796).
In questa ricerca di autoconsacrazione rientra il volersi mettere a capo di un proprio esercito nelle tre spedizioni militari che condusse nella penisola balcanica per combattere insieme all’imperatore i turchi che minacciavano di risalire verso Vienna e l’Impero. La prima prese il via nel luglio del 1595 ed è ricordata, più che per la gloria militare, per lo sfarzo e il gusto per la spettacolarità che accompagnò in ogni sua tappa il seguito ducale; sia a Praga, dove fu accolto con grandi onori dall’imperatore Rodolfo; sia al campo militare dove giunse il 13 settembre accompagnato in gran pompa, oltre che dai suoi più autorevoli consiglieri e cortigiani, dall’ingegnere ducale Gabriele Bertazzolo e da Claudio Monteverdi, maestro di cappella del duca, insieme a cinque musicisti per allietarne le giornate al campo. Già nell’autunno, tuttavia, dopo un insignificante scontro armato presso Vác, poco a nord di Budapest, Vincenzo fece ritorno a Mantova a causa di una malattia al volto (Archivio di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga, b. 388). La seconda spedizione, da luglio a ottobre del 1597, anch’essa sul suolo ungherese, ricalcò, seppure con minor sfarzo e un maggiore approntamento militare, il cerimoniale e le tappe della prima impresa, non tralasciando qualche momento di gloria militare avendo Vincenzo legato il suo nome alla messa in fuga dei turchi da Giavarino (ibid.). La terza missione, ancora su sollecitazione di papa Clemente VIII e dell’imperatore Rodolfo, si svolse in territorio croato dal luglio 1601e fu contrassegnata dall’accesa rivalità con Giovanni de’ Medici che rivendicava il comando generale dell’esercito; i contrasti tra Medici e Gonzaga e questioni di precedenza esplosero in maniera insanabile tra settembre e ottobre in occasione del fallito attacco alla fortezza di Canissa, complici anche la straordinaria inclemenza del tempo e i gravi disagi subiti dai combattenti a causa degli accampamenti allagati che mossero la spedizione mantovana ad abbandonare a novembre l’impresa.
Anche i fasti celebrativi tra Torino e Mantova svoltisi nella primavera del 1608 per le nozze del primogenito Francesco con Margherita di Savoia, figlia di Carlo Emanuele, vanno letti nell’ottica di esaltazione dinastica di casa Gonzaga perseguita da Vincenzo; così come l’istituzione in quegli stessi giorni a Mantova dell’Ordine del Redentore, con il quale Vincenzo poteva creare propri cavalieri, rientrava nel recupero del mito cavalleresco-crociato da lui sempre inseguito e che lo aveva condotto nelle imprese contro il Turco. Le nozze con la Savoia facevano seguito a quelle altrettanto fastose del 1606 che avevano visto andare sposa Margherita, terzogenita di Vincenzo, al duca Enrico di Lorena a Nancy. Le prime rientravano in un vasto piano di alleanze dinastico-familiari che videro coinvolti Savoia, Gonzaga, Este e indirettamente i Medici, ed erano volte da parte mantovana a neutralizzare la preoccupante ingerenza del duca di Savoia sul Monferrato. Questo territorio, sebbene rappresentasse per Vincenzo una fonte di guadagno grazie alle vendite dei minuscoli feudi con relativi titoli nobiliari messi all’incanto soprattutto a favore dei ceti aristocratici mantovani e genovesi, era motivo di enormi spese a causa della costruzione dell’imponente cittadella di Casale. Affidata al friulano Germanico Savorgnan nel 1590, proprio in seguito all’occupazione nel 1588 del Marchesato di Saluzzo da parte del duca di Savoia, l’opera fu voluta dal duca di Mantova contro l’opinione di alcuni consiglieri, e della stessa consorte Eleonora, e si rivelò ben presto la principale causa dell’inesorabile prosciugamento delle finanze ducali, a fronte di un’assoluta inutilità.
Sul piano interno, da un lato Vincenzo continuò quella politica di ammodernamento delle strutture amministrative già intrapresa dal padre, attuata per lo più attraverso una burocratizzazione dell’apparato statale al quale il principe tendeva a demandare sempre più i propri compiti diretti di governo, delegandoli a un organismo che si avviava ad assumere le forme di un Consiglio di governo simile a quello delle grandi monarchie europee, e nel quale i funzionari preposti alle varie attività potevano svolgere la propria funzione indipendentemente dalla presenza stessa del sovrano; dall’altro seppe trarre vantaggi territoriali da difficoltà dinastiche cui andarono incontro alcuni rami collaterali Gonzaga: con una convenzione approvata dall’imperatore il 12 marzo 1592, poté, infatti, acquisire la contea di Rodigo con la terra di Rivalta nel piano di riaccomodamento del ducato di Sabbioneta seguito alla morte del duca Vespasiano Gonzaga avvenuta l’anno prima senza eredi maschi; mentre la morte violenta di Rodolfo Gonzaga signore di Castiglione delle Stiviere, avvenuta a Castelgoffredo il 4 gennaio 1593, diede poi l’occasione al duca di Mantova per occupare quella località, in precedenza usurpata dal defunto. La conciliazione con Francesco Gonzaga, fratello ed erede di Rodolfo, giunse nel 1602 quando Vincenzo divenne signore di Castelgoffredo cedendo al nuovo signore di Castiglione la terra di Medole, meno strategica e redditizia.
Consumato anche nel fisico dai suoi eccessi, Vincenzo morì a Mantova, non ancora cinquantenne, il 18 febbraio 1612, preceduto il 9 settembre 1611 da Eleonora de’ Medici.
Il figlio Francesco, nuovo duca, ereditava dunque uno Stato allargato nei suoi confini in Lombardia e con una ridefinizione delle frontiere in Monferrato, grazie alle clausole presenti nel contratto matrimoniale con i Savoia che raffiguravano minori squilibri strategici per quei territori. Di contro, le enormi spese sostenute per rincorrere i pindarici sogni di gloria, l’azzardo nel gioco e le avventure galanti, avevano costretto il padre a indebitarsi con banchieri genovesi e a dare fondo alle ingenti risorse accumulate dal nonno Guglielmo.
Va riconosciuto, tuttavia, che, assecondato dal gusto di Eleonora acquisito nella natia Firenze, Vincenzo, quarto duca di Mantova, seppe porre lo stesso slancio nella spesa per lo sviluppo artistico, letterario e musicale della sua corte, in competizione, certo, con le diverse altre corti dell’epoca. A lui si deve il massimo accrescimento delle collezioni artistiche nella storia della famiglia, per le cui scelte egli si affidò nei primi anni del Seicento soprattutto al gusto di Pieter Paul Rubens, presente a Mantova dal 1600 al 1608 con incarichi che andavano dall’allestimento della famosa Galeria, alla valutazione di opere d’arte da acquisire, alle missioni diplomatiche a Roma o in Spagna per consegnare alcuni omaggi del duca, in un sistema in cui il dono dell’opera d’arte era fortemente assoggettato alla politica. Con Rubens altri fiamminghi furono presenti sulla scena mantovana, come Jean Bahuet e Frans Pourbus il Giovane, seppure prevalentemente nel ruolo di ritrattisti, affiancati da Domenico Tintoretto, Ottavio Leoni, Federico Zuccari, Pietro Facchetti e il prefetto delle fabbriche Antonio Maria Viani che Vincenzo volle presso di sé dalla corte di Monaco di Baviera. Nelle lettere è nota la predilezione di Gonzaga nei confronti di Tasso, la cui Gerusalemme Liberata influenzò i sogni cavallereschi e da crociato di Vincenzo. Il quarto duca di Mantova curò anche il teatro: quello in prosa stipendiando le compagnie degli Accesi, dei Confidenti e dei Fedeli; quello in musica favorendo la nascita del melodramma italiano inaugurato a Mantova da Monteverdi, dal 1590 musico di corte e maestro di cappella alla corte gonzaghesca, che abbandonò per Venezia solo dopo la morte del duca Vincenzo.
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