VINCENZO I Gonzaga, quarto duca di Mantova
Nato nel 1562, successe al padre Guglielmo nel 1587. Ebbe a maestri Francesco Crotto, Giulio Sirenio, Giuseppe Moletto, Marcello Donati e Aurelio Pomponazzi e si formò una cultura varia ed elegante. Fu intemperante nella collera, che lo portò a commettere in gioventù ben due uccisioni; negli amori, ai quali si abbandonò pazzamente; nel giuoco, in cui dilapidò immense ricchezze; nello sfarzo, che rasentò la mania; nella stessa passione per l'arte. Sposò nel 158I Margherita Farnese. Ripudiatala per sterilità, si uni ad Eleonora de' Medici (29 aprile 1584). Maestro nel cattivarsi le simpatie, tanto del popolo quanto dei grandi, V. impresse alla sua politica uno spirito di conciliante equilibrio; e seppe mantenersi amici, largheggiando in doni e in prestiti, sia i sovrani stranieri, sia i principi d'Italia, tranne i Farnesi di Parma. Fece costruire, profondendovi tutto il tesoro paterno, la cittadella di Casale Monferrato che divenne una delle principali fortezze d'Europa. Ammiratore del Tasso, in gioventù lo volle ospitare per qualche tempo e sotto l'influsso della Gerusaiemme sognò la gloria militare. Intraprese tre spedizioni in Ungheria contro i Turchi: nel 1595, nel 1597 e nel 1601. Durante quest'ultima, ottenuta la luogotenenza generale, strinse d'assedio Canissa (Nagykanizsa). La valorosa resistenza dei Turchi e la discordia tra i capi cattolici resero difficile l'impresa. La conclusione fu sfavorevole e V. si ritirò, suscitando nel campo militare e diplomatico un vero vespaio. Il carattere dell'azione intorno a Canissa è espresso dal motto "Forse che sì, forse che no", fatto incidere nel soffitto di una sala del palazzo ducale di Mantova. Mori il 18 febbraio 1612.
Nel governo del Monferrato V. fu tollerante; si giovò di Casalesi per importanti missioni; fissò la costituzione del governo della città, formato dal senato, dal castellano, dal presidente del maestrato, dal generale delle milizie e dal commissario generale. Dispose che l'autorità fosse esercitata senza violenza; curò la bontà delle monete coniate dalla zecca di Casale; proibì l'accaparramento delle merci; abolì il dazio generale introdotto da Guglielmo; favorì l'abbellimento della città, la costruzione di chiese e di edifici; ampliò la cinta, concesse privilegi a chi edificava o prendeva dimora in città. Fallito il tentativo di permutare il Monferrato con il Cremonese, V. venne ad accordi diretti con il rivale Carlo Emanuele I. Le trattative iniziate nel 1604 si conclusero, nonostante l'opposizione spagnola, con il matrimonio di Francesco, erede del trono gonzaghesco, con Margherita figlia del duca di Savoia. Le nozze furono celebrate con fasto insuperabile e con vero splendore artistico nel 1608. L'Arianna del Rinuccini, musicata dal Monteverdi, suscitò allora entusiasmi irrefrenabili, mentre l'Idropica del Guarini metteva in luce la valentia dei commedianti e gl'Intermezzi musicati dal Monteverdi, dal Gagliano e da altri, presentavano veri miracoli scenografici; il Balletto delle Ingrate costituì uno dei pochi esempî di balletti alla francese sulla scena italiana: in complesso una data memoranda nella storia del teatro. Pure grandiosa riuscí in quei giorni la cerimonia dell'istituzione dell'Ordine del Redentore. Le compagnie degli Accesi, dei Confidenti, dei Fedeli, stipendiate da V., erano contese dalle altre corti in Italia e in Francia. B. Guarini, G. Chiabrera, O. Rinuccini erano intimi del duca e gli dedicavano le loro opere. Tenne alla sua corte il Bahuet, M. van Valckenborch, F. Pourbus e il Rubens. V. fece costruire l'incantevole villa di Maderno, il Palazzo e il Bosco Fontana, disegnati da A. M. Viani. Rifece, arricchendola di armi preziose, l'armeria distrutta da un incendio doloso. La Galleria della Mostra, l'appartamento del Paradiso, il teatro di corte riempivano di meraviglia i visitatori. Assetato di splendore, dopo aver profuso nella sua vita venti milioni d'oro e dopo avere invano chiesto all'alchimia il segreto della ricchezza, V. volle persino in morte godere della vista di stupendi lavori d'orafi e di luccicanti pietre preziose, fatte portare in gran copia presso il suo letto.
Bibl.: P. Torelli e A. Luzio, L'archivio Gonzaga di Mantova, I e II, Mantova-Verona 1920-22; R. Quazza, Mantova attraverso i secoli, Mantova 1933; C. Cottafavi, L'ordine cavalleresco del Redentore, ivi 1935.