VINCENZO II Gonzaga, duca di Mantova e del Monferrato
VINCENZO II Gonzaga, duca di Mantova e del Monferrato. – Nacque a Mantova la notte tra il 6 e il 7 gennaio 1594, terzogenito del duca di Mantova Vincenzo I (v. la voce in questo Dizionario) e di Eleonora de’ Medici, battezzato nella chiesa palatina di S. Barbara il giorno successivo.
Sebbene come i fratelli maggiori fosse stato educato a corte da valenti precettori, Vincenzo si mostrò presto più dedito ai giochi e ai divertimenti, come emerse nel viaggio che, quattordicenne, compì tra luglio e settembre del 1608 al seguito del padre in visita alla sorella Margherita duchessa di Lorena a Nancy, dove si appassionò alla caccia al cervo, intraprendendo poi un lungo soggiorno a Spa nelle Fiandre, ma facendo ritorno a Mantova prima dell’atteso parto della congiunta, con grande risentimento della stessa.
Alla morte del genitore, avvenuta nel febbraio del 1612, Vincenzo svolse in autunno un ruolo di rappresentanza per conto del primogenito Francesco, nuovo duca di Mantova, presso il neoeletto imperatore Mattia d’Asburgo che incontrò a ottobre a Praga in occasione dell’incoronazione solenne del sovrano. In quella circostanza il giovane principe fu sollecitato da funzionari della corte cesarea a raggruppare una troupe comica per deliziare l’imperatore, progetto poi non reso concreto per i numerosi impegni dell’Asburgo. Da Mattia, sempre in nome del fratello, il 17 ottobre Vincenzo ricevette la nuova investitura ufficiale dei ducati di Mantova e di Monferrato, facendo ritorno a Mantova il 4 novembre. Il 3 dicembre successivo, ad appena un anno di età, morì di vaiolo il piccolo Ludovico Gonzaga, erede di Francesco, seguito il 22 di quel mese dallo stesso duca, a causa del medesimo male. Il fratello secondogenito Ferdinando Gonzaga, cardinale dal 1607, dovette quindi succedere sul trono ducale.
Il 16 novembre 1615 il nuovo duca depose il galero nelle mani di papa Paolo V, da questo trasmesso, dietro richiesta dello stesso Ferdinando, al ventunenne Vincenzo che, infatti, fu promosso cardinale il 2 dicembre successivo. Con la dignità cardinalizia, Ferdinando aveva assunto in precedenza anche quella di priore di Barletta in veste di cappellano del Sovrano Ordine militare di Malta, carica che insieme alla relativa ricca pensione fu sollecitata in quello stesso tempo anche per il principe suo fratello (Archivio di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga, b. 798, lettera del gran maestro dell’Ordine di Malta, 11 giugno 1616). L’assunzione nel Sacro Collegio dovette essere mal sopportata dal giovane neoporporato, impreparato alla carriera ecclesiastica non essendovi stato educato, a differenza del fratello. Vincenzo era, infatti, molto più incline all’esercizio delle armi, al quale, come terzogenito, era stato destinato, e in quello avrebbe potuto eccellere, stando alla prova offerta sul campo qualche tempo dopo in occasione dell’assedio di Vercelli del 1617 tra le file degli spagnoli, e al giudizio che di lui diede il relatore veneto Alvise Donato: «Il signor Don Vincenzo [...] farebbe senza dubbio gran riuscita nell’arte militare [...] non prendendo egli, com’accostumano altri principi giovani, la milizia per ricreazione [...] ma attende solamente a’ negozi, procura di farsi conoscere a’ soldati, vuol informarsi e imparar da’ periti, studia d’imitar i migliori» (Relazione degli ambasciatori, 1912, p. 267). Nondimeno, Vincenzo accondiscese alla volontà del fratello, abbandonandosi tuttavia poco dopo ad alcuni eccessi di comportamento che obbligarono il duca ad allontanarlo dalla corte e a relegarlo in una residenza periferica a Gazzuolo.
A poche miglia di distanza, nella terra di San Martino, si era ritirata a vivere Isabella Gonzaga di Novellara, vedova dal 1605 di Ferrante Gonzaga di San Martino, dal quale aveva avuto undici figli tra cui Scipione Gonzaga principe di Bozzolo, per il quale fino al 1613 aveva tenuto saggiamente la reggenza durante la minorità. Da Gazzuolo, il ventiduenne cardinale volle far visita alla vedova che godeva fama di donna colta e brillante. In età di trentotto anni, Isabella possedeva un aspetto ancora molto fiorente, oltre che doti di grande ingegno e arguzia; tali qualità affascinarono il giovane che s’invaghì follemente della più anziana parente al punto di determinarsi a sposarla pur di possederla. Con meditata accortezza, infatti, la donna non aveva voluto concedersi alle passioni di Vincenzo senza prima essere uniti da regolari nozze, che, infatti, furono officiate il 23 agosto 1616 nella cappella di S. Martino dal parroco di quella località, alla presenza di numerosi testimoni tra i quali il principe Scipione e il conte Alfonso, fratello della sposa. Nei giorni successivi, il giovane Vincenzo rinviò al papa Paolo V i simboli cardinalizi suscitando le ire sdegnose del pontefice il quale, già nel concistoro del 5 settembre, lo ripagò per la sua tracotante audacia decretandolo decaduto dall’alto ufficio.
Il duca Ferdinando, timoroso per la perdita dei ricchi benefici ecclesiastici e del venir meno dei vantaggi politici di un seggio nel Sacro Collegio, ma anche nel timore di un’impossibilità a procreare da parte della non più giovane sposa, con grande danno per la successione, si oppose immediatamente a quella grave imprudenza del fratello, inviando presso la S. Sede propri emissari affinché fosse restituita la dignità ecclesiastica e dichiarato nullo il matrimonio. L’iniziativa in un primo tempo fu osteggiata dallo stesso Vincenzo il quale, ancora confuso dal fascino di Isabella Gonzaga, si adoperò personalmente presso il pontefice affinché invece ne confermasse la validità. Messo alle strette, anche economiche, e confinato a Goito, il giovane si piegò infine alla politica del duca suo fratello richiedendo anch’egli, sul finire del 1616, l’invalidazione del sacramento. Tornata la donna a San Martino, si aprì un estenuante braccio di ferro con il pontefice per ottenere l’annullamento; Isabella Gonzaga poté confidare sul sostegno alla propria causa del vescovo di Mantova Francesco Gonzaga suo cognato e a Roma su Alfonso Gonzaga conte di Novellara e arcivescovo di Rodi, suo fratello; da parte mantovana, al contrario, per affermare i propri fondamenti, furono in un primo tempo motivate ragioni di affinità familiari tra i due coniugi Gonzaga che risalivano al primo duca Federico, avallate da un autorevole responso giuridico steso per l’occasione da tre docenti della Sorbona a istanza della regina Maria de’ Medici, zia materna dello sposo. Non riconosciuta valevole tale via, papa Paolo V esortò, ma inascoltato, i due a ricongiungersi, minacciando di avocare a sé la facoltà di affidare la questione alla Sacra Rota.
Qualche mese prima dell’inconsulto matrimonio di Vincenzo con Isabella Gonzaga di Novellara, anche il duca Ferdinando si rese protagonista di un maldestro finto matrimonio con una damigella di corte, Camilla Faa, di cui si era invaghito e dalla quale ebbe un figlio, Giacinto, cresciuto poi a corte. Ragioni dinastiche, tuttavia, indussero poco dopo il duca a chiedere l’annullamento delle prime nozze – contratte in effetti, a differenza di quelle del fratello, in presenza di gravi vizi canonici – convolando a nuove nozze nel 1617 con Caterina de’ Medici figlia del granduca di Firenze. Nei successivi quattro anni, diverse iniziative diplomatico-giudiziarie opposero i Gonzaga di Mantova a quelli di Bozzolo, San Martino e Novellara, volte a ottenere il provvedimento di annullamento delle nozze di Vincenzo, ma senza soluzioni concrete. Un valido aiuto sembrò potesse giungere dalla corte imperiale in seguito al matrimonio di Eleonora Gonzaga, sorella minore di Ferdinando e Vincenzo, con l’imperatore Ferdinando II; la giovane fu sposata per procura a Mantova il 21 novembre 1621 e a gennaio fu accompagnata presso lo sposo a Innsbruck da un corteo capeggiato dallo stesso Vincenzo in rappresentanza del duca, costretto a letto da una grave malattia; tuttavia, neanche la neoimperatrice poté dare in seguito l’appoggio auspicato.
Ferdinando Gonzaga, la cui salute andava peggiorando con il tempo, era ancora senza eredi, malgrado fossero trascorsi quattro anni dal suo matrimonio con Caterina de’ Medici. Il timore di prematura morte del duca fecero dunque tornare d’attualità le vicende matrimoniali dello stesso Vincenzo, rovinose dal punto di vista dinastico e della successione in un momento in cui, nelle cancellerie di tutta Europa, già si disegnavano gli scenari futuri per l’assegnazione dei territori del Mantovano e del Monferrato. Al fine dunque di annullare le sconsiderate nozze di Vincenzo, in seguito ad accuse di stregoneria fatte nei confronti di Isabella di Novellara da testimoni prezzolati, fu istruito contro di lei dall’Inquisizione di Mantova un processo volto a comprovare l’uso di filtri e pozioni magiche da parte della Gonzaga con l’obiettivo di indurre Vincenzo a sposarla. Nel 1623, nel tentativo di strappare i testimoni dal diretto controllo del duca, la donna si rifugiò a Roma affidandosi al giudizio della suprema Inquisizione, con il rischio di essere incarcerata, come poi avvenne.
Approvato dal nuovo papa Gregorio XV un secondo processo a Roma, esso si concluse nel maggio del 1624 sotto il successivo pontefice Urbano VIII con il proscioglimento dell’accusa nei confronti di Isabella, la sentenza di non colpevolezza e la sua liberazione. Un ultimo tentativo per porre fine al matrimonio tra Vincenzo e Isabella di Novellara fu messo in atto nel 1627 quando, pochi mesi prima di morire, Vincenzo, divenuto duca per la morte di Ferdinando, incaricò il comandante delle milizie ducali Federico Gonzaga di assoldare a Roma tre sicari per uccidere la donna; ma i tre furono scoperti, processati e impiccati, rivelando il coinvolgimento del duca di Mantova. Esso fu solo l’epilogo dei tentativi di allontanare le minacce di una successione senza eredi legittimi portati avanti negli anni da parte del duca Ferdinando e di Vincenzo.
Di comune accordo, i due concordarono dunque un piano per favorire alla successione di Mantova e Monferrato i cugini francesi Gonzaga Nevers, i più prossimi alla successione poiché discendenti di Ludovico fratello del duca Guglielmo, nonno degli ultimi due Gonzaga di Mantova ancora in vita. Esso prevedeva di far giungere dalla Francia il principe Carlo duca di Rethel per prepararlo alle nozze con Maria, figlia del defunto duca Francesco, affinché, nel caso di decesso senza prole di Ferdinando e poi di Vincenzo, potesse assumere il ducato in nome del padre Carlo duca di Nevers, legittimo aspirante alla successione. Il giovane giunse il 12 dicembre 1625, ufficialmente per recarsi in pellegrinaggio a Roma per l’anno santo, e ciò per non destare i sospetti delle altre parti interessate quali i Gonzaga di Guastalla e i Savoia, in realtà con l’intento ultimo di legarlo a Maria Gonzaga e di garantire la rappresentanza a Mantova del padre Carlo, nel caso di decesso del duca Ferdinando e poi di Vincenzo senza legittima discendenza. Tuttavia, dopo la morte di Ferdinando, giunta il 29 ottobre 1626, lo stesso Vincenzo II, ora nuovo duca, confidando ancora nell’annullamento del suo matrimonio, avviò maneggi per ottenere un’eventuale successiva autorizzazione a sposare egli stesso la nipote, incontrando in ciò il favore della madre della giovane, Margherita di Savoia, contraria per fini politici fino all’ultimo al legame della figlia con il filofrancese Carlo di Rethel.
Nella contesa si interposero i Gonzaga di Guastalla, appoggiati da Spagna e Impero, che ottennero il favore dell’imperatrice Eleonora Gonzaga, sorella del duca di Mantova, per unire Maria a Cesare Gonzaga, figlio del duca di Guastalla Ferrante II; mentre dal Piemonte Carlo Emanuele di Savoia era sempre pronto ad approfittare degli eventi per impadronirsi del Monferrato in quanto eredità trasferibile per via femminile e spettante alla nipote Maria, figlia di Margherita di Savoia, e in tal senso contemplò l’unione della giovane con il proprio figlio Maurizio, cardinale. Ogni trattativa, tuttavia, fu condizionata dall’intervento dell’imperatore che rivendicò l’assenso per qualsiasi iniziativa matrimoniale che riguardasse Maria Gonzaga.
Nel mese di settembre del 1627 fu sventato proprio in corte imperiale un tentativo da parte dei Gonzaga di Guastalla per far dichiarare dall’imperatore il duca Carlo di Nevers reo di fellonia, impedendone così la possibilità di successione sul Mantovano. Tre mesi dopo, ancora la fazione dei Gonzaga di Guastalla a Mantova, capitanata dal marchese Federico Gonzaga comandante delle milizie ducali, fece introdurre nascostamente molte armi in città nel palazzo del duca di Guastalla Ferrante II nella notte del 17 dicembre; la manovra fu sventata dal cancelliere Alessandro Striggi e, destituito Federico Gonzaga dal suo ufficio, Carlo di Rethel fu nominato in sua sostituzione. Ammalatosi gravemente già alla fine di novembre del 1627, il duca Vincenzo, ormai consapevole della propria fine, inviò in gran segreto quello stesso 17 dicembre a Roma il senatore Francesco Faenza per ottenere con estrema urgenza dal papa la dispensa per il matrimonio fra Carlo di Rethel e Maria Gonzaga, necessaria essendo essi cugini consanguinei. La dispensa giunse la mattina di Natale e in quello stesso giorno furono celebrate e consumate in gran segreto le nozze tra i due giovani.
Vincenzo II Gonzaga spirò qualche ora dopo, nella notte tra il 25 e il 26 dicembre 1627.
Con il decesso dell’ultimo esponente della linea diretta e con l’arrivo a Mantova già a gennaio del nuovo duca Carlo I Gonzaga Nevers, si aprì la più grave crisi della storia del casato che avrebbe condotto alla guerra di successione di Mantova e del Monferrato, conclusa nel luglio del 1630 con il sacco di Mantova e la peste di manzoniana memoria. Lo Stato dei Gonzaga sarebbe del tutto scomparso dal panorama europeo circa ottant’anni dopo, nel 1707, con la devoluzione del ducato all’Impero.
A dispetto delle intricate vicende dinastiche che gli avevano in qualche modo negato un erede legittimo, Vincenzo lasciò numerosi figli naturali: Federigo, avuto da Paola Scarpelli, che fu abate di Lucedio in Monferrato; Luigi, morto in tenera età; Giovanni che fu cavaliere e valente capitano delle galee di Malta, dove morì nel 1645, sepolto nella locale cattedrale di S. Giovanni.
Tra le gravi responsabilità da addebitare al duca Vincenzo II, oltre alla sua dissennata vicenda matrimoniale, vi è la svendita della maggior parte delle collezioni artistiche acquisite nei secoli dalla famiglia. L’iniziativa fu già proposta al duca Ferdinando poco prima di morire per sanare in parte i gravi dissesti finanziari che i contenziosi legali, e una sconsiderata conduzione economica già iniziata dal padre Vincenzo e non sanata nel breve periodo del duca Francesco, avevano causato. Il grande amore per le opere d’arte di Ferdinando e la sua ben nota propensione al collezionismo, tuttavia, non fecero prestare orecchio alle lusinghe del mercante d’arte Daniel Nys che da Venezia, in nome del re d’Inghilterra Carlo I Stuart, sollecitò la vendita di marmi, cammei, arazzi, dipinti, statue e altre opere di incommensurabile bellezza. Dopo la morte di Ferdinando, e l’assunzione al trono ducale di Vincenzo II, stante le ancor più gravi condizioni finanziarie del ducato, le trattative tornarono di attualità. Grazie alla calcolata collaborazione del cancelliere ducale Alessandro Striggi, coperte da un segreto che ben presto non fu più tale, le negoziazioni furono riprese nel marzo del 1627, terminando con l’arrivo a Venezia nel mese di settembre di capolavori di artisti del calibro, tra gli altri, di Paolo Veronese, Correggio, Raffaello, Andrea del Sarto, Giulio Romano, Bronzino, Tintoretto, Guido Reni, Guercino, Parmigianino, Tiziano e Andrea Mantegna. Imbarcati poco dopo per l’Inghilterra, essi sono oggi conservati per la maggior parte nelle collezioni reali inglesi. In quell’occasione furono risparmiate le nove grandi tele dei Trionfi di Cesare di Mantegna, vendute in seguito dal successore Carlo I Gonzaga Nevers, ancora con la mediazione di Nys e ancora per conto di Carlo I Stuart, opere oggi conservate nelle collezioni reali inglesi a Hampton Court.
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