LEONIO, Vincenzo
Nacque a Spoleto il 9 febbr. 1650 da Pacifico e Loreta Innocenzi. Rimasto orfano di padre a dieci anni, il L. proseguì la sua formazione presso i gesuiti, distinguendosi soprattutto nelle materie umanistiche. Completati gli studi di grammatica, retorica e filosofia, si iscrisse all'Università di Macerata, dove seguì i corsi di teologia e di diritto civile e canonico del giureconsulto G. Carbone, conseguendo la laurea. Dopo un breve soggiorno a Spoleto, nel febbraio 1671 si trasferì a Roma, dove si laureò in utroque presso l'Archiginnasio romano e intraprese la carriera forense.
Pur dedicandosi con impegno alla pratica legale, continuò a coltivare le Muse, schierandosi tra coloro che auspicavano il ritorno all'imitazione di F. Petrarca contro il gusto, da lui considerato stravagante e barbarico, della poesia secentesca. Fu tra i fondatori dell'Arcadia, dove assunse il nome accademico di Uranio Tegeo, e fu tra i suoi membri più attivi e influenti; occupò varie cariche, tra cui il procustodiato generale, il collegato e la censura. Frequentatore assiduo dei palazzi della nobiltà romana più legata alla Curia, come quello del cardinale Benedetto Panfili o di Pietro Ottoboni, partecipò agli incontri delle principali Accademie romane (gli Infecondi, gli Intrecciati, l'Accademia del Disegno) e fu membro della Crusca e degli Intronati di Siena.
Pur godendo di un'alta considerazione presso i suoi contemporanei (fu portato a modello da L.A. Muratori nel Della perfetta poesia italiana e da G.G. Orsi nelle Considerazioni sopra un libro francese intitolato "La manière de bien penser"), al L. è stato riconosciuto dalla critica moderna più che altro il ruolo svolto all'interno dell'Arcadia, in particolare per la riscoperta del lirico cinquecentesco Angelo Di Costanzo, poi sancita da G.M. Crescimbeni e coronata dall'edizione bolognese delle Rime costanziane nel 1709. Infatti, già prima della fondazione dell'Arcadia, nel 1677, allorché alcuni letterati decisero di dare alle stampe in una raccolta le rime di Di Costanzo, alcuni di loro si radunarono settimanalmente, sotto la presidenza del L., a casa dell'abate G. Paolucci, segretario del cardinale G.B. Spinola, per commentarne i sonetti.
Il L. morì a Roma il 16 genn. 1720. Fu sepolto nella chiesa di S. Marcello. Il 1° febbraio dell'anno successivo i letterati dell'Arcadia posero una lapide nel Bosco Parrasio.
Le poesie in lingua del L., di rigorosa osservanza petrarchesca, sono raccolte nelle Rime degli Arcadi (I, Roma 1716, pp. 312-378; II, ibid. 1717, p. 382; VIII, ibid. 1720, pp. 343 s.; IX, ibid. 1722, p. 106). Tre elegie figurano negli Arcadum carmina (I, Roma 1757, pp. 297-304).
Le prose sono ordinate nella raccolta delle Prose degli Arcadi (Roma 1718), eccetto la vita di Giovanni Giustino Ciampini in Vite degli Arcadi illustri (II, Roma 1710, pp. 195-254). Esse raccolgono i discorsi e le declamazioni pronunciate dal L. nel Bosco Parrasio e in altre occasioni accademiche. Spesso su argomenti di invenzione, sono esercizi di stile e di erudizione che esprimono la nuova mentalità estetica, per lo più in chiave autocelebrativa: il discorso Perché il nascimento di Cristo signor nostro si manifestasse prima d'ogni altro a' pastori discetta su Gesù Bambino come primo "tutelare" dell'Arcadia; una declamazione letta il 25 luglio 1695 verte sulla seguente questione: "Essendosi nelle campagne di Tirsi Leucasio fermato uno sciame d'Api fuggito dagli alveari d'Uranio Tegeo, e negando Tirsi renderlo, Uranio declama in radunanza contra quello per la restituzione" (Tirsi è G.B. Zappi); un Ragionamento per difesa d'alcune costumanze della moderna Arcadia risale al 1698; un discorso recitato nell'Accademia del cardinale Pietro Ottoboni nel 1703 è "l'ultimo de' sette discorsi fatti da altrettanti Arcadi in altrettante tornate, per provare, che i sette Savi della Grecia non meritavano il titolo di Savi; e all'Autore toccò a favellar di Cleobulo".
Fonti e Bibl.: Le vite degli Arcadi illustri scritte da diversi autori, e pubblicate… da G.M. Crescimbeni, IV, Roma 1727, pp. 27-35; V. Peri, Le Rime di Angelo Di Costanzo e l'abate L., in La Rassegna nazionale, 1° sett. 1886, pp. 39-45; G. Natali, Il Settecento, II, Milano 1960, pp. 649 s., 658.