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LINARES, Vincenzo

di Alice Di Stefano - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 65 (2005)
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LINARES, Vincenzo

Alice Di Stefano

Nacque a Licata il 6 apr. 1804 da Filippo, agiato mercante di origine spagnola, e da Nicoletta Lenzi. Dopo i primi studi nella città natale si trasferì a Palermo, insieme con il fratello Antonino, dove compì gli studi medi presso il collegio-convitto Calasanzio, retto allora da Carlo Lenzi, suo zio materno e futuro vescovo di Lipari.

Dopo essersi particolarmente distinto in filosofia e nelle materie umanistiche, fu costretto a rientrare a Licata, a causa di un rovescio di fortuna del padre, e a interrompere gli studi di diritto, nel frattempo intrapresi. A Palermo tornò nel 1827, per lavorare come funzionario presso la segreteria della Gran Corte dei conti; nel 1834, insieme con il fratello Antonino (di nuovo in città dal 1826), vi fondò una gazzetta settimanale, Il Vapore.

Questo "giornale istruttivo e dilettevole", accompagnato da un figurino di mode, comparve in fascicoli di 16 pagine dal 10 genn. 1834 al 30 giugno 1837 quando il dilagare dell'epidemia colerica ne fece cessare la pubblicazione. Destinato a "colte e gentili siciliane di ogni specie di bello e di saper desiose" fu considerato dapprima giornale galante; in seguito, però, parallelamente alla crescente simpatia dei lettori che andò di pari passo con la capillare diffusione nell'isola, finì per ricevere il consenso della stampa locale e di molti intellettuali. Per scelta iniziale dei fondatori (nonché proprietari e principali compilatori del foglio, insieme con i fratelli Francesco Paolo e Vincenzo Mortillaro che collaborarono per i primi due anni), Il Vapore non fu giornale politico né interessato a polemiche letterarie, come testimoniano le parole del L. a tale proposito: "Non egli intende spaziare nel mare della politica, nell'oceano tumultuoso della letteratura. Lascia la politica dove sta e le opinioni quali esse sono; che non siamo in tempi ove tutto lice; e quando la letteratura è un gioco di scherma è meglio passarsela in racconti, in novelle, nei capricci delle mode, e nei trilli del teatro. Così fa chi ama la pace, così faremo noi" (Il Vapore, IV [1837], 1, p. 3). Arricchito da incisioni e litografie di noti artisti siciliani, il periodico si avvalse della collaborazione di diversi scrittori fra cui Pietro Lanza, Tommaso Gargallo e Giovanni Meli.

L'esperienza dell'epidemia di colera colpì il L. tanto da fargli pubblicare, insieme con il fratello, le Biografie e ritratti d'illustri siciliani morti nel cholera l'anno 1837, Palermo 1838 (11 biografie di vari autori alle quali i Linares aggiunsero la dedica e un Ricordo di altri scienziati, letterati ed artisti che conclude il libro). Nello stesso anno il L. diede alle stampe Maria e Giorgio o Il cholera in Palermo, romanzo storico ricco di suggestioni manzoniane (Palermo 1838; Bologna 1838; Torino 1840). Nel 1839, ancora a Palermo, il L. pubblicò, insieme con i fratelli Gaetano e Antonino, un volumetto dedicato al padre (Iscrizioni, biografia e carme per Filippo Linares). È con i Racconti popolari, tuttavia, il cui primo volume apparve a Palermo nel 1840, che l'autore si impose all'attenzione del pubblico come narratore.

Scritti in un periodo di intensa attività lavorativa, a cui si era aggiunto l'impegno come notaio per Canicattì (incarico ottenuto nel marzo del 1840), i racconti conobbero subito un notevole successo e valsero al L. il riconoscimento di innovatore del genere della novella popolare. I tre volumi che costituiscono l'opera uscirono a Palermo tra il 1840 e il 1843. Nati con l'intento di difendere l'immagine della Sicilia, illustrarne le tradizioni, le usanze, le credenze e i costumi ("Dalla bocca del popolo sono in parte tolti i miei racconti, in parte son pitture de' suoi usi e delle sue feste", scrisse il L. nella prefazione al primo volume), i Racconti popolari appaiono caratterizzati da un genuino e corposo realismo, che pur anticipando la scuola narrativa siciliana presenta forti legami con il romanzo d'appendice e una modalità espressiva tratta da moduli popolareschi, destinata a esaurirsi con l'autore. Il primo volume della raccolta annovera, tra altri testi (Il marito geloso, L'avvelenatrice, La pesca di Carlo III, Il cantastorie), I beati Paoli, un racconto che avrà grande eco nel Novecento grazie all'omonimo romanzo di Luigi Natoli e che, riguardando la setta di giustizieri a cui furono attribuite caratteristiche di società protomafiosa, pone in qualche modo la questione della più o meno spiccata inclinazione liberale del L., funzionario borbonico di fede monarchica. L'opera completa fu ristampata a Palermo nel 1849, 1867, 1886 (con una biografia a cura di Francesco Somma); edizioni più recenti sono apparse a Palermo nel 1980 e 1990 e a Licata nel 1997; un'edizione autonoma de I beati Paoli è apparsa a Licata nel 1991.

Nel 1841 il L. fu nominato ufficiale di carico nella cancelleria della Gran Corte dei conti e pubblicò, sempre a Palermo, Il masnadiere siciliano, dedicato al fratello Antonino, morto in quell'anno (ristampa, a cura di C. Carità, Licata 1989). Il racconto, imperniato sulla storia di un brigante detto Testalonga, trattava criticamente, pur su moduli da feuilleton, il fenomeno del banditismo siciliano. Nel 1844, in concomitanza con i numerosi riconoscimenti ottenuti presso le più autorevoli accademie siciliane, il L. collaborò a vari giornali palermitani come La Gazzetta dei saloni, L'Occhio e L'Oreteo.

Ammalatosi nel 1845, il L. morì il 18 genn. 1847 per un attacco apoplettico a Palermo.

Fonti e Bibl.: A. Linares, Biografia su V. L., in La Lira, 1851, n. 11, dicembre; C. Cantù, Letteratura italiana, Napoli 1859, II, p. 306; G.M. Mira, Bibliografia siciliana, Palermo 1875, I, pp. 516 s.; G. Di Pietro, Illustrazione dei più conosciuti scrittori contemporanei siciliani, Palermo 1878, p. 328; G. Pitrè, Usi e costumi, credenze e pregiudizi del popolo siciliano, Palermo 1889, I, p. 191; L. Capuana, L'isola del sole, Catania 1898, pp. 92, 99; L. Vitali, Per le onoranze funebri a V. L., discorso…, Licata 1902; G. Mazzoni, L'Ottocento, Milano 1934, II, p. 917; Diz. dei siciliani illustri, Palermo 1939, p. 294; A. Navarria, Un narratore siciliano dell'Ottocento, in Belfagor, XII (1957), 3, pp. 312-314; P. Mazzamuto, La mafia nella letteratura, in Nuovi Quaderni del Meridione, II (1964), 5, pp. 5 s., 76-79 (nella parte antologica); V. L. tra popolo e letteratura. Atti del Convegno…, Palma di Montechiaro… 1986, a cura di A. Fragale, Roma 1988.

Vedi anche
Trinacria Antico nome della Sicilia presso i Greci (comp. di τρεῖς «tre» e ἄκρα «promontorio»). Gli antichi ritenevano che fosse l’isola chiamata da Omero Θρινακίη; più tardi se ne inventò un eponimo in Trinaco, eroe leggendario o primo re dell’isola. ● Recava sul rovescio la figurazione simbolica della Trinacria ... Palermo Comune della Sicilia (158,9 km2 con 663.173 ab. nel 2008), capoluogo di provincia e di regione, situato sulla costa nord-occidentale dell’isola, all’interno dell’omonimo golfo; si estende nella breve pianura detta Conca d’Oro, dominata a N dal Monte Pellegrino. ● Il nucleo originario di Palermo sorse ... vescovo Nel cristianesimo primitivo e in molte Chiese cristiane non cattoliche, il capo di una comunità di fedeli, in posizione più elevata rispetto agli altri ordini del ministero ecclesiastico. Nella Chiesa cattolica, prelato che, sotto l’autorità del romano pontefice, ha il governo ordinario di una diocesi, ... Teatro degli Indipendenti Teatro d’avanguardia fondato a Roma nel 1922 da A.G. Bragaglia. Fu attivo fino al 1931, mettendo in scena, oltre a un repertorio sperimentale, pantomime e spettacoli di danza.
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