LITTARA, Vincenzo
Nacque il 31 dic. 1550 a Noto, da famiglia modesta. Il padre Nicola possedeva alcuni beni immobili che alla sua morte, nel 1563, andarono ab intestato ai figli; il secondogenito Francesco vendette la sua porzione di eredità al L., mentre un altro fratello, Giovanni Pietro, si occupò dell'amministrazione dei beni del L. durante le sue frequenti assenze da Noto.
Il L. ricevette la prima educazione dai sacerdoti Niccolò Lentini, di Noto, e poi Giovanni La Piana, di Scicli; quindi apprese la dialettica e la filosofia dal minorita Giuseppe Bonasia, pure notinese, uomo di grande erudizione e destinato a essere custode del convento di Assisi e della provincia napoletana. Diciottenne, il L. fu incaricato dal Lentini, trasferitosi a Buccheri, di sostituirlo nell'insegnamento. Svolse l'ufficio con cura, guadagnandosi la stima dei concittadini, al punto che Giovanni Tagliavia, feudatario di San Bartolomeo, che per conto del governo vicereale redigeva il censimento e la descriptio di Noto, lo incaricò di aprire una scuola di grammatica a Sciacca. Ebbe inizio così l'attività di precettore, che il L. non interruppe mai lungo tutta la sua esistenza. Anche quando gli interessi eruditi prevalsero sull'insegnamento, la sua fama di pedagogo dall'eccellente metodo e di solida cultura rimase stabile nel patriziato e nel ceto borghese benestante dei centri della Sicilia orientale, le cui famiglie ricercarono i suoi servigi.
Una prima opera in questo campo è il De literis, et accentibus opus (Palermo, G.M. Mayda, 1572), seguirono i De grammatica dialogi (ibid., Id., 1578), nel genere del dialogo didattico, con i quali il L. intese fare un'opera originale, ispirandosi direttamente agli autori invece che alle grammatiche esistenti, e l'In Vitum Chiappisium apologia. Antidoti in eundem libri IIII de iis, quae in grammatica, et dialectica erravit (Venezia, G. Comenzini, 1584), nella quale si difese dagli attacchi di un detrattore, lo sciacchitano Vito Chiappisi, autore di un Grammaticarum institutionum compendium breve, et perspicuum… (Venezia, D. e G.B. Guerra, 1575, a spese del libraio palermitano L. Pegolo). Compose più tardi un Compendio di chiara introduttione della grammatica latina in volgare, per più facile intelligenza di quelli, che vogliono imparar la lingua latina, prima grammatica latina in volgare stampata in Sicilia (Palermo, G.A. De Franceschi, 1599; Venezia 1601).
Dopo il suo ritorno a Noto il L. scelse la vita religiosa e divenne confessore dei conventi femminili di S. Salvatore e di Monte Vergine; ma, oggetto di invidia da parte di avversari, preferì sottrarsi agli attacchi trasferendosi a Catania, dove si dedicò agli studi e conseguì le lauree in filosofia, teologia e nei due diritti; da autodidatta apprese la matematica, la geometria, l'astronomia, l'aritmetica e altre scienze. Di nuovo a Noto, sostenne numerose dispute nelle più diverse discipline, che lo portarono in molte città siciliane, tra cui Palermo, Catania, Enna, Agrigento, Sciacca. A Enna il L. soggiornò con certezza tra il 1585 e il 1587, svolgendovi l'attività di precettore presso le famiglie cittadine più in vista, ma la sua presenza nella città è legata soprattutto all'incarico affidatogli dal patriziato locale di comporre "aliquod peculiare opus" sulla storia cittadina. Il L. onorò l'incarico con i due libri delle Aennensis historiae, pubblicate nel 1588, con dedica a Vincenzo Petroso barone di Bombonetta recante la data 10 ag. 1587.
L'opera si iscriveva nell'orientamento municipalistico della storiografia siciliana del periodo, che si proponeva come obiettivo di fornire un sostegno alle rivendicazioni locali contro l'accresciuto fiscalismo del governo vicereale, causato dalle esigenze finanziarie della monarchia spagnola per la guerra contro il Turco e i conflitti europei. Il primo compito richiesto al L. era dunque quello di dimostrare l'antichità della città e la sua importanza nella storia dell'isola attraverso i secoli, in maniera da poter sostenere con maggiore autorità la rivendicazione di un ruolo non marginale nel Viceregno e opporsi all'abolizione delle prerogative fiscali di cui Enna godeva.
Il primo libro è dedicato alla descrizione delle risorse del territorio ennese, di eccezionale fertilità, ricco di acque, dotato di giacimenti di salgemma sfruttati con vantaggio della popolazione, in una posizione favorevole che consente una sicura difesa della città. Il secondo libro ha carattere più specificamente narrativo e ricostruisce le fasi salienti della storia cittadina, concentrandosi sulle testimonianze più remote. Nell'intento di provare l'antichità della città, il L. sostiene che sarebbe stata abitata già ai tempi di Saturno, 268 anni prima del diluvio, e confuta la fondazione a opera dei Siracusani guidati dall'eponimo Enno, per dare spazio al resoconto mitologico secondo cui Enna sarebbe stata fondata dopo il rapimento di Proserpina. Più compendiaria la trattazione per l'Età medievale e moderna; l'opera termina con la notizia della pestilenza del 1556, la quale dà occasione di chiudere elogiando l'operato di Vincenzo Petroso nell'infausta circostanza che risparmiò alla cittadinanza più gravi sciagure.
Alla medesima esigenza propagandistica delle Aennensishistoriae va ricondotto l'altro lavoro storiografico del L., il De rebus Netinis liber. In quo urbis, agrique descriptio, Netinorum origo, res militiae, togaeve praeclare gestae, habita a regibus privilegia, illustrium virorum monumenta, et quicquid historia dignum legi potuit… traditur… (Palermo, G.A. De Franceschi, 1593). Anche in questo caso è riconoscibile la committenza da parte del ceto dirigente municipale, di cui sono esponenti i tre dedicatari dell'opera: Baldassarre Cappello, Giovanni Landolina e Gotterro Dati.
In calce all'opera il L. accluse la Divi Conradi historia, sulla vita del santo patrono di Noto Corrado Confalonieri. Quando scriveva il L., le leggende intorno al santo anacoreta, che da Piacenza, indossato l'abito dei terziari francescani, era riparato a Noto vivendo nella solitaria grotta di Pizzoni, erano già state oggetto di una breve biografia anonima in dialetto (cfr. La "Vita" del beato Corrado Confalonieri tratta dal codice dell'Archivio capitolino della cattedrale di Noto, a cura di C. Curti, Catania 1981), che trattava quasi esclusivamente i fatti relativi al soggiorno a Noto, e del poema di Gerolamo Pugliese Vita e miracoli di s. Corrado piacentino (Noto 1568), pure in dialetto, in dieci canti in ottava rima. Sia il L. sia il Pugliese si rifanno alla vita anonima, rispettandone generalmente la successione, ma mentre il Pugliese integra il racconto della Vita con altri episodi (per esempio quelli pertinenti al periodo piacentino, su cui il codice dell'Archivio capitolino tace) e aggiunge di suo particolari inediti, il L. si attiene con maggior scrupolo alla fonte per quanto riguarda il contenuto, mentre se ne allontana nettamente per la più rigorosa forma narrativa e per lo stile sostenuto della prosa latina.
A s. Corrado il L. dedicò anche il Conradis, poema eroico-religioso in esametri in dieci libri sulla vita del santo, di evidente imitazione virgiliana e riconducibile al modello di poesia sacra classicheggiante rappresentato dal celebre De partu Virginis di I. Sannazaro. Il Conradis è parte della folta produzione epico-religiosa primosecentesca che, ispirata dal modello di epos cristiano della Gerusalemme liberata tassiana, ne riprendeva in chiave estremizzata e confessionale le componenti del magismo e del demoniaco eliminando gli aspetti lirici e sentimentali. Il poema fu pubblicato postumo (Palermo) nel 1608 dall'allievo Francesco Giantommaso su incarico del Senato di Noto, in un'edizione che voleva rappresentare il devoto omaggio della città natale al suo illustre figlio (oltre alla biografia del Giantommaso, ospita numerosi componimenti elogiativi).
Palese è nel Conradis il tentativo di trasferire alla tematica sacra situazioni e linguaggio dell'epica pagana, con un curioso compromesso tra situazioni e atmosfere proprie del poema antico, che l'autore intende comunque conservare in omaggio all'impostazione erudita, e le esigenze di un argomento che obbligava a correggere contenuti troppo fantasiosi o un meraviglioso non riducibili al tenore agiografico. Permane così un apparato di marca paganeggiante, che contempla l'invocazione alle muse o la presenza di figure allegoriche come la Fama o l'azione di divinità olimpiche accanto al demonio e altre furie infernali, ma che aleggia anche nella caratterizzazione dei personaggi, a cominciare dal protagonista, presentato come "pius heros" sul modello del "pius Aeneas" virgiliano, e nella narrazione: l'arrivo di Corrado in Sicilia suscita ostilità negli abitanti come quello di Enea nel Lazio, Giunone gli è ostile così come a Enea e così via. Alle reminiscenze classiche si mischiano elementi campanilistici: il personaggio antagonista di Archia, ispirato dal serpens dirus (il demonio), è il mitico fondatore di Siracusa, con cui i Netini erano in contesa anche perché aspiravano a essere sede vescovile staccandosi dalla diocesi di Siracusa; Ducezio, il re dei Siculi che si oppose all'invasione dei Greci, è, secondo la tradizione, originario di Noto.
Da collegare con la presenza del L. a Palermo attestata da documenti nel 1596 - anche se sono probabili soggiorni anteriori - sono altre due opere di impianto storico ma di carattere polemistico: la De primatu urbis et Ecclesiae Panormitanae oratio e il trattatello De aquila Panormitana, rimasti entrambi inediti in diversi manoscritti della Biblioteca comunale di Palermo.
Probabilmente convocato in virtù delle sue capacità oratorie per sostenere le parti di Palermo nell'annosa contesa con Messina circa la sede del governo vicereale, nel primo dei due libelli il L. rivendica su basi storiche e giuridiche il diritto della Chiesa di Palermo di essere considerata gerarchicamente la prima della Sicilia; nell'altro si propone di dimostrare che l'aquila, emblema civico, testimonia le origini romane della città. Il De aquila è concepito come un lungo dialogo tra Elio e Arcadio, che si immagina tenuto dinanzi ai maggiorenti e agli uomini dotti della città, in cui il L. dà sfogo a un'impressionante quanto farraginosa dottrina in materia giuridica e storico-antiquaria, a cui non giovano il tono cattedratico dell'esposizione e il registro sostenuto del latino, di rado reso un po' più ameno da qualche spunto colloquiale. Alla cornice mancano riferimenti cronologici espliciti, ma la menzione di alcuni personaggi consente di datare l'opera al 1597 e, siccome in entrambe le opere si allude all'altra come già composta, anche l'orazione è da ricondurre al medesimo periodo.
La fama raggiunta procurò al L. l'invito del vescovo di Agrigento Giovanni Horozco Covarruvias (presule dal dicembre 1594) a trasferirsi nella sua diocesi, dove gli conferì il titolo della chiesa di S. Michele; il L. visse in stretto contatto con il vescovo, che accompagnava nelle visite pastorali. In sua presenza, a Sciacca il 16 nov. 1598, pronunciò l'orazione funebre in onore di Filippo II di Spagna.
Il L. morì ad Agrigento il 3 maggio 1602 e il corpo fu tumulato in S. Michele.
Nella sua biografia (contenuta nella già menzionata edizione del Conradis del 1608) il Giantommaso traccia il ritratto di un intellettuale che trascorse la sua esistenza assorbito da uno studio costante e indefesso. Di questo ingegno versatile e instancabile offre testimonianza il folto elenco delle opere inedite, di cui si sono perse le tracce. Numerosi i titoli riconducibili all'attività didattica e allo studio della lingua: sei libri di osservazioni grammaticali, una Grammatica speculativa, un compendio di retorica accompagnato da numerose questioni in materia, un trattato di locuzioni e formule della lingua latina, un trattato di ortografia, un frasario e un prontuario del latino. Ricco è anche il mannello degli scritti filosofici: commentari sull'Organon aristotelico, sulle Summulae di Pietro Ispanico, explanationes dei Praedicabilia di Porfirio, enucleationes nel I e II della Fisica e una interpretatio sul De coelo et mundo di Aristotele. Poche in confronto le opere sacre: In Canones explanationes, un opusculo De sacramentis et de Sanctissima Trinitate, un compendio sulla confessione. L'accenno a "lepidissimae comoediae" e a "epigrammatum et elegiarum libelli duo" apre uno scorcio su un L. piacevole e disponibile alle muse, autore di "plures versos argutos et apollineum melos redolentes" assicura il devoto biografo (p. 14).
La Divi Conradi historia ebbe una traduzione volgare a opera di G. Coffa e Gallo, accademico Trasformato di Noto (Vita di s. Corrado, Palermo 1702; ed. anastatica con introduzione di C. Curti, Noto 2000); per le opere storiche: il De rebus Netinis fu incluso nel vol. XII del Thesaurus antiquitatum et historiarum Siciliae… di J.G. Graeve e P. Burman (Lugduni Batavorum 1725); Topografia dell'antica Noto, trad. e note di F. Sbano, Noto 1849; Storia di Noto antica dalle origini al 1593, trad. e note di F. Balsamo, Roma 1969 (2a ed. riveduta, Noto 1997); Storia di Enna, trad. e note di V. Vigiano, Caltanissetta 2002.
Fonti e Bibl.: A. Mongitore, Bibliotheca Sicula, II, Panormi 1714, pp. 287-289; G.M. Mira, Bibliografia siciliana, I, Palermo 1875, pp. 518 s.; C. Gallo, De Urbis et Ecclesiae Panormitanae primatu oratio Vincentii Littarae Netini, quae manuscripta in Bibliotheca Panormitanae civitatis adservatur, in Saggi vari, in Il Mondo classico, X (1940), pp. 1*-11*; Id., Figure del Seicento netino. V. L. e la sua "Corradiade", in Arch. stor. siciliano, s. 3, II (1947), pp. 225-236; Id., V. L. e l'epica virgiliana nel sec. XVI in Sicilia. Contributo alla ricerca della fortuna di Virgilio in Sicilia, in Arch. stor. per la Sicilia orientale, XLVII (1951), pp. 121-134; Id., V. L. netino apologista di Palermo, in Arch. stor. siciliano, s. 3, VI (1954), pp. 91-167; Inventario dei manoscritti delle biblioteche d'Italia, XX, p. 139.