LUCCARDI, Vincenzo
Nacque a Gemona il 23 febbr. 1808 (cfr. Genealogia, in Archivio privato Mario Luccardi), settimo di dieci figli, da Giuseppe e Lucia Scavi. Proveniente da una famiglia in vista e agiata, dopo la morte del padre (1814) poté contare sulla protezione dell'industriale tessile conte Pietro Antivari che divenne suo mecenate. Con il contributo di questo entrò nel 1829 all'Accademia di belle arti di Venezia, dove apprese la lezione canoviana allora tenacemente propugnata da L. Cicognara e L. Zandomeneghi, di cui fu allievo.
Si distinse nei concorsi organizzati annualmente dall'istituto tra il 1831 e il 1835, ai quali partecipò anche dopo la sua partenza per Firenze. Qui soggiornò dal 1832 al 1836 aprendosi al naturalismo proposto da L. Bartolini sulla scorta della scultura toscana del Quattrocento (busti di Pietro Antivari e Anna Kircher, marmo, 1836: Milano, collezione privata, già collezione Carlo Berghinz de Rosmini). Nel 1836 si trasferì a Roma, allora dominata dall'arte di P. Tenerani, dove fu presto accolto nella Congregazione dei Virtuosi al Pantheon, che incoraggiava i giovani artisti con concorsi bimestrali e biennali esponendo i lavori ritenuti migliori. Tra questi fu scelto nel 1838 il modello in gesso di una statua colossale di Aiace Oileo, modellata dal L. in forme neoclassiche ed enfatiche, ma ravvivate da un originale ritmo a spirale. La versione in marmo, commissionata da una società di nobili udinesi per la loro città, fu collocata nel 1852 nella loggia del Lionello e celebrata in sestine dal friulano F. Blason (La mitologia di Ajace rappresentata in marmo nel palazzo comunale di Udine, Udine 1852). Fu questa la prima di una lunga serie di importanti commesse provenienti da Udine che impegnarono il L. fino alla fine degli anni Cinquanta.
Nel 1839 ricevette da monsignor G. Franzolin, parroco della chiesa di S. Maria delle Grazie, l'incarico di realizzare i quattro Angeli in adorazione della Croce e le statue in marmo della Fede e della Carità per l'altare di S. Valentino, terminati rispettivamente nel 1846 e nel 1853. A questi si aggiunse nel 1854 la stele in memoria di Feliciano Agricola ordinata dal figlio. Al 1842 risale, invece, la prima commessa romana: il Monumento a Salvatore ed Elisabetta Cartoni (distrutta) per il camposanto del Verano, che il L. portò a compimento nel 1844 su progetto dell'architetto Biagio Valle (dal 1861 nel quadriportico del camposanto). Appassionato melomane, il L. frequentava l'ambiente teatrale romano e nel 1844, in occasione della messa in scena dei Due Foscari al teatro Argentina, strinse amicizia con G. Verdi, che poi aiutò nell'allestimento dell'Attila realizzando il costume del protagonista sulla base dell'affresco di Raffaello in Vaticano (1845). Da allora intrattenne con lui un'assidua corrispondenza (1844-76: Biblioteca dell'Accademia nazionale dei Lincei e Corsiniana, Carteggio verdiano, ad nomen), ed entrò in contatto con personaggi come il tenore G. Fraschini, il clarinettista E. Cavallini, gli impresari V. Jacovacci e T. Ricordi, il quale gli commissionò in seguito un busto-ritratto di Verdi (1856-59) per il suo negozio di Milano.
Ancora nel 1846 fornì i modelli dei due Mori per la torre dell'Orologio di Udine (fusi in rame nel 1850 da O. Ceschiutti) e, quando nel 1847 il papa restituì la dignità arcivescovile alla sede episcopale della città, fu incaricato di realizzare il busto colossale di Pio IX per il duomo (1847-58).
Le sue opere, caratterizzate da un modellato nitido, appena addolcito da accenti puristi e sentimentali e da suggestioni naturalistiche, erano apprezzate soprattutto da una committenza legata al gusto neoclassico, come il mercante veneziano D. Zoppetti, uno dei maggiori collezionisti di opere canoviane del periodo, per il quale il L. recuperò tra il 1846 e il 1847 dal mercato antiquario romano i presunti attrezzi di lavoro di A. Canova. Per lui realizzò in quegli stessi anni, oltre al suo busto-ritratto (marmo: Venezia, Civico Museo Correr), le statue in marmo del Genio della Pittura e di Agar nel deserto che invoca Dio (Ibid.: in deposito presso il palazzo Ferro-Fini), quest'ultima impiegata come pendant di una scultura in gesso di Giovane piangente realizzata da Canova per il Monumento a Maria Cristina d'Austria. Anche il L. si dedicò, seppure sporadicamente, alla scultura funeraria e, dopo il Monumento a Simeone M. Zoppetti, di cui eseguì le parti marmoree (Venezia, cimitero di S. Michele in Isola), portò a termine le tombe di Giuseppe Mocchiutti e della famiglia Mocchiutti-Tomadini e quella (in seguito rimossa) della famiglia Fabris per il cimitero monumentale di Udine (1850 circa).
Negli anni immediatamente successivi alla caduta della Repubblica Romana fu a Vienna presso l'architetto triestino P. Nobile e soggiornò spesso nel Veneto, ospite di S. Giacomelli, esponente di spicco della borghesia trevigiana, e in Friuli presso il fratello Leonardo, che abitava a Straccis. Sempre vicino a Udine, a Castions di Strada, ebbe nel 1853 l'incarico di realizzare la statua della Madonna del Rosario per la chiesa di S. Giuseppe. La sua carriera compì un salto di qualità quando, nel 1854, fu chiamato dall'imperatore d'Austria Francesco Giuseppe a realizzare il Monumento a Pietro Metastasio (1855: Vienna, Minoritenkirche) voluto dalla comunità italiana di Vienna per ricordare la lunga permanenza dello scrittore nella città. Nel 1855 fu anche a Londra e a Parigi. A Vienna, dove aveva amici e contatti, il L. tornò nel 1859 e da lì raggiunse il castello di Kremsier (Kroměřiž) in Moravia. Al suo ritorno portò a termine per S. Giacomelli le statue in marmo del Redentore, della Madonna e di S. Giovanni Battista destinate alla villa palladiana di Maser (1860).
Contemporaneamente, a Roma aveva preso studio in via Margutta accanto al pittore Scipione Vannutelli, che lo ritrasse in Luccardi nello studio (1862: Udine, Galleria d'arte moderna), entrando nel circolo letterario del giurista conte Giuseppe Vannutelli, sovrintendente dei Colonna, di cui nel 1861 sposò la figlia primogenita Carolina, dalla quale ebbe due figli: Sante e Chiara.
Interessato a coniugare insieme linguaggi espressivi diversi, il L. passò da modi tardoneoclassici e puristi, ancora testimoniati nel 1861 dalla tomba in stile neorinascimentale dei coniugi Vannutelli (Roma, basilica dei Ss. Apostoli) a un moderato verismo. Evoluzione ben visibile nelle opere presentate quello stesso anno all'Esposizione italiana agraria, industriale e artistica di Firenze, dove il L. inviò quattro busti in marmo delle Stagioni e due gruppi scultorei segnati da una nuova ricerca di caratterizzazione psicologica: Gli ultimi momenti della Cenci (marmo) e Il rimorso di Caino (gesso: Udine, Civici Musei), che ottenne la medaglia d'oro.
Nel 1862 fu introdotto da L. Bienaimé ed E. Wolff, entrambi allievi di B. Thorvaldsen, all'Accademia di S. Luca come accademico di merito residente della classe di scultura. Nello stesso anno realizzò per la villa di C. Giacomelli a Pradamano, vicino a Udine, il fregio in stile neoclassico della facciata prospiciente il giardino con La mietitura e Il vaglio del grano, il Busto di Giovanna Tomadini Giacomelli, di matrice realistica, e il gruppo marmoreo l'Agricoltura e il Commercio marittimo, caratterizzato dal delicato lirismo dell'inserto naturalistico. Elemento, questo, che ritorna più volte nelle opere dell'artista e, in particolare, nelle figure di bambini e adolescenti (Ragazza con colombi e fiori: Eravan, Galleria nazionale dell'Armenia; Tenerezza, collezione privata; Pietà e Indifferenza: Trieste, collezione privata, già a Gemona nella collezione De Carli: un'altra versione è a Vienna, palazzo Pallavicini), in sintonia con la lezione di Bartolini e della scultura toscana del Quattrocento. Nel 1863 eseguì il Ritratto di Giuseppe Franzolin conservato a Udine nel santuario della Beata Vergine delle Grazie.
Continuando a muoversi tra Roma e il Friuli, eseguì nel 1866 il Busto di Giovanni da Udine (marmo: il modello in gesso è a Udine, Civici Musei), ordinato da Pio IX per le logge di Raffaello in Vaticano, e il Busto del giurista Fra' Polo Canciani, acquistato dal Comune di Udine (Udine, Biblioteca civica V. Joppi). Nonostante il successo ottenuto all'Esposizione universale di Parigi del 1867 con l'Innocenza (marmo: Pavia, Galleria civica, acquistata dal tenore pavese G. Fraschini) e soprattutto con il Diluvio universale (marmo), che valse al L. la medaglia d'oro e la croce della Legion d'onore, i fatti di Mentana del 1867 vennero a delineare una rottura tra l'affermato scultore, ormai legato al papato, e i patrioti conterranei, i quali non gli perdonarono quel Monumento ai caduti pontifici di Mentana (Roma, Pincetto Vecchio al Verano), che, ultimato nel 1869 su disegno dell'architetto V. Vespignani, fu fonte di screzio anche con l'amico Verdi. Nominato cavaliere e professore di scultura all'Accademia di S. Luca, il L. divenne anche consigliere nel 1869 della Reale Accademia di belle arti di Modena e nel 1870 dell'istituto romano in cui insegnava. Dopo essere stato tra i cinque scultori italiani in lizza per un monumento a Massimiliano I d'Asburgo imperatore del Messico da erigersi a Trieste (poi realizzato da J. Schilling), nel 1870 il L. partecipò all'Esposizione universale cattolica ordinata in occasione del concilio Vaticano I e ospitata nel chiostro della chiesa di S. Maria degli Angeli a Roma. Tre i lavori presentati: Il Salvatore in forma gloriosa che ripete al sommo pontefice le parole "Confirma fratres tuos", la statua in gesso dell'Assunta modellata per il duomo di Gemona (il bozzetto, conservato nella sagrestia dello stesso duomo, è andato distrutto nel terremoto del 1976) e un Episodio del Diluvio universale, sempre in gesso (1862-65: ubicazione ignota), con cui ottenne la decorazione dell'Ordine di S. Gregorio Magno e Piano.
Artista colto, usò spesso trarre dai libri i temi delle sue opere, come accadde nel 1871 quando si ispirò a un idillio di Aleardo Aleardi (Raffaello e la Fornarina, Verona 1855) per scolpire le statue di Raffaello e la Fornarina degli anni 1871-77 (marmo: Roma, Archivio dall'Accademia nazionale di S. Luca), che furono presentati dopo la sua morte, con il marmo Amore generoso, all'Esposizione nazionale di belle arti di Roma del 1883. Si inseriscono in questo filone letterario altri lavori come Cleopatra e Apollodoro e Radames solleva Aida svenuta sul campo di battaglia (ubicazione ignota; citato in documento manoscritto).
Il L. poteva ormai vantare commissioni a livello internazionale; e nel 1872 il suo studio fu visitato dal re di Danimarca Cristiano IX accompagnato dalla consorte e dalla figlia Alexandra principessa del Galles, attraverso la quale giunse al Sefton Park di Liverpool - aperto ufficialmente al pubblico proprio quell'anno - una scultura raffigurante la Primavera (cfr. Gardonio, 2003, p. 112), debitrice nella posa e nell'inserto floreale della Danzatrice con i cembali di Canova. Ulteriori successi il L. raccolse all'Esposizione universale di Vienna del 1873, dove fu premiato per la versione in marmo del Rimorso di Caino e per una figura di Giovane indiana (marmo: ubicazione ignota).
Acquistati nel 1875 un terreno e una casa a Genazzano, località molto amata dalla moglie e cara ai Vannutelli, il L. vi si trasferì con la famiglia e qui morì improvvisamente il 14 nov. 1876.
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. stor. dell'Accademia nazionale di S. Luca, Docc. mss., b. 122, f. 13 (nomina a membro residente); Notizie biografiche 1877, b. 139, f. 1; Ibid., Archivio privato Mario Luccardi; Ibid., Archivio privato Francesca Di Castro; V. Fael, Amico di Verdi: lo scultore gemonese L., in Friuli, 1973, n. 2, pp. 14 s.; A. Rizzi, L'Ottocento. La scultura, in Friuli-Venezia Giulia, a cura di A. Rizzi, Milano 1979, pp. 489, 492 s.; G. Pavanello, Domenico Zoppetti, in Una città e il suo museo: un secolo e mezzo di collezioni civiche veneziane (catal.), a cura di M. Gambier, Venezia 1988, pp. 117-121; L. Genesio, Il carteggio tra Giuseppe Verdi e V. L. (1844-1876), tesi di laurea, Università degli studi di Milano, a.a. 1994-95; T. Cavanagh, Public sculpture of Liverpool, Liverpool 1997, pp. 205 s.; M. Pregnolato, La collezione d'arte di Domenico Zoppetti, in Venezia Quarantotto( (catal., Venezia), a cura di G. Romanelli et al., Milano 1998, pp. 222 s.; P. Favretto, La sezione di scultura moderna e gipsoteca, in Musei civici di Pavia, La quadreria dell'Ottocento, a cura di S. Zatti, Milano 2002, pp. 165 s.; M. Gardonio, Una traccia per V. L., in Neoclassico, 2003, nn. 23-24, pp. 111-118; Id., in Tra Venezia e Vienna. Le arti a Udine nell'Ottocento (catal., Udine), a cura di G. Bergamini, Cinisello Balsamo 2004, pp. 127, 224, 230, 233 nn. 3 e 5, 516-518; Id., "I rimorsi di Caino" di V. L. e le opere dello scultore presso i Musei civici, in Boll. delle Civiche Istituzioni di Udine, 2005, n. 9, pp. 59 s.; G. Nazzi, Diz. biogr. friulano, Basaldella di Campoformio 1997, p. 368; A. Panzetta, Nuovo Diz. degli scultori italiani dell'Ottocento e primo Novecento, I, Torino 2003, p. 522, tavv. 1071 s.