MAGGI, Vincenzo
Discendente da una famiglia di illustri tradizioni nobiliari, il M. nacque, intorno al 1498, in provincia di Brescia, presumibilmente nella località di Pompiano, dove la famiglia possedeva uno dei suoi fondi.
La prima educazione letteraria gli fu impartita dal padre Francesco, che era stato discepolo di Gasperino Barzizza, come il M. ricorda nella Praefatio alla Poetica aristotelica. Nel medesimo luogo menziona anche come proprio magister di artes liberales negli anni giovanili un altro veronese, Gerolamo Bagolino. La formazione fu completata con i corsi universitari di Padova, dove il M. intrecciò solide amicizie e rapporti intellettuali decisivi per la futura carriera universitaria. Ancora studente, strinse un legame profondo con il veronese Bartolomeo Lombardi, con il quale avrebbe intrapreso il lavoro di commento alla Poetica aristotelica.
Insieme con Lombardi partecipò all'Accademia degli Infiammati, negli anni più vivaci del dibattito sulle lingue, latina e volgare, e sulla classificazione del sapere logico e retorico. Dell'influenza e della lezione di metodo di S. Speroni, principe e infaticabile animatore del cenacolo padovano, restarono tracce significative nel pensiero e nell'insegnamento del Maggi. È invece riconducibile alle discussioni intercorse fra i membri del sodalizio (A. Piccolomini, D. Barbaro, B. Tomitano, B. Varchi) l'avvio del progetto di "sposizione" della Poetica, secondo quanto testimonia la stessa Praefatio di Lombardi, protettica ai commentari del M., recitata in origine ad Academicos Inflammatos, e collocata poi dal M., in memoria dell'amico defunto, a esordio della stampa delle Explanationes del 1549. Nei suoi primi tentativi di esegesi dell'impervio dettato della Poetica, in anni precoci, presso gli Infiammati il M. dovette assumere un indubbio ruolo magistrale; infatti il Varchi, appellandosi nell'Hercolano alla sua autorità, in merito alla dibattuta natura dell'imitazione poetica con il sermone o con il verso e l'armonia, lo ricordava come suo "onoratissimo precettore" insieme con Lombardi.
Secondo Facciolati, il M. assunse il primo incarico d'insegnamento nello Studio patavino nel 1528, con il grado di professore supplente alla prima cattedra straordinaria di filosofia, con il "tenue stipendio" di 47 fiorini. Alla morte di Marcantonio Passeri (il Genua), nel 1533, fu promosso in secundo loco ordinario, con 125 fiorini, che aumentarono fino a 300, nel 1535, a segno del suo accresciuto prestigio. Tenne l'incarico fino al 1543, in qualità di commentatore dei testi aristotelici su cui verteva il dibattito più aggiornato e più acceso della speculazione fisica e dell'insegnamento logico-retorico dello Studio. Al 1543 risale anche il trasferimento a Ferrara del M. al servizio del duca Ercole II d'Este, con il compito di precettore del principe.
Borsetti, tratto in inganno per una sovrapposizione tra il M. e un altro illustre Maggi, Lucillo Filalteo, medico e commentatore, come il M., del De Coelo e del De Physica di Aristotele, gli attribuisce un esordio ferrarese in qualità di lettore di medicina, ma già Tiraboschi corresse l'errore, assegnando al M., quale materia sua propria del corso ferrarese, il commento al De Coelo, cui si aggiunse in seguito anche un corpus di lectiones sulla Poetica. Ne fa fede, oltre alle carte manoscritte delle sue lezioni, una lettera inviata, nel novembre 1546, da Francesco Davanzati a Pietro Vettori (Cl. Italorum et Germanorum epistolae ad Petrum Victorium, a cura di A.M. Bandini, I, Florentiae 1758, p. 54), in cui lo informava di essersi recato a Ferrara per seguire il magistero del M. nell'esposizione della dottrina fisica di Aristotele, perché in Padova non vi era più chi sapesse spiegarla con tale acribia.
Il prestigio e la fama raggiunti consentirono al M. un facile inserimento nei cenacoli intellettuali della corte estense e di stringere amicizia con umanisti e letterati, quali il grecista Francesco Porto, Alfonso Calcagnini, i Giraldi, Bartolomeo Ricci e il giovane Giovan Battista Pigna, in anni in cui la presenza di Renata di Francia aveva favorito la circolazione di idee filoriformate, o perlomeno il diffondersi di un ideale di tolleranza e di pace religiosa. Ricci, nella sezione del suo epistolario a Ercole II, esortava il principe ricordando come il M. fosse stato il solo "qui Aristotelis Poeticam primum ex publico loco, ut caetera [ossia le lectiones "de Coelo, de Anima, de Deo"] facit, feliciter interpretatus, tum vero in ipsam mox locuplentissima Commentaria est editurus". Il consenso cui andò incontro gli valse anche l'onore dell'elevazione a principe dell'Accademia dei Filareti (1554), che raccoglieva i dotti più rappresentativi della vecchia generazione umanistica (Calcagnini, Lilio Gregorio Giraldi) e voci illustri della nuova poesia volgare (Ercole Bentivogli, Giovan Battista Giraldi Cinzio).
La permanenza a Ferrara fino al 1557, anno in cui lo Studio fu temporaneamente chiuso per devolvere lo stipendio dei professori agli armamenti della guerra, non impedì al M. di mantenere un dialogo attivo con le istituzioni e i letterati della sua città natale. Dal fascicolo di lettere dell'Archivio di Stato di Modena (Archivio per materie, Letterati, b. 32) siamo edotti sui frequenti spostamenti e ritorni a Brescia del M. per sbrigare mansioni economiche legate alle proprietà familiari o per ragioni culturali. Da recenti fortunati reperimenti di carte conservate nell'archivio della famiglia degli Stella (Bergamo, Biblioteca Angelo Mai, Archivio Silvestri, Fondo Stella, b. XL, f. 75; cfr. Travi) si è potuto ricostruire il ruolo autorevole giocato dal M. nell'istituzione dell'Accademia bresciana di Rezzato, promossa da Giacomo Chizzola e da un gruppo di colti aristocratici.
Ritornato a Ferrara, il M. vi morì nel 1564.
Perplessità desta la notizia di un viaggio in Germania, antecedente al 1529, riferita da Guerrini, che lo pone in relazione con le vicende del volgarizzamento dell'Enchiridion militis christiani di Erasmo da Rotterdam, da parte del bresciano Emilio Emili, e con il carteggio intercorso fra questi ed Erasmo, il quale, infatti, in una nota lettera responsiva del 17 maggio 1529 a Emili indica nel M. un prezioso tramite con il corrispondente bresciano, e si profonde in un elogio, "vir pius et sincerus" (Opus epistolarum, VIII). La presenza di un omonimo del filosofo, suo contemporaneo, di cui pure dà conto Guerrini, ossia quel Vincenzo Maggi monaco benedettino, amico di H. Bullinger e di Bonifacio Amerbach, passato all'eresia e diplomatico del re di Francia, genera qualche considerevole dubbio sull'effettiva personalità dell'emissario di Emigli presso Erasmo. Nell'ambito delle discussioni di retorica e poetica che vivacizzarono l'ambiente intellettuale dello Studio e delle accademie patavine, prese corpo il disegno di commento alla Poetica aristotelica che il M. inizialmente intraprese con Lombardi nella forma di un corso di lectiones da recitare e discutere nel sodalizio degli Infiammati. Nella Praefatio a C. Madruzzo della stampa (V. Maggi - B. Lombardi, In Aristotelis librum de Poetica communes explanationes: Madii vero in eundem librum propriae annotationes. Eiusdem De ridiculis et in Horatii librum de arte poetica interpretatio, Venetiis, V. Valgrisi, 1550), il M. ricorda come Lombardi "tenuto a mala pena l'esordio" delle "sposizioni", risalente al 1541, fosse colto da emottisi, che in breve giro di tempo lo condusse a morte. Il M. continuò da solo l'impresa, che nove anni dopo, ormai acclamato magister del Ginnasio estense, diede alle stampe.
Secondo quanto si evince dagli appunti delle lezioni ferraresi sulla Poetica tenute nel biennio 1546-47 - conservati, per mano del discepolo Alessandro Sardi, a Modena, Biblioteca Estense universitaria, Est. lat., 88 (alpha Q.6.14), cc. 1r e 69v -, la consuetudo umanistica del M. alla sinossi e all'integrazione del dettato aristotelico con la precettistica dell'Ars poetica oraziana, dotata a tale altezza di una ricca messe di commentari, rappresentò una ratio ermeneutica e una scelta di metodo ben radicata nella formazione del Maggi. Si comprende in tal senso la decisione di aggiungere alle explanationes aristoteliche l'interpretatio dell'Ars oraziana, peculiare al travisamento operato dall'erudizione umanistica di un'inevitabile collazione di Aristotelis cum Horatio, sia per colmare la problematica "oscura brevità" della poetica greca sia per rendere manifesta l'"occultam et artificiosam imitationem" di Aristotele del poeta venosino (De ridiculis, p. 328). L'inserimento della sezione intitolata De ridiculis nel corpus ermeneutico dei commentari si motiva con l'intento del M. di completare le lacune presenti nel testo di Aristotele, ricavando per abduzione dalla teoria della tragedia una precettistica del terzo genere, la commedia, che si riteneva assente nella Poetica per una creduta frammentarietà dell'opera. A incremento dei brevi cenni di Aristotele alla commedia e al comico nella definizione di un "ridiculum igitur peccatum et turpitudinem ac deformitatem esse sine dolore" (Poetica, particula XXIX; De ridiculis, p. 302), che il M. riesamina ampliandola nella ricerca di una più convincente e moderna teoria del riso, il De ridiculis ricorre all'insegnamento dei latini e degli umanisti: Cicerone (De oratore, II), Quintiliano (Institutiones, VI), G. Pontano (De sermone).
L'architettura esegetica dei commentari, che si attiene allo schema didattico della suddivisione in particulae della Poetica, si distribuisce fra translatio in latino del testo greco, explanatio e annotatio. Per la versione in latino il M., sia pur nella ferma censura di alcune dubbie soluzioni del traduttore, decise di ricorrere al discusso lavoro di Alessandro Pazzi de' Medici (Firenze 1536), più che per non macchiarsi d'ingratitudine nei confronti dell'antesignano, secondo quanto recita l'avvertenza agli Artis poeticae studiosis, soprattutto per creare nei lettori il senso vivo di un esercizio dialettico di proposte e confutazioni, che da un testo già predisposto, e per così dire fissato, si dispiega nella varietà delle "lectiones" e "correctiones", delle "opportunae dubitationes", dei "loca" dei "diversorum auctorum ad rem propositam conducentiam".
La valutazione del commentario del M. nel giudizio critico del Novecento, fatta eccezione per le lucide pagine di B. Weinberg (I, pp. 406-417) e per qualche altra più recente acquisizione, è parsa per lo più viziata dall'approccio schematico con cui si interpretava l'intervento del M. sul noto lemma oraziano "aut prodesse volunt aut delectare poetae" (De arte poetica librum interpretatio, pp. 362 s., e De poetica, annotatio alla particula XXXIV) come chiaramente esemplare di una scelta del filosofo per una destinazione pedagogica della poesia. Si aggiungeva la convinzione pregiudiziale che il M. si fosse espresso, nell'interpretazione della teoria della catarsi tragica aristotelica, a sostegno di una sua funzione edificante, sintomatica dello sviluppo delle nascenti tesi estetiche della Controriforma. Giuseppe Toffanin concludeva il suo bilancio sulla poetica dell'autore (p. 491) con un parallelo fra Speroni e il M. sotto il segno di un evolversi del pensiero dall'"aristotelismo laico" del retore patavino alla cifra "devota", ossequiente ai dettami della riforma cattolica, del magister bresciano, che venne a rappresentare uno schermo opaco alla lettura di un commentario che, per complessità e ricchezza di sviluppi, richiede un approccio e strumenti di analisi ben più sofisticati.
Auspicabile diviene perciò la riconsiderazione delle componenti logiche e intellettualistiche della poetica del M., a partire dalla preliminare tassonomia sulla natura delle artes sermocinales, che impegna le argomentazioni dei Prolegomena alla Poetica, con una classificazione dei rapporti fra poetica e logica che riecheggia gli approdi teoretici più avanzati del dibattito degli Infiammati. Altresì necessario sembra reinscrivere più pertinentemente nelle categorie complesse e oscillanti del sincretismo aristotelico-neoplatonico del Cinquecento (che a Padova ebbe un influente caposcuola nel filosofo Francesco Piccolomini) la propensione del M. per un fine utilitaristico (e non edificante) della poesia, subordinata a una ratio civilis che già Speroni, nel Discorso della retorica, aveva definito ars architettonica delle discipline sermocinali, "reina di tutte le arti" (Trattatisti del Cinquecento, pp. 648 s.). Una valorizzazione del fine politico della poetica, intenzionata a trascendere l'originaria condanna platonica della poesia, di non secondaria fortuna nei percorsi dell'eclettismo filosofico e retorico patavino del secondo Cinquecento, come testimonieranno poi le poetiche di Giason Denores e Faustino Summo. A tale titolo va aggiunto che nel tentativo di spiegazione del problematico funzionamento emozionale o apatico della catarsi, oggetto di accese diatribe fra gli interpreti aristotelici, il M. introduce, con una nota di inaspettato dantismo, la convinzione in apparenza eccentrica, ma nel suo sistema coerente con un'idea di utilità sociale, che essa sia preposta non all'estirpamento di eleos e phobos, ma che proprio attraverso l'esercizio di tali affetti tragici serva a liberare l'animo dai tre vizi capitali dell'ira, dell'avarizia e della lussuria.
Nelle articolate annotationes si intravedono inoltre alcuni dei nuclei concettuali sui cui si concentrò il dibattito retorico dei decenni successivi: dall'idea di un verosimile poetico dipendente dal consenso delle opinioni e dal relativismo dei tempi, di significativo sviluppo proprio nei Discorsi sul romanzo e la tragedia di un Giraldi Cinzio, all'enuclearsi di un inquieto pensiero sui valori di verità e falsità della poesia. Nel De ridiculis infine la minuziosa casistica dei differenti processi del ridiculum e del facetum (esteriori o interiori, del corpo o della mente, della "turpitudo sine dolore cum admiratione"), oltre a costituire un apparato di definizioni per una poetica del comico, si apre a un'interessante fisiologia delle passioni e delle facoltà dell'animo (riso - tristitia - taedium; riso - volontà o ignoranza - conoscenza) di indubbia suggestione.
Fra gli scritti minori del M. si conserva - Modena, Biblioteca Estense universitaria, Est. lat., 174 (alpha O.6.15) - un'orazione alla moda dal titolo Mulierum praeconium (ma anche De mulierum praestantia), recitata, come documentato in testa al manoscritto, nel 1545 "pro Ill. Annae Estensis in eius auditorio adventu larvatae anno 1545" (c. 151r). Dell'operetta diedero notizia già alla fine dell'Ottocento Fontana e nel Novecento Bertoni, ingenerando tuttavia l'equivoco riguardo all'esistenza di due diverse orazioni maggiane sul tema dell'encomium mulierum, destinata l'una al consesso cortigiano estense di Renata di Francia e l'altra, per l'appunto, alla figlia Anna, rimasta manoscritta quest'ultima, la prima invece volgarizzata con il titolo Un brieve trattato dell'eccellentia delle donne (Brescia, D. Turlini, 1545). Ritornando in tempi più recenti sul libello, Fahy ha chiarito l'abbaglio, illustrando come il Brieve trattato non fosse altro che la traduzione italiana del Mulierum praeconium, desunta, secondo l'anonima dedicatoria a "donna Leonora Gonzaga Martinenga", da "copia di una dotta lettione in lode del vostro sesso, scritta dall'acutissimo Sign. Vincentio Maggio, et recitata all'alta presentia della Illustrissima Principessa di Ferrara", ossia Anna d'Este. È assai improbabile che l'intervento di volgarizzamento sia da attribuire al M., e del resto il discorso, invero non perspicuo, dell'estensore (della famiglia bresciana dei Coradelli) della lettera di dedica alla contessa Leonora, sorella della ben più nota Giulia Gonzaga, lascia supporre una sua precisa responsabilità nell'impresa versoria.
L'edizione bresciana Turlini unisce al Brieve trattato un secondo scritto, anonimo, il cui frontespizio recita: Essortatione a gli huomini perché non si lascino superar dalle donne. Si tratta di una breve dissertazione, dedicata a Girolamo Martinengo, marito di Leonora, che si configura quale corollario dell'orazione del M. nel rovesciamento di prospettiva che pungola il sesso forte a ritrovare, di fronte all'eccellenza virtuosa delle donne e al loro progresso intellettuale e civile, l'antica dignità e la supremazia di un tempo. La paternità dell'oratio, che non nasconde tratti ambigui e una strategia argomentativa obliqua per amplificatio, riconducibile al genere della letteratura paradossale cinquecentesca, è stata con fondati argomenti rivendicata da Fahy per Ortensio Lando. Plausibile pare l'ipotesi di una cura dell'edizione bresciana per intero affidata alla sua volontà e sorveglianza, giacché sempre più certa dai documenti affiora la possibilità di una presenza a Brescia di Lando proprio nel 1545, in una rete assai stretta di rapporti con un altro illustre membro della famiglia Maggi, quel Dionigi cui dedicò anni dopo i Sette libri de' cathaloghi (Venezia 1552).
Su base aristotelica e galenica che poneva la distinzione fra i due sessi nella diversa "complessione" fredda o calda dei corpi, il Mulierum praeconium, rovesciando l'esito della diagnosi peripatetica, che individuava nella natura fredda e umida della donna la causa fisiologica della sua inferiorità, intendeva dimostrare come il vantaggio muliebre dell'indole "flegmatica", poco incline agli appetiti, predisponesse le donne a un più virtuoso operare. L'analisi del M., pur fra i tanti loci communes della trattatistica del tempo, riserva nell'approccio naturalistico alla psicologia delle passioni, e dei loro eccessi biliosi o melancolici, anche qualche tratto di pregevole interesse.
Fra le orazioni pronunciate dal M. nel Gymnasio ferrarese, un corpus che non dovette essere esiguo, ma che sfortunatamente è incorso in un vero e proprio naufragio, si conserva nella stampa ferrarese di F. Rossi, del 1557, l'Oratio de cognitionis praestantia, che il frontespizio asserisce recitata come prolusione al corso accademico di filosofia naturale presso lo Studio. La prelezione, che discute sui processi della gnoseologia aristotelica per tessere le lodi dell'umana cognitio, si rivela un testimone prezioso degli indirizzi di scuola e di metodo coltivati dal M., utile anche a sfatare, o perlomeno a ridimensionare, la lettura distratta trasmessa dalla vulgata critica otto-novecentesca del pius Madius corifeo della Controriforma. Dopo una tradizionale premessa sulla disparità delle opinioni che animano il consesso filosofico e la descrizione del procedimento noetico, l'orazione entra nel vivo dell'argomento che più stava a cuore al M.: il rapporto fra conoscenza e felicità, che con un'elegante e topica immagine metaforica designa come una navigazione perigliosa. L'idea di una felicità propria dell'uomo, quasi sorta di beatitudo che lo assimila a Dio, coincidente con la conoscenza, sommo bene, comprensiva di virtù, scienza e contemplazione, è tesi propria della tradizione averroista. Il M. la riprende distinguendo fra una voluptas sensuum, componente biologica comune a tutti i viventi, e una vera e propria felicità mentale, peculiare della sola natura razionale umana. Tuttavia, pur nel ricupero dell'argomento forte della psicologia e della fisica averroiste, nell'identificazione sinonimica di felicità e sommo bene, il M. ne adombra i presupposti gnoseologici, ricusando il postulato delle sostanze separate e l'esito metafisico alternativo all'ortodossia cristiana, difendendo l'unità dell'intelletto con un ritorno nel seno delle argomentazioni tomistiche Contra averroistas e Contra gentiles (III, XXIV).
A testimonianza dell'impegno civile del M. si conserva (fra le carte manoscritte dell'Arch. di Stato di Modena, Casa e Stato, b. 502/23, n. 881) una oratio composta secondo la consuetudine cancelleresca degli avvertimenti al principe, dal titolo Consilia philosophica Vincentii Madii et Jo. Bap. Pignae in favorem serenissimi Ferrariae ducis in ea praecedentia. Parte di un ampio faldone di testi che discutono, sfoggiando diverse competenze - teologiche, filosofiche e giuridiche -, una questione politico-feudale che ebbe ampia risonanza nella cultura civile ferrarese, quella sul diritto di precedenza fra i due duchi, di Ferrara e di Firenze, il Consilium del M., pur nell'inevitabile obbligo di servizio, argomenta con presupposti storico-giuridici sulla maggiore autorità del Principato estense, in ragione della stabilità dell'imperium e della consuetudine degli istituti e delle leggi rispetto alle incerte sorti e alla preoccupante instabilità degli ordini di cui aveva dato prova il governo fiorentino, fra Repubblica e Principato.
Delle opere del M. esistono edizioni moderne solo del De ridiculis, in Trattati di retorica e poetica, a cura di B. Weinberg, III, Roma-Bari 1974 e un'edizione anastatica del De poetica, München 1969. Manoscritti: Firenze, Biblioteca Riccardiana, Mss., inv. 19, n. 756: Lectiones philosophicae; Milano, Biblioteca Ambrosiana, Mss., D.494: Expositio in libros de Coelo et Mundo; G.69, R.114: Expositio de Coelo, de anima; P.71: Quaestio de visione; Piacenza, Biblioteca Passerini-Landi, Pollastrelli, 98: Espositio super primo Coelo.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Modena, Archivio per materie, Letterati, b. 32 (lettere del M. a Ercole II, 16 sett. 1543 - 17 ag. 1561); Ferrara, Biblioteca comunale Ariostea, cl. I, n. 280: Matricola dei sign. Academici Filareti; G.B. Pigna, Carminum lib. quatuor his adiunximus Caelii Calcagnini Carminum l. III, Venetiis 1553; A. Lollio, Due orationi l'una in laude della lingua toscana, l'altra in laude della concordia, Venezia 1555, passim; B. Varchi, Dialogo intitolato l'Hercolano, Firenze 1570, pp. 273 s.; B. Ricci, Operum tomus secundus continens epistolas ad Atestios principes, Patavii 1748, pp. 47 s.; H. Bullinger, Korrespondenz mit den Graubündern, a cura di H. von Traugott Schiess, III, Basel 1906, nn. 211, 212, 291; Erasmo da Rotterdam, Opus epistolarum, a cura di P.S. Allen, VIII, Oxford 1930, p. 175; S. Speroni, Dialogo della retorica, in Trattatisti del Cinquecento, a cura di M. Pozzi, Milano-Napoli 1978, ad ind.; P. Guerrini, Due amici bresciani di Erasmo, in Id., Opera omnia. Note storico-letterarie, a cura di A. Fappani - F. Richiedei, Brescia 1986, pp. 72-80; G. Guarini, Ad Ferrarriensis Gymnasii historiam Supplementum et animadversiones, II, Bononiae 1741, pp. 49 s.; G. Facciolati, Fasti Gymnasii Patavini, Patavii 1757, pp. 279, 283; G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, VII, Venezia 1796, pp. 1406-1408; A.F. Pavanello, L'Accademia dei Filareti e il suo statuto. Appunti per la storia delle accademie ferraresi, in Atti e memorie della Deputazione ferrarese di storia patria, X (1898), pp. 335-366; B. Fontana, Renata di Francia, duchessa di Ferrara, Roma 1899, p. XXX; U. Da Como, Umanisti del secolo XVI: Pier Francesco Zini suoi amici e congiunti nei ricordi di Lonato, Bologna 1928, pp. 27-38; G. Toffanin, Il Cinquecento, Milano 1929, pp. 476-485; G. Bertoni, Nota su V. M., in Giorn. stor. della letteratura italiana, XCVI (1930), pp. 325-327; F.C. Church, I riformatori italiani, Firenze 1933, pp. 315-395; C. Fahy, Un trattato di V. M. sulle donne e un'opera sconosciuta di Ortensio Lando, in Giorn. stor. della letteratura italiana, CXXXVIII (1961), pp. 254-272; B. Weinberg, A history of literary criticism in the Italian Renaissance, I, Chicago 1961, pp. 373-383, 406-418; F. Bruni, Sperone Speroni e l'Accademia degli Infiammati, in Filologia e letteratura, XIII (1968), pp. 24-71; F. Musarra, Poesia e società in alcuni commentari cinquecenteschi della Poetica di Aristotele (F. Robortello, V. M., L. Castelvetro, A. Piccolomini), in Il Contesto, III (1977), pp. 33-75; C. Vasoli, La logica, in Storia della cultura veneta, 3, I, Vicenza 1980, pp. 60-65; P.B. Diffley, Paolo Beni's commentary on the "Poetics" and its relationship to the commentaries of Robortelli, M., Vettori and Castelvetro, in Studi secenteschi, XXV (1984), pp. 53-99; A.-J.-E. Harmsen, La théorie du ridicule chez Madius et le classicisme néerlandais, in Acta Conventus neolatini Bononiensis, Binghamton, NY, 1985, pp. 491-499; S. Seidel Menchi, Erasmo in Italia 1520-1580, Torino 1987, pp. 95 s.; E. Travi, Cultura e spiritualità nelle "accademie" bresciane del '500, in Veronica Gambara e la poesia del suo tempo nell'Italia settentrionale. Atti del Convegno, Brescia-Correggio, 1985, Firenze 1989, pp. 193-212; E. Bisanti, V. M. interprete "tridentino" della Poetica di Aristotele, Brescia 1991; P.C. Rivoltella, La scena della sofferenza. Il problema della catarsi tragica nelle teorie drammaturgiche del Cinquecento italiano, in Comunicazioni sociali, XV (1993), pp. 101-155; E. Selmi, Emilio degli Emili (1480-1531), primo traduttore in volgare dell'"Enchiridion militis christiani", in Erasmo, Venezia e la cultura padana nel '500, a cura di A. Olivieri, Rovigo 1995, pp. 167-191.