MASSARI, Vincenzo
– Nacque a Ferrara il 29 genn. 1759 da Giovanni Battista e da Vittoria Casoni.
Inserito precocemente dal padre e dallo zio Antonio nella prospera ditta-banco «Francesco Massari», divenne ben presto l’esponente più in vista di quella borghesia, in gran parte membri della comunità ebraica, che dominava gli ambienti finanziari della Legazione; intorno a lui e alla sua famiglia si era formato un ceto produttivo, reso prospero in particolare dal commercio assicurato dalla posizione al confine settentrionale della Legazione attraverso il porto di Pontelagoscuro sul Po.
L’ascesa di questa borghesia dinamica, in relazione d’affari con tutti gli Stati italiani e con diversi Paesi europei, era stata aiutata dall’azione riformistica svolta nella sua lunga legazione dal card. F. Carafa in stretto raccordo con il cardinale G.M. Riminaldi, ferrarese e autorevole esponente della Curia romana, e dall’intesa con la parte più avanzata dell’aristocrazia intellettuale ferrarese, soprattutto rappresentata dalle famiglie dei marchesi Zavaglia e dei conti Masi e Cicognara. L’affievolirsi del riformismo pontificio rinforzò il predominio dei ceti privilegiati ferraresi che, capeggiati dal marchese Bevilacqua, resistevano vittoriosamente ai tentativi di limitazione degli estesissimi privilegi e di riforma fiscale di Pio VI.
La conquista francese di Ferrara, il 21 giugno 1796, permise al partito capeggiato dai Massari, già da tempo definito dei «novatori», di avere il sopravvento. Il compito più difficile da affrontare per il M. fu quello di soddisfare le richieste di forniture militari, di derrate e soprattutto l’enorme contribuzione in denaro e beni per circa 3 milioni di lire che i Francesi avanzarono brutalmente. Con il peso di una contribuzione eccessiva, in proporzione ben maggiore di quella di Bologna, e nella totale incertezza sul futuro del territorio, quando il Senato bolognese inviò a Parigi una deputazione per trattare con il Direttorio, il 2 luglio 1796, la Municipalità ferrarese, i cui interessi confliggevano con quelli bolognesi, fece altrettanto, nominando deputati per la missione diplomatica a Parigi il M. e il conte A. Guiccioli. Rimasto solo dopo il rimpatrio di questo, con il quale la convivenza era risultata problematica, il M. si trovò così a operare nella capitale francese a contatto con le deputazioni di varie città e Stati italiani ed europei e in costante relazione con ministri ed esponenti del Direttorio, benevolmente orientati anche grazie a un accreditamento ottenuto dal generale Napoleone Bonaparte prima della partenza da Ferrara.
Il mandato della Municipalità era di mantenere l’intangibilità del territorio, la libertà e l’indipendenza sotto protezione francese, oppure, se le trattative con le potenze avessero di nuovo assegnato Ferrara allo Stato pontificio, un governo autonomo con il versamento di un tributo annuo al papa. Inoltre ai deputati ferraresi si raccomandava di controllare le mosse della deputazione bolognese, viste le mire espansioniste di Bologna verso Cento e la Bassa Romagna. Era quindi preferibile per Ferrara far parte di una repubblica la più vasta possibile, in modo da escludere l’unione con Bologna alla quale non voleva essere soggetta.
Il Direttorio si mostrò elusivo, non avendo ancora un piano preciso per l’Italia, e anzi il presidente P. de Barras, con cui il M. aveva frequenti contatti, dava suggerimenti contraddittori, esortando Ferrara a darsi una costituzione alla guisa di Bologna, il che rappresentava il maggior ostacolo alla formazione della Repubblica Cispadana. D’altronde, l’operato del M., il quale cercava, attraverso Barras, di indurre il Direttorio a intervenire su Bonaparte secondo le intenzioni del governo provvisorio ferrarese, non poteva sperare in grandi risultati; infatti Bonaparte, grazie ai suoi successi militari, si era reso sempre più autonomo da Parigi.
A saldare la prospettiva di unione fra Cispadani e Cisalpini contribuì molto la stretta amicizia con il lombardo G.G. Serbelloni, tanto che il M., dapprima orientato verso una confederazione tra le due repubbliche, divenne poi sostenitore di una repubblica italiana «una ed indivisibile». Il 18 maggio 1797, quando il destino delle repubbliche italiane stava per compiersi, alla grande festa civica nel teatro Odéon, gremito da autorità e 700 persone, il M. parlò per i deputati italiani presenti «au nom de notre République» fra gli applausi.
Il panico che nei giorni successivi sconvolse i suoi concittadini al delinearsi di una Repubblica Cisalpina senza Bologna e Ferrara, unite in una asfittica repubblica che avrebbe resa vana tutta la strategia politica ferrarese, non lo avvilì. Sempre fidente in Bonaparte, per opporsi all’evenienza presentò una memoria al ministro degli Esteri francese, che la inviò al generale. Infine concordò memorie unioniste con i Milanesi, cui i Bolognesi si rifiutarono di aderire, e inviò una lettera personale a Bonaparte. Questi, ormai convinto che la Repubblica Cispadana sarebbe stata facile preda dei reazionari pontifici, decise quindi l’annessione di Bologna e Ferrara alla Cisalpina.
Ritornato a Ferrara nell’agosto 1797, dopo tredici mesi di missione, fu nominato da Bonaparte membro del Consiglio degli Juniori della Repubblica Cisalpina per il Dipartimento del Basso Po; nel Consiglio svolse una intensa attività nella commissione Finanze.
Dopo la ricostituzione della Cisalpina, per le pressioni del cugino Luigi, che da Milano spronava tutti i deputati ferraresi a presentarsi, partecipò nel gennaio 1802 ai Comizi nazionali di Lione che portarono alla costituzione della Repubblica Italiana. Durante il Regno d’Italia fu presidente del tribunale di Commercio di Ferrara e divenne cavaliere della Corona Ferrea.
Scomparso il padre nel 1810, dopo la morte del cugino Luigi (1816) il M., d’intesa con lo zio Antonio, sciolse la ditta-banco che aveva originato la fortuna della famiglia. Gli acquisti di beni nazionali avevano trasformato gli uomini nuovi della finanza e del commercio in proprietari terrieri che vivevano della rendita fondiaria.
Sotto il restaurato governo pontificio nel 1815 la polizia lo segnalava tra i murattiani e durante l’effimera rivoluzione del 1831 accettò di entrare nel governo provvisorio. Segni questi che le antiche simpatie democratiche non erano del tutto spente.
Il M. morì a Ferrara il 6 maggio 1832.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Ferrara, Archivio Massari, Patrimoniale, Serie II, bb. 8b-c; C. Zaghi, La Repubblica Cispadana e il Direttorio francese. La missione dei cittadini Guiccioli e M. a Parigi, in Nuovi Problemi, V (1934), pp. 381-412; ibid., VI (1935), pp. 514-593; A. Guiccioli, I Guiccioli (1796-1848). Memorie di una famiglia patrizia, a cura di A. Alberti, I, Bologna 1934, pp. 5 s.; I Comizi nazionali in Lione per la costituzione della Repubblica Italiana, a cura di U. Da Como, III, 2, Notizie biografiche dei deputati, Bologna 1940, p. 81; R. Belvederi, La deputazione ferrarese a Parigi presso il Direttorio (1796-1797), in Nuova Riv. storica, XXXIV (1950), 6, pp. 412-437; A. Frumento, Il Regno d’Italia napoleonico. Siderurgia, combustibili, armamenti ed economia 1805-1814, Milano 1991, ad ind.; V. Sani, La rivoluzione senza rivoluzione, Milano 2001, ad ind.; C. Sandri, Ferrara in rivoluzione: il carteggio della deputazione Guiccioli - Massari presso il Direttorio della Repubblica francese (1796-1797), tesi di laurea, Università degli studi di Ferrara, facoltà di lettere e filosofia, a.a. 2001-02.