MASSI, Vincenzo.
– Nacque il 22 luglio 1781 da Filippo e da Marta Marcantoni in una famiglia non agiata di Sant’Elpidio a Mare, nell’Ascolano.
Compiuti i primi studi nel paese di origine, li proseguì a Fermo e poi nel collegio Nazareno di Roma conseguendo un’ampia formazione culturale, coronata il 28 sett. 1816 con la laurea in utroque iure alla Sapienza. Frattanto, il 23 giugno 1805, era stato ordinato sacerdote e quindi inviato come rettore al seminario di Ripatransone, dove fu anche docente di retorica, filosofia e matematica.
Le sue qualità non tardarono a porlo all’attenzione, prima del vescovo locale B. Bacher, che lo volle suo collaboratore come vicario generale, e poi di monsignor M. Ancaiani, vescovo di Gubbio, che gli conferì il medesimo incarico. Di animo sensibile e generoso, di intensa religiosità e di carattere equilibrato, negli oltre sei anni trascorsi come vicario generale della diocesi (1815-21), il M. gestì con prudenza la fase della Restaurazione intervenendo sugli scompensi seguiti alla dominazione francese: in un necrologio G. Pecci gli avrebbe dato atto di aver saputo comporre «le cose più ardue» operando «a sollievo degli oppressi, a conciliatore de’ dissidenti, a vindice della giustizia, a punitore della immoralità» (p. 7).
Soddisfatto della sede e del ruolo, nel settembre del 1818 rifiutò la proposta del cardinale Francesco Saverio Castiglioni, futuro papa Pio VIII, di diventare suo vicario generale a Cesena; analoga rinunzia oppose, nel successivo novembre, a Pio VII che lo aveva sollecitato a reggere, in qualità di vicario generale e di vescovo in partibus, l’arcidiocesi di Urbino. Il suo zelo e la sua dedizione piacquero agli abitanti di Gubbio che non solo gli conferirono la cittadinanza onoraria e il titolo di patrizio, ma, quando monsignor M. Ancaiani fu nominato arcivescovo di Spoleto, si attivarono presso alcuni influenti cardinali e il segretario di Stato Ercole Consalvi affinché la scelta per il successore ricadesse su di lui.
Finalmente il 27 giugno 1821 il M. fu nominato da Pio VII vescovo di Gubbio e il 1° luglio ricevette l’ordinazione a Roma dal cardinale Giulio Maria della Somaglia.
Nel suo lungo magistero si adoperò con zelo sia nel campo pastorale sia in quello sociale: aiutato da autorevoli cittadini come D. Petrini e D. Tondi, fondò nel 1822 un orfanotrofio maschile per fanciulli poveri e abbandonati; favorì la formazione culturale dei giovani permettendo ai ragazzi più dotati di famiglia disagiata di proseguire gratuitamente gli studi nel seminario locale; intervenne con frequenti sussidi a sostegno dei più bisognosi. Si dedicò, inoltre, con grande impegno all’amministrazione della giustizia nel tribunale vescovile: in genere venne apprezzato, ma non mancò qualche malcontento.
In due occasioni il M. manifestò con vigore il suo legittimismo: nel febbraio del 1829, quando fece trasferire il governatore di Gubbio P. Basvecchi (già oggetto delle sue lamentele) perché aveva permesso i pubblici spettacoli alla morte di Leone XII, e durante la rivoluzione del 1831, prodigandosi in difesa della legalità e dell’ordine pubblico. Così, il 3 giugno 1831 sollecitò, a nome delle autorità locali, «una forza discreta di Dragoni a cavallo, e di Bersaglieri» per tenere a freno una minoranza di circa cinquanta individui, più animati da «sfrenato libertinaggio che da politico liberalismo» (Arch. segr. Vaticano, Segreteria di Stato, Interni, rubr. 165, a. 1831, b. 830).
Successivamente il M. lasciò cadere altre opportunità, tra le quali la proposta di Gregorio XVI di diventare segretario della congregazione dei Vescovi e regolari che conduceva generalmente alla porpora. Per spirito di ubbidienza, tuttavia, dovette adeguarsi quando il papa nel settembre del 1839 gli comunicò l’incarico di nunzio apostolico a Torino e il 22 novembre lo nominò arcivescovo di Tessalonica in partibus.
Si trattava di un incarico non certo facile per un prelato del tutto privo di esperienza diplomatica, tanto più che con lui la nunziatura di Torino veniva ripristinata dopo ben ottantasei anni, mentre intanto, nei precedenti decenni, si erano diffuse nelle università, nella magistratura, e in parte anche nel clero, idee ispirate al gallicanismo e al giurisdizionalismo.
Probabilmente il papa e il segretario di Stato, cardinale Luigi Lambruschini, oltre che sulle notevoli capacità del M., contavano molto anche sulla sua docilità alle loro direttive. Comunque, nonostante l’iniziale timore di alcuni vescovi che il ritorno della nunziatura rappresentasse una riduzione della loro autonomia, l’arrivo a Torino del nunzio il 17 dic. 1839 fu accolto in genere con soddisfazione, specialmente da parte del ministro degli Esteri C. Solaro della Margarita, che si era assai adoperato per il ripristino della nunziatura, e di re Carlo Alberto, che si riprometteva di avere un più diretto interlocutore tanto nelle questioni ecclesiastiche interne quanto nei rapporti con la S. Sede. Da parte sua il M. entrò subito in piena sintonia con la concezione conservatrice del Solaro e fin dalle prime udienze trasse la convinzione che, agendo con avvedutezza sulla religiosità e sulla psicologia del sovrano, si potesse giungere ad annullare le violazioni dei concordati con Roma operate dai tribunali laici ai danni della Chiesa.
Nonostante lo zelo e l’impegno profusi, il risultato fu inferiore alle attese del M. e del governo sardo a causa sia della eccessiva circospezione dimostrata dalla S. Sede nell’attribuirgli adeguate facoltà sia nella lentezza delle risposte romane alle aperture del re di Sardegna. Emblematico, per esempio, fu il lungo silenzio sulla proposta di Carlo Alberto di abolire in Sardegna le decime dovute dal popolo al clero, sostituendole con un più vantaggioso compenso proveniente dai beni feudali. Ma quando il M. nel dispaccio del 12 ag. 1840, dopo aver presentato una proposta del re sulle dispense matrimoniali, dichiarò francamente di non vedersi «bastantemente sovvenuto dalla Segreteria di Stato» e che tutto gli pareva procedesse «a rilento», ricevette il 29 agosto una risposta di Lambruschini così dura da indurre questo a disporre che ambedue le lettere non fossero conservate nell’archivio della nunziatura. Al M. non restò che replicare il 5 settembre con una nota di piena sottomissione e di amara dignità, fino a dichiararsi disponibile per un ritorno a Gubbio (Arch. segr. Vaticano, Segreteria di Stato, Esteri, rubr. 257, a. 1840, b. 515, c. 5).
Nei mesi successivi il M. affrontò con equilibrio la delicata questione dell’immunità personale del clero, sollevata con impeto dall’arcivescovo di Torino L. Fransoni, in seguito a un clamoroso fatto di cronaca che vedeva coinvolto un sacerdote, e il cui sviluppo condurrà poi alla convenzione del 27 marzo 1841.
Intanto, però, dal luglio in poi, i disturbi epatici e renali di cui soffriva da tempo si aggravarono fino a condurlo alla morte, avvenuta a Torino il 10 genn. 1841.
Dopo l’autopsia, che dissipò anche la voce di un possibile avvelenamento, il 13 gennaio fu celebrato il funerale nella cattedrale, dove seguì il 13 febbraio, nella ricorrenza del trigesimo, una solenne onoranza funebre a spese dell’arcivescovo Fransoni che nella sua orazione volle ribadire il favore dei vescovi piemontesi per la nunziatura e la loro fedeltà a Roma. Per volontà testamentaria la salma fu trasportata a Gubbio, dove il 22 gennaio ricevette un altro tributo di affetto popolare e il 14 genn. 1843 fu trasferita solennemente nella chiesa di S. Ubaldo. Qui il nuovo vescovo G. Pecci, grande amico e vicario generale del M., ne rievocò con eloquenza la figura.
Fonti e Bibl.: Arch. segr. Vaticano, Dataria apostolica, Processus Datariae, a. 1821, vol. 185, cc. 84-95; Segreteria di Stato, rubr. 3, a. 1820, f. 1, cc. 120, 124; a. 1821, f. 1, cc. 100-104; ibid., Interni, rubr. 84, a. 1827, b. 664; rubr. 165, a. 1831, bb. 823, 830; ibid., Esteri, rubr. 257, aa. 1839-42, b. 515 (la busta contiene la maggior parte delle carte della nunziatura del M. a Torino); rubr. 253, a. 1840, b. 481, f. 3. Nella Biblioteca nazionale di Roma sono conservate tre brevi lettere del M. al cardinale Placido Zurla (Fondo S. Gregorio, 90, nn. 23, 56, 338) e due all’avv. G. Grazioli (Lettere autografe, A. 203, nn. 76, 77). Diario di Roma, 1816, n. 79; 1839, n. 91; 1841, nn. 6, 16; Quando papa Gregorio XVI… eleggeva ad apostolico nunzio… mons. V. M. [cantica in terzine, Gubbio 1839]; G. Pecci, Elogio funebre di mons. V. M.…, Cagli 1843; A. Chigi, Diario… dall’anno 1830 al 1855, Tolentino 1906, I, p. 149; C. Solaro della Margarita, Memorandum storico-politico, Torino 1930, pp. 121, 124, 157, 161, 169; L. Giampaoli, S. Ubaldo… memoria storica…, Rocca San Casciano 1885, pp. 213 s.; O. Lucarelli, Memorie e guida storica di Gubbio, Città di Castello 1888, pp. 127, 142, 205; U. Pesci, I vescovi di Gubbio, Perugia 1918, pp. 135-138; L. Madaro, Solaro della Margarita e il ristabilimento della nunziatura a Torino nel 1839, in Il Risorgimento italiano, XXIII (1930), pp. 520 s.; V. Naymiller, Un episodio della politica ecclesiastica di Carlo Alberto, ibid., XXIV (1931), pp. 425 s., 428 s.; E. Piglione, Contributo alla storia delle relazioni tra Piemonte e S. Sede 1835-1846, ibid., XXV (1932), pp. 341-343, 345-347; N. Nada, La missione Broglia a Roma e le trattative per il ristabilimento della nunziatura a Torino (1837-1839), in Boll. storico-bibliogr. subalpino, XLVIII (1950), pp. 136 s.; Id., Dallo Stato assoluto allo Stato costituzionale. Storia del Regno di Carlo Alberto (dal 1831 al 1848), Torino s.d. [ma 1973], pp. 165 s.; Ph. Boutry, Souverain et pontife: recherches prosopographiques sur la Curie romaine à l’âge de la Restauration (1814-1846), Rome 2002, p. 589; G. De Marchi, Le nunziature apostoliche dal 1800 al 1956, Città del Vaticano 2006, p. 253; G. Moroni, Diz. d’erudizione storico-ecclesiastica, Indice generale, IV, ad nomen; Hierarchia catholica…, VII, pp. 189, 367.