MEI, Vincenzo
– Nacque a Lucca, dove fu battezzato il 26 nov. 1502, da Biagio di Onofrio e da Andraga di Lorenzo Dati.
Tra le più ragguardevoli della città, la famiglia Mei faceva parte di quella ristretta cerchia di ventiquattro casati che dall’inizio del secolo controllavano di fatto le magistrature cittadine. Il padre, mercante a Lione e autorevole rappresentante della classe dirigente, era stato inviato come ambasciatore della Repubblica presso Carlo V (1529) e poi a Roma, Venezia e Trento; tra il 1525 e il 1540 aveva anche ricoperto quattro volte la carica di gonfaloniere (1525, 1530, 1534 e 1540). Socio principale di una grande compagnia commerciale, cui partecipava anche il M., Biagio aveva interessi in diverse piazze europee e legami d’affari con imprenditori non solo lucchesi.
Nel 1546 il M., le cui attività imprenditoriali sono meno note rispetto a quelle del padre, sposò Felice, figlia di Martino Bernardini, che gli portò in dote 1750 scudi e corredi per ulteriori 250 scudi. Già a partire dall’anno successivo, però, le condizioni economiche del M. erano peggiorate e nel 1552 dichiarò fallimento, nel quale furono coinvolti alcuni mercanti genovesi residenti a Lione. Forse anche per queste ragioni la sua partecipazione alle cariche pubbliche fu scarsa; in particolare ricoprì l’anzianato nel bimestre settembre-ottobre 1547. Dopo l’Avvento del 1552, il M., turbato per i torti procurati ai propri creditori e desideroso di porvi riparo, si rivolse al carmelitano Claudio Sicco da Caravaggio, detto fra’ Claudio milanese, che aveva udito predicare nella chiesa di S. Pier Cigoli, del cui convento il religioso era allora priore.
Lì la famiglia Mei aveva le proprie sepolture e deteneva il giuspatronato della cappella del Ss. Sacramento, per la quale Biagio aveva commissionato a Giorgio Vasari una tavola raffigurante l’Annunciazione.
Durante l’assenza da Lucca del carmelitano, durata circa un anno, il M. maturò la crisi religiosa che lo avrebbe condotto ad aderire alla Riforma. Nel 1554 infatti, in un colloquio sulla Sacra Scrittura, il M. confidò a fra’ Claudio di non credere alla presenza reale di Cristo nel sacramento dell’eucarestia, di ritenere la messa e la confessione secondo l’uso romano veri e propri abusi, inutili per la salvezza dell’uomo, la quale, a suo avviso, dipendeva solo dal beneficio della morte di Cristo. Persuaso inoltre che Maria avesse avuto altri figli dopo Gesù, il M. dichiarò al frate che, nella sua conversione, aveva giocato un ruolo decisivo Rinaldino, un soldato di Verona, che era molto attivo nella propaganda religiosa di stampo riformato nella società lucchese. I tentativi messi in atto dal carmelitano per riportare il M. sulla via dell’ortodossia romana si rivelarono vani; a novembre del 1555, i loro rapporti risultavano interrotti da più di un anno, tuttavia il frate non denunciò il M. alle autorità ecclesiastiche. Per non dover praticare i sacramenti, il M. scelse di risiedere, insieme con la famiglia, fuori città, in una villa nella località di Pozzuolo, il cui utile dominio risulta essere stato venduto dal M. alla moglie nel 1554.
Intensificatasi la persecuzione contro il dissenso religioso con l’ascesa al soglio pontificio di Paolo IV (1555) e incrinatosi il precario equilibrio interno alla Repubblica lucchese, cominciò da Lucca, tra il 1555 e il 1556, un movimento migratorio per motivi religiosi diretto, prevalentemente, verso Ginevra. Il M. fece parte del primo gruppo, che abbandonò la città nell’autunno del 1555: ne facevano parte esponenti delle famiglie più in vista (Balbani, Cattani, Trenta, Liena, Cenami, Arnolfini, Calandrini). Portò con sé la famiglia e una domestica, lasciando affidato alle cure del suocero Martino l’ultimo nato, Emilio, di soli tre mesi.
Solo il 4 e 5 giugno 1556 il vescovo di Lucca Alessandro Guidiccioni intimò a nove illustri cittadini lucchesi, fra i quali il M., di presentarsi davanti al tribunale vescovile per discolparsi dell’accusa di eresia. Il M., però, aveva nel frattempo trovato riparo a Ginevra, dove risulta già nel novembre 1555. Prima e durante la fuga, grazie alla complicità di due correligionari, il notaio Landuccio Landucci e il giurista Nicolao Liena, aveva venduto i propri beni, a copertura dei numerosi debiti contratti verso familiari e creditori, ed era riuscito a recuperare i 2000 scudi di dote della moglie. Definitivamente bandito da Lucca il 27 sett. 1558, gli venne confiscato il palazzo di città il 20 ottobre successivo per conto dell’Offizio sopra i beni degli eretici.
Il 10 dicembre dello stesso anno, Tommaso e Lorenzo, suoi fratelli, specificarono al medesimo Offizio quali fossero le pertinenze dell’edificio confiscato e nel 1568 ottennero il rilascio dei beni sequestrati, avendo potuto dimostrare i diritti propri e quelli della loro madre sull’edificio.
Il M. fu eletto diacono della Chiesa italiana di Ginevra il 6 marzo 1558 e il 22 ag. 1560 ottenne la borghesia ginevrina per sé e i suoi figli. A Ginevra il M. si dedicò alla mercatura e all’arte della seta; dal testamento, rogato il 14 marzo 1562 a Ginevra, presso il notaio François Panissod, risultava possedere case e negozi a Ginevra e a Lione. Il 29 ag. 1567 scrisse da Lione ai fratelli Tommaso e Lorenzo per cercare con loro una riconciliazione, ma Tommaso preferì consegnare la lettera alla competente magistratura lucchese, l’Offizio sopra la religione.
Da Felice il M. aveva avuto tre figli maschi, nati a Lucca: Ottaviano, Orazio ed Emilio. Ebbe inoltre, come sembra, un figlio naturale, Cesare, bandito da Lucca religionis causa il 28 febbr. 1570, del quale non si hanno altre notizie. Cinque femmine gli nacquero successivamente a Ginevra: Maria, nata prima del 1562, maritata nel 1572 con Carlo di Michele Diodati; Olimpia, che il 28 apr. 1590 sposò il nobile cremonese Evangelista Offredi, borghese di Ginevra, e che, rimasta vedova nel 1595, si rimaritò l’anno successivo con il nobile napoletano Marco Antonio Lombardo; Virginia, menzionata dal fratello Ottaviano in una lettera del 7 luglio 1567; Elisabetta, morta nubile tra il 1590 e il 1595; Susanna, nominata nel testamento di Elisabetta Cenami (1590), vedova di Antonio Bartolomei. Emilio, battezzato il 5 giugno 1555, rimasto a balia a Lucca, crebbe con il nonno materno Martino Bernardini, che ricostituì al nipote un patrimonio di circa 6000 scudi. Riammesso a godere degli onori cittadini, dopo il buon esito di una supplica rivolta ai cardinali dell’Inquisizione nel 1579, ricoprì da allora più volte la carica di anziano, abitò a Messina, fu cavaliere di Malta e segretario del cardinale Francesco Sforza di Santa Fiora: non contrasse matrimonio, lasciò i propri beni a una cappella da erigersi come giuspatronato della famiglia nella chiesa di S. Maria dei Miracoli a Lucca e morì il 7 sett. 1625. Orazio fu invece a Ginevra un mercante intraprendente e innovativo nelle tecniche dell’arte della seta, che, dopo un periodo di apprendistato presso le compagnie Diodati e Balbani e con Francesco Turrettini, esercitò a Séchéron, località soggetta alla giurisdizione ginevrina, nelle quali la famiglia possedeva case e terre. Incorse più volte nelle sanzioni del governo di Ginevra. Dopo successivi trasferimenti a Noyon e Coppet, di lui non si hanno più notizie dal 1594. Ottaviano, dedicatosi agli studi, svolse un ruolo di primo piano nelle questioni religiose; fu pastore della chiesa di Chiavenna.
Non si conosce l’anno della morte del M.; nella supplica indirizzata nel 1579 dal figlio Emilio ai cardinali dell’Inquisizione lo si menzionava come già scomparso.
La moglie gli sopravvisse a lungo e fece testamento a Ginevra presso il notaio Estienne de Monthoux il 17 apr. 1595.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Lucca, Anziani al tempo della libertà, 766, cc. 500-501; Mss., 1120: G.V. Baroni, Notizie genealogiche delle famiglie lucchesi, pp. 77 s., 80, 94, 101, 116; V. Burlamacchi, Libro di ricordi degnissimi delle nostre famiglie, a cura di S. Adorni Braccesi, Roma 1993, pp. 218, 269, 278; A. Pascal, Da Lucca a Ginevra. Studi sulla emigrazione religiosa lucchese a Ginevra, Pinerolo 1935, pp. 30, 42, 46, 51, 53, 56, 62, 151, 160, 166-173, 219-221; G. Tommasi, Sommario della storia di Lucca, Bologna 1975, pp. 1-240 (Documenti), 226 s., 450; S. Adorni Braccesi, I palazzi degli eretici, in I palazzi dei mercanti nella libera Lucca del ’500. Immagine di una città-Stato al tempo dei Medici (catal.), a cura di I. Belli Barsali, Lucca 1980, p. 464; L. Mottu-Weber, Economie et refuge à Genève au siècle de la Réforme. La draperie et la soierie (1540-1630), Genève 1988, pp. 260-263; S. Adorni Braccesi, Le «Nazioni» lucchesi nell’Europa della Riforma, in Critica storica, XXVIII (1991), pp. 363-426 (in particolare pp. 380, 389, 393, 422 s., 425); Id., «Una città infetta». La Repubblica di Lucca nella crisi religiosa del Cinquecento, Firenze 1994, pp. 149, 151, 270, 283-287, 301, 341 s., 370, 378; M. Berengo, Nobili e mercanti nella Lucca del Cinquecento, Torino 1999, pp. 48 s., 124 s., 285, 442 s.; E. Fiume, Scipione Lentolo (1525-1599).«Quotidie laborans evengelii causa», Torino 2003, pp. 188, 214, 220, 227.
S. Adorni Braccesi