MILIONE, Vincenzo
MILIONE (Milioni, Miglioni), Vincenzo. – Nacque forse a Castrovillari, nel Cosentino (Lobstein), attorno al 1732 da Nicola di Domenico, pittore, e da Anna Santamaria. Risulta presente a Roma sin dal 1755, con il genitore ormai vedovo (Sperindei). Allievo del padre, con lui visse fino al 1756 in una piccola casa della parrocchia di S. Nicola dei Cesarini, dove Nicola, che morì nel 1762, teneva bottega. Sempre con il padre – nato verso il 1691, e di cui non si conosce alcuna opera – e con la moglie Margherita Rinaldi, sposata nel 1757, il M. risiedette nella stessa parrocchia, ma in una più ampia abitazione, sino al 1759. L’anno successivo aprì una sua bottega nella stessa zona, in una casa di proprietà dei Sinibaldi. Nella casa-bottega di «quadraro» al Sudario, il M. visse, con la moglie e le figlie Anna Maria e Clementina, fino al 1778.
Prima dell’arrivo a Roma, nel 1773, del principe e arcade Luigi Gonzaga di Castiglione, che secondo Fabi Montani fu suo protettore, il M. aveva già realizzato un significativo numero di dipinti destinati a decorare le case di privati cittadini o gli altari di chiese romane e straniere, come provano le date e le firme, spesso seguite dalla dizione «pittore al Sudario», che compaiono sulla gran parte delle sue opere. Firmato e datato 1756 è il ritratto dell’arcade ferrarese Appiano Buonafede (Forlì, Direzione generale azienda sanitaria). Al 1762 risalgono, invece, sia l’effige del cardinale Innico Caracciolo jr. (Roma, S. Spirito in Sassia, palazzo del Commendatore) sia l’ovale raffigurante i Ss. Francesco Saverio e Ignazio di Loyola (Guidonia, chiesa di S. Giovanni Evangelista). Del 1763 è invece il ritratto postumo del potente cardinale Silvio Valenti Gonzaga (Roma, Museo di Roma), mentre del 1767 è la pala con S. Antonio da Padova che adora il Bambino (Roma, chiesa di S. Omobono) commissionata al M. dall’università dei sarti. Sempre in quell’anno il M. entrò in relazione con il cappuccino marchigiano P. Cipolletti per il quale eseguí, tra il 1767 e il 1780, ventiquattro ritratti raffiguranti vescovi delle Marche e personaggi di un certo rilievo di Offida, oggi divisi tra il Museo di palazzo Castellotti, il municipio e il convento dei cappuccini di questa città. Ancora per una chiesa marchigiana, quella dei francescani di Osimo, nel 1770 il M. eseguì una Via Crucis (Zambrini) e, in quello stesso anno, presentò al pubblico romano, in S. Maria sopra Minerva, la tela con l’Apparizione della Vergine a s. Giuseppe Calasanzio (Kecskemét, casa degli scolopi), richiestagli forse da padre Elek Horányi per il convento di Tata in Ungheria (Tani). L’anno successivo realizzò il dipinto con la Concezione di Maria con i ss. Gregorio papa e Francesco d’Assisi e le anime del purgatorio della cappella Maffei in S. Maria in Aracoeli, unica opera di cui sarebbe noto anche un disegno preparatorio, ora in una collezione privata romana (Russo) e lasciò nella stessa chiesa un dipinto raffigurante S. Rosa da Lima.
Sempre alla Minerva espose nel 1772 un quadro raffigurante S. Benedetto che riconosce l’artificio di Totila, eseguito per una chiesa di Lille (attuale collocazione sconosciuta). Ricadono poi in questo stesso periodo il Ritratto di Clemente XIV (1769, Subiaco, abbazia di S. Scolastica), la prima versione, e la sola datata, dell’effige del barcellonese Augusto de Cardenas (1772, Napoli, ospedale degli incurabili, farmacia storica) e la maggior parte delle sue tele raffiguranti arcadi (Roma, Museo di Roma) commissionategli, è da credere, dai diversi importanti personaggi che si susseguirono sino al 1801 nella carica di custodi generali dell’Accademia.
Incarcerato per pochi giorni nel 1772 per aver malmenato il curiale Filippo Franceschini, l’anno successivo, forse in ragione dei servizi prestati all’Accademia dell’Arcadia o perché familiare del cardinale Giovan Francesco Albani, nipote di Alessandro, il M. ne diventò membro con il nome di Melanto Sicionio. Nel 1778 si trasferì in un appartamento sulla stessa strada del Sudario presso il palazzetto Cesarini. Nel corso degli anni Ottanta, benché oramai chiaramente riconoscibile come ritrattista, così attestano gli Stati delle anime e le numerose effigi di sua mano che si trovano numerosissime in raccolte pubbliche o private in tutta Italia, proseguì anche a lavorare, sebbene con minore intensità, per confraternite e ordini religiosi.
Nel 1781 realizzò due piccoli dipinti, di formato ovale, raffiguranti S. Romualdo che incontra Ottone III e S. Benedetto con gli imperatori degli Unni (Camaldoli, monastero dei benedettini) e un Martirio di s. Bartolomeo per l’altare maggiore della chiesa di Arsoli dedicata a questo santo.
Nel 1786 fu coinvolto con T. Kunze e l’architetto palermitano F. Nicoletti nella decorazione della basilica di S. Pietro in occasione della cerimonia di beatificazione del padre dei minimi Nicola il Saggio (o da Longobardi). Per questo stesso ordine l’anno successivo realizzò la pala con il Beato Gaspare de Bono per la chiesa di S. Francesco di Paola e quella con il Beato Nicola da Longobardi che adora la Vergine, per la cappella eretta a questo beato nella stessa chiesa, che egli firmò con l’inconsueta formula: «dipinse Vincenzo Milione Calabrese 1787».
Le tele realizzate per i minimi sono le ultime opere a soggetto sacro di grande formato che si conoscano del M., con l’unica eccezione della pala con l’Assunzione di Maria (1789) della chiesa collegiata della piccola cittadina di Blera nel Viterbese. Al 1796 risale inoltre uno dei suoi tanti ritratti celebri del pontefice Pio VI Braschi (Venezia, Seminario).
Dalla bottega del M. uscirono nel suo ultimo quindicennio di attività soltanto ritratti e dipinti a soggetto sacro di piccolo formato destinati alla devozione privata.
Il M. morì a Roma il 1° dic. 1805.
Si deve a Von Lobstein il primo tentativo di ricostruzione del profilo del M. fondato su basi documentarie. Su questi dati poggiano tutte le successive biografie del pittore e i contributi che Faldi e Fiorillo hanno dedicato alla sua produzione ritrattistica. Se per Fiorillo il M. è ritrattista di qualità la cui produzione dipende da P.L. Ghezzi e da P. Batoni, per Faldi i numerosi dipinti di questo genere dell’artista calabrese, come anche le sue opere a soggetto sacro, sono prodotti di modesta qualità. Infatti i ritratti del M. si qualificano, secondo quest’ultimo, come prodotti seriali, tutti firmati con una analoga formula, che aveva evidenti finalità pubblicitarie (p. 33). Gli Stati delle anime definiscono la bottega del M. al Sudario come quella di un «quadraro»; successivamente lo stesso genere di documentazione definisce il M. come ritrattista. Nella Roma della prima metà del XVIII secolo sono definiti «quadrari» quegli artisti, spesso pittori specialisti di un genere, che abbandonano o che subordinano il mestiere per il quale si erano formati a quello di mercante di quadri. Normalmente essi dispongono nella loro bottega di pitture di prezzo medio-basso e di piccolo formato, eseguite da altri artisti, contemporanei o al massimo del XVII secolo, che raffigurano temi sacri per la preghiera domestica, ritratti di papi, cardinali, vescovi scene di genere o paesaggi. Il M. non sembrerebbe aver mai abbandonato la pratica della pittura, che pure insegnò nel corso del 1778 a Vincenzo Diodati e a Michele Callò. La sua produzione, se si escludono le poche commissioni pubbliche, che denunciano in maniera evidente la sua formazione su modelli napoletani che vanno da L. Giordano a F. De Mura e dimostrano interesse per G. Lapis e P.G. Batoni, è affine comunque per tipologie e prezzi a quella che proponevano altri «quadrari». Peculiarità della sua rivendita, che passò per qualche tempo, dopo la sua morte, al marito di sua figlia Clementina, il pittore romano Gioacchino Capelmanzi, parrebbe però essere stata quella di vendere dipinti da lui stesso realizzati. In realtà il M., disegnatore modesto, si appoggiava spesso a invenzioni di altri artisti del passato o a lui contemporanei. È il caso per esempio del Martirio di s. Bartolomeo, mutuato dalle diverse tele di questo soggetto di J. Ribera, o del ritratto del cardinale Francesco Maria Pignatelli (1794, Roma, collezione Lemme), derivazione, con varianti, dalla tela di A. Cavallucci.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio storico del Vicariato, Parrocchia di S. Stefano del Cacco, Stati delle anime, anni 1754-56, c. 213v; Parrocchia di S. Nicola dei Cesarini, Stati delle anime, anni 1754-61, cc. 32v, 34, 38r; 1762-69, cc. 14, 24, 48, 75, 119, 178, 202, 250; 1770-89, cc. 7v, 24r, 42, 59v; 1791-97, cc. 10r, 22v, 45v, 63r, 75v, 111v, 153r; 1798-10, cc. 14r, 15v, 29r, 33v, 42v, 57r, 67r, 72v; Ibid., Libro dei morti, anni 1803-24, c. 7r; Archivio di Stato di Roma, Tribunale criminale del Governatore, Miscellanea artisti, b. 5, n. 422, c. 2; ibid., Registrazioni d’atti, reg. 478, cc. 146, 177, 183; ibid., Processi del sec. XVIII, vol. 1098, cc. n.n. [ma 1-30]; Chracas. Diario ordinario di Roma, 2 ag. 1770, p. 3; 5 genn. 1771, p. 14; 25 genn. 1771, p. 2; 2 ag. 1787, p. 12; F. Fabi Montani, Intorno ad alcuni ritratti di recenti Arcadi illustri collocati nella sala del Serbatoio, in Giornale arcadico, CXXVI (1852), p. 362; Guida del visitatore artista attraverso il seminario patriarcale di Venezia, Venezia 1912, p. 30; U.V. Moschini, Le raccolte del seminario vescovile di Venezia, Venezia 1940, p. 20; R. Paccariè, L’Arcadia e la sua pinacoteca, in Strenna dei Romanisti, XVIII (1957), pp. 210 s.; C. Pericoli, La Pinacoteca dell’Arcadia, in Capitolium, XXXV (1960), pp. 9-14; A.M. Colini - M. Bosi - L. Hutter, S. Omobono, Roma 1960, pp. 48, 96; Novità dei musei comunali, acquisti, doni, restauri 1959-1964, a cura di C. Pericoli Ridolfini, Roma 1965, p. 49; Saggi e ricerche sul Settecento, Napoli 1968, p. 440; C. Pietrangeli, Il Museo di Roma. Documenti e iconografia, Bologna 1971, pp. 30 s., 80, 100; F. von Lobstein, Un pittore calabrese nella Roma tardo settecentesca: V. M., in F. von Lobstein, Settecento calabrese e altri scritti, I, Napoli 1973, pp. 413-419; A.M. Giorgetti Vichi, Gli Arcadi dal 1690 al 1800: onomasticon, Roma 1977, pp. 175, 353; I. Faldi, Vicedomino Vicedomini il papa di un giorno, in Tuscia, 1983, n. 30, pp. 32 s.; S. Rudolph, La Pittura del Settecento a Roma, Milano 1983, p. 798, fig. 495; C. Fiorillo, V. M. un calabrese trapiantato a Roma, in Brutium, LXVII (1988), 1-2, pp. 21-23; Id., Gli incurabili. L’ospedale, la farmacia, il museo, Udine 1991, pp. 91 s.; A. Olleia, V. M., in Corpus delle feste a Roma. Il Settecento e L’Ottocento, a cura di M. Fagiolo, Roma 1997, p. 434; P. Caretta, La Teverina umbra e laziale, [ricerche] eseguite da P. Caretta e C. Metalli, Treviso 2000, pp. 88 s.; L. Speranza - M. Verdelli - N. Presenti, Moderne tecniche sulle foderature trasparenti dei dipinti, in Kernes, 2002, n. 46, p. 59; G. Zambrini, V. M. (1735-1805) pittore al Sudario, tesi di laurea, Università degli studi di Roma Tre, a.a. 2002-03; C. Grilli, in A. Costamagna - D. Ferrari - C. Grilli, Sant’Andrea della Valle, Milano 2003, p. 170 e n.; S. Sperindei, Parrocchia di S. Nicola dei Cesarini, Rione Sant’Eustachio, in Studi sul Settecento romano. Artisti e artigiani a Roma dagli Stati delle anime del 1700, 1725, 1750, 1775, II, a cura di E. Debenedetti, Roma 2004, p. 313 e nn. 10, 11; I beni della Salute. Il patrimonio dell’Azienda sanitaria di Forlì, a cura di M. Gori - U. Tramonti, Milano 2004, p. 109; M. Tani, La rinascita culturale del Settecento ungherese, Roma 2005, p. 35, 72 e n. 175; L. Russo, S. Maria in Aracoeli, Napoli 2007, p. 93, fig. 107; B. Cirulli, L’attività di V. M. (1732-1805), un pittore calabrese nella capitale pontificia, in Arte in Calabria nell’Ottocento (1783-1908). Anagrafe della ricerca. Atti delle Giornate di studio, Cosenza-Catanzaro … 2009, in corso di stampa; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXIV, p. 558.
B. Cirulli