MIRABELLA, Vincenzo
– Nacque a Siracusa nel 1570 da Michele e Giovanna Alagona.
La famiglia Mirabella, di probabile origine francese, si era trasferita in Sicilia agli inizi del Trecento, stabilendosi a Modica e a Siracusa, dove entrò a far parte del patriziato urbano.
Non abbiamo notizie certe sulla formazione culturale del M. che probabilmente avvenne in ambito siracusano dove, già dalla fine del Quattrocento, si era affermata un’ottima scuola di studi classici e dove era stato aperto, nel 1554, uno dei primi collegi gesuitici dell’isola. Il M. si impose presto come uno dei maggiori esponenti della cultura umanistica siciliana. Figura poliedrica, capace di cimentarsi in varie discipline, il M. fu matematico, storico, archeologo, architetto, poeta, compositore, musicista, oltre a essere un appassionato collezionista di reperti archeologici e di monete antiche. La sua fama di erudito e uomo di cultura si diffuse oltre i confini cittadini e Michelangelo Merisi detto il Caravaggio, di passaggio a Siracusa negli ultimi mesi del 1608, lo volle come guida durante la visita di alcuni siti archeologici della città. La produzione scientifica, storico-letteraria e musicale del M., documentata ma andata dispersa, gli valse l’iscrizione nell’Accademia degli Oziosi. Nel 1614 fu ascritto all’Accademia dei Lincei grazie all’intercessione di Giovanbattista Della Porta, che lo segnalò a Federico Cesi, e al positivo apprezzamento di Galileo Galilei, con il quale il M. intrattenne rapporti epistolari.
Dichiarazioni della pianta delle antiche Siracuse e di alcune medaglie di esse e dei principi che quelle possedettero è l’unica sua opera giunta sino ai nostri giorni, edita a Napoli nel 1613 e dedicata al re di Spagna Filippo III. Il volume conteneva nove tavole incise a Siracusa da Francesco Lomia, nelle quali la polis era minuziosamente riprodotta, con indicazioni relative a più di duecento fra edifici pubblici e privati, templi e fortificazioni, luoghi sacri e giardini, ricavate grazie a uno spoglio sistematico delle fonti classiche. Alla fine dell’opera erano inserite le vite di Archimede, Teocrito, Epicarmo, Tisia. Lo scritto ebbe uno straordinario successo e venne più volte ristampato; la pianta topografica in esso contenuta finì con il rappresentare l’immagine ufficiale della città, riprodotta in numerosi testi, in Italia e all’estero.
L’opera si colloca all’interno della produzione erudita di storia locale, assai in voga in Sicilia a partire dal XVI secolo, alimentata dalla crescente competizione tra le città dell’isola che, attraverso la ricostruzione del proprio passato, intendevano rivendicare primati e prerogative. Tuttavia il testo presenta spunti originali e di particolare interesse: innanzitutto fu scritto in italiano, segno inequivocabile che il M., ottimo conoscitore del latino, non si rivolgeva solo a un pubblico di dotti e letterati. Inoltre, i riferimenti al primato della greca Siracusa, indiscussa capitale della Magna Grecia, non distoglievano l’attenzione del M. dalla situazione di profondo degrado della Siracusa contemporanea, incapace di sostenere i fasti del passato. Il M. si interrogava sull’origine di tale decadenza e la individuava nella conquista romana e, in particolare, nelle distruzioni perpetrate da Marcello e Sesto Pompeo. Roma gli appariva, così, colpevole di aver distrutto la libertà e la potenza della greca Siracusa, dandole un ruolo marginale e periferico all’interno dell’Impero. Da tali rievocazioni traspariva, neanche troppo velatamente, una polemica contro la politica imperiale spagnola, analogamente colpevole dell’emarginazione politica ed economica della città aretusea. In diverse parti dell’opera, inoltre, il M. esaltava la libera repubblica degli ottimati, come migliore forma di governo possibile, contestando apertamente la tirannide e facendo espliciti apprezzamenti anche nei confronti del regime democratico, sinonimo di libertà, pace e ricchezza, valori da difendere anche con le armi, come i Siracusani avevano saputo fare tutte le volte che erano stati oppressi dai tiranni.
Al di là della dimensione erudita e antiquaria le Dichiarazioni testimoniano l’interesse del M. per la realtà politica a lui contemporanea, dimostrato anche dalla sua attiva partecipazione alla vita politica e amministrativa della città: nel 1593 fu nominato magister nundinarum; nel 1611 rivestì la carica di tesoriere dell’Università e negli anni 1613-14 e 1616-17 quella di giurato, la più importante carica pubblica cittadina. Si era, intanto, unito in matrimonio con Lucrezia Platamone, figlia di Antonio e Giovanna Zumbo, che gli portò una cospicua dote e che legò il M. ad alcune delle famiglie più in vista del patriziato siracusano.
Nel 1619 il M. inviò una supplica a Francesco Lemos conte di Castro, viceré di Sicilia, spiegandogli di essere malato e chiedendogli di non essere più nominato alle cariche pubbliche cittadine, anche perché da tempo stava attendendo alla stesura della Storia universale di Siracusa, opera che, probabilmente, non portò mai al termine. Il diminuito impegno amministrativo, tuttavia, non gli impedì di collaborare con il Senato di Siracusa nella riorganizzazione urbanistica della città, in qualità di progettista e architetto: suoi sarebbero il progetto della chiesa di S. Andrea dei teatini e il parere tecnico che accompagnò la richiesta del Senato al viceré, nel 1620, per la costruzione di un ponte di pietra sull’Anapo, in sostituzione dell’antico «ponte delle tavole», per agevolare i collegamenti con la contea di Modica. Altre opere furono da lui progettate a Modica, come, per esempio, la chiesa della Madonna delle Grazie.
Nel 1621, il M. fu inviato dal Senato siracusano a Palermo in qualità di procuratore della città per trattare presso il tribunale del Real Patrimonio e la corte viceregia le questioni pendenti del contenzioso siracusano. Fu l’ultimo incarico ufficiale che svolse per conto della città. Dal 1623, per ragioni ignote, si trasferì definitivamente a Modica.
Il M. morì a Modica nel 1624 e fu sepolto nella chiesa della Madonna delle Grazie.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Siracusa, Consigli del Senato di Siracusa, vol. 8, 17 ag. 1611; vol. 9, c. 199v; vol. 14, c. 496; Lettere del Senato, vol. 66: lettera del 28 giugno 1621; Atti del notaio Vincenzo Leone, 29 ag. 1592; Archivio di Stato di Ragusa, Atti del notaio Francesco Rizzone di Modica, testamento del 25 maggio 1624; Roma, Biblioteca dell’Accademia dei Lincei e Corsiniana, Manoscritti lincei, 4, cc. 367, 334-338; 12, cc. 377-382; Edizione nazionale delle opere di Galileo Galilei, XII, Firenze 1968, lettere 1016, 1027, 1040; P. Carrera, Risposta e censura di don Pietro Carrera Agatheo contra le opposizioni di fra don Mariano Perello, Messina 1643, pp. 72 s.; A. Mongitore, Bibliotheca Sicula, Panormi 1714, p. 290; F. Di Paolo Avolio, Memorie intorno al cavaliere M. e Alagona, Palermo 1829; V. Amico, Dizionario topografico della Sicilia, a cura di G. Di Marzo, Palermo 1859, p. 544; S. Privitera, Storia di Siracusa antica e moderna, II, Napoli 1879, p. 219; N. Agnello, Il monachesimo a Siracusa, Siracusa 1891, p. 63; V. Russo, V. M., cavaliere siracusano, Siracusa 2000; P. Militello, L’isola delle carte. Cartografia della Sicilia in Età moderna, Milano 2005, pp. 141-145; F.F. Gallo, Siracusa barocca. Politica e cultura nell’età spagnola, Roma 2008, pp. 140-150, 154-159.
F.F. Gallo