MORELLI, Vincenzo
MORELLI, Vincenzo (Enzo). – Nacque a Bagnacavallo di Romagna il 5 dicembre 1896 da Cesare e da Costanza Gulminelli.
Frequentò la scuola con risultati molto scarsi, ma iniziò precocemente ad appassionarsi di pittura. La sua adolescenza venne segnata dalla morte del fratello, suicida per una delusione amorosa nel 1909, e da quella della madre l’anno seguente. Nel 1910 si trasferì a Milano – dove il padre lavorava e viveva già da qualche anno – iniziando a realizzare illustrazioni e figure per alcune ditte (Bagnariol, 1996 p. 7). Le sue precoci doti di disegnatore sono evidenti già in Autoritratto giovanile (1913, coll. priv.; ripr. in E. M., 1996, p. 45). Nel 1913 venne assunto dalla Ricordi, dove lavorò come cartellonista, alle direttive del pittore Luciano Achille Mauzan. Intorno al 1915 risale il dipinto intitolato Il padre dell’artista (coll. priv.; ibid., p. 47).
È un lavoro fra i migliori di Morelli, dal quale si può desumere una conoscenza della scapigliatura lombarda e forse anche di Paul Cézanne e Umberto Boccioni. L’artista in quest’opera va oltre l’adesione alla verosimiglianza del modello, comunque presente, concentrandosi sugli effetti luminosi del volto, trattato con una certa tridimensionalità, e creando, contemporaneamente, contrasti con zone in cui la materia cromatica è densa e in rilievo, tale da attirare l’interesse dell’osservatore verso gli strati più superficiali della pittura.
Inviato al fronte, durante la prima guerra mondiale, collaborò a Signor sì, il giornale dell’Armata degli altipiani. I suoi disegni furono notati dall’illustratore Riccardo Salvatori che, finita la guerra, lo portò a collaborare, a Milano, a La Lettura, supplemento del Corriere della sera. In questi anni lavorò anche per il Secolo XX, Ardita, La Donna, Le Grandi Firme, Noi e il mondo e La Rivista illustrata del popolo d’Italia.
Le prime illustrazioni sono «svelte didascalie visive di testi letterari» (Stipi, 1996, p. 28). Studiò le principali avanguardie artistiche dell’Ottocento e dei primi del Novecento, senza aderire a nessuna di esse. La critica migliore ritiene che la sua opera non sia assimilabile ad alcuna corrente artistica contemporanea (ibid., p. 20) ma ciò non vuol dire che non abbia subito profonde influenze da parte di molti pittori attivi in quel periodo. Certamente attinse all’arte di Pierre Bonnard, Henri Matisse, Pablo Picasso, Mario Sironi e Carlo Carrà (Ballo, 1956), tutti presenti nei libri che possedeva (La biblioteca…, 1996), ma dipingere per lui fu soprattutto un’esigenza biologica, come dichiarava: «se tutti fossero ciechi dipingerei lo stesso» (Bortolon, 1996, p. 183).
Si recò spesso ad Assisi fra il 1922 e il 1926, anno in cui espose tre disegni alla I Mostra del Novecento italiano alla Permanente di Milano e tenne una personale nella stessa città alla Bottega di Poesia (Bagnariol, 1996, p. 10; Piraccini, 1996, p. 30). In quest’occasione, in un testo di autopresentazione nel catalogo, dichiarò come sue fonti pittoriche il Quattrocento italiano e, in particolare, Piero della Francesca e Giovanni Bellini. Nell’ambito dell’arte contemporanea, dalla quale sembra tenersi a una certa polemica distanza, individuò nel pittore svizzero Ferdinand Jodler la sua guida. Fra i quadri realizzati in questo periodo si segnala Assisi: le arcate del monastero (1925; Milano, galleria Ponte Rosso, ripr. in E. M., 1996, p. 55).
L’artista, coniugando l’interesse per una stesura cromatica delle superfici densa e increspata con la costruzione di solide masse architettoniche, crea uno di quei vuoti e solitari scenari metafisici già presenti nella pittura di Carrà.
Nel 1926, a seguito della vittoria al concorso indetto per affrescare la sala della Conciliazione nel palazzo comunale di Assisi, si trasferì nella cittadina umbra dove, per il fascino dei luoghi e la possibilità di studiare Cimabue, Giotto e Pietro Perugino, soggiornò per cinque anni. In questi affreschi sono evidenti le influenze dei trecentisti italiani, mediate dai pittori del gruppo Novecento. La preponderanza di volumi compositivi nettamente chiusi in se stessi deriva in particolare dallo studio di Carrà e Sironi (Ballo, 1956).
Nel 1931 ritornò a Milano, dove collaborò alla rivista L’Illustrazione italiana. Nel 1932 affrescò la volta di una cappella nella chiesa di S. Michele a Bagnacavallo, città natale in cui tornava saltuariamente in quegli anni. Nel 1934 effettuò un viaggio in Spagna. Fra il 1933 e il 1935 aveva lo studio a Milano in via Foro Bonaparte, poi si trasferì in via Lanzone (dove rimase per 25 anni). Prese parte alla Triennale di Milano nel 1933 e nel 1936, anno in cui fu presente anche alla Biennale di Venezia e realizzò la copertina del sesto numero de La Lettura, ispirata alle Spigolatrici di Jean-François Millet (ripr. in E. M., 1996, p. 132). Dal 1935 aveva intrapreso l’insegnamento di pittura decorativa presso la Scuola superiore d’arte applicata all’industria del Museo del Castello Sforzesco che dovette lasciare nel 1939 perché non aveva aderito al tesseramento del Fascio. Nel 1938 ricevette l’incarico da Marcello Piacentini di affrescare una parete dell’aula della Cancelleria generale del palazzo di Giustizia di Milano. L’anno seguente andò a lavorare in Libia. A Tripoli fu ospite di Italo Balbo e, tornato in Italia, si sposò a Brescia con Anna Magrograssi, conosciuta ad Assisi nel 1925. Lo scultore Francesco Messina fece in modo che gli venisse affidata, dal 1940, la cattedra di figura presso il liceo artistico di Brera a Milano. Nel 1941 partecipò con varie opere alla Mostra del sindacato nazionale fascista di Milano.
Dal 1941 iniziò a dimorare tra Milano e Bogliaco sul Garda, dove aveva comprato una casa di pescatori. In questo periodo diminuì l’attività di illustratore per dedicarsi maggiormente alla pittura (Stipi, 1996, p. 28).
Affascinato dai colori liquidi del lago di Garda, iniziò a rappresentarlo in molti lavori. Andava in giro con una macchina fotografica per catturare i soggetti dei suoi quadri (Vlahov, 1996, pp. 59-61): fotografava in bianco e nero, dicendo che il colore poi l’avrebbe messo lui (Gadaleta, 1996 p. 33), ma le sue fotografie talvolta non sembrano per nulla inferiori alle sue tele.
Nel 1942 espose 15 quadri in una sala personale della Biennale di Venezia. Nel 1944 dipinse Paesaggio (Bagnacavallo, Pinacoteca civica; ripr. in E. M., 1996, p. 75), un’opera a tempera con la quale raggiunse interessanti esiti lirici: il paesaggio è dipinto con poche e leggere velature che lasciano intravedere la carta sottostante, tanto sottili da sembrare ottenute con l’acquarello; non si tratta, tuttavia, come è stato scritto (Stipi, 1996, p. 29), di un lavoro paragonabile ai vertici della pittura europea del Novecento.
Nel 1946 espose con Pericle Fazzini alla galleria Gian Ferrari a Milano e nel 1947 vinse, ex aequo con Fioravante Seibezzi, il premio Garda. Nel 1948 partecipò ancora alla Biennale di Venezia. Nel 1951, in occasione di una mostra personale alla galleria del Grattacielo di Legnano, rivelò chiaramente la sua poetica, affermando che un quadro dovrebbe «dare un senso di riposo a chi lo guarda», dare all’osservatore la possibilità di addormentarsi davanti a esso (ibid.). Nel 1952 espose varie opere alla I Mostra nazionale Associazione artisti d’Italia e iniziò la progettazione di sei vetrate, raffiguranti episodi della Vita della Vergine, per la chiesa di S. Maria Bambina (ripr. in E. M., 1996, pp. 34-40, 122- 127), in via S. Sofia a Milano, realizzata da Giovanni Muzio fra il 1951 e il 1953.
Questi lavori non guardano tanto alle vetrate medievali o al cloisonnisme, quanto alla pittura religiosa delle vetrate di Georges Rouault (Portalupi, 1971) e Guido Ballo (1956, p. 139) ne parla come di una decorazione che nasce da valori «architettonici» portati in superficie. Morelli, oltre a dipingere i cartoni, intervenne anche sui vetri con l’uso di tinte, per aumentare o diminuire la trasparenza; talvolta sovrapponendo anche vetri neutri che, filtrando i segni dipinti sulla retrostante lastra colorata, creavano un effetto di sfocatura, simulando la lontananza di alcuni particolari (Gadaleta, 1996, p. 36).
Nel 1954 partecipò alla III Biennale di arte sacra a Novara. Nel 1955 realizzò Finestra sul Garda (Milano, galleria Ponte Rosso; ripr. in E. M., 1996, p. 100), un’opera nella quale le suggestioni dei colori degli agenti atmosferici spingono l’artista verso una pittura fatta di forme elementari. Non c’è più alcuna prospettiva classica. Una sedia vuota, probabilmente quella del pittore o di sua moglie, è l’unico oggetto chiaramente riconoscibile, accanto a soprammobili divenuti puri impasti cromatici. È uno fra i suoi lavori migliori, confrontabile con gli esiti della pittura dell’Informale di quegli anni.
Nel 1955-56 alcuni cartoni preparatori alle vetrate della chiesa di S. Maria Bambina furono esposti alla III Mostra nazionale Associazione artisti d’Italia, tenuta al Palazzo Reale di Milano. Negli stessi anni fu presente alla VII Quadriennale di Roma. Nel 1963 rinunciò all’insegnamento a Brera, per ricoprire la cattedra di pittura all’Accademia di belle arti di Bologna (fino al 1967). Nello stesso 1963 tenne una mostra personale alla galleria Piemonte artistico culturale di Torino e vinse il premio Bagutta alla XXIII Biennale di Milano. Nel 1964 la galleria Gian Ferrari di Milano gli dedicò una personale e nel 1965 a Biella vinse il premio Fila per la pittura.
In quegli anni la sua attività pittorica fu intensa. Morelli dipingeva spesso dal vero, spostandosi accompagnato dalla moglie in automobile, alla ricerca di un paesaggio da ritrarre. Eppure anche se tratta dal vero, la sua pittura ha spesso l’effetto di una trascrizione da un ricordo, non di una rappresentazione diretta della realtà (Stipi, 1996, p. 21). Negli anni Sessanta alle strade di paese si era sostituita l’autostrada e il paesaggio era meno presente (Autostrada: ripr. in E. M. 1896-1976, 1996, pp. 86 s.).
Tenne varie personali in gallerie private, fra cui nel 1971 la Sagittario di Milano. Negli ultimi anni di vita smise di dipingere per problemi di salute.
Morì a Bogliaco il 28 gennaio 1976.
Le sue opere sono conservate in numerose collezioni private e pubbliche italiane, fra le quali si segnalano la Pinacoteca di Brera di Milano e il Museo civico delle cappuccine di Bagnacavallo, dove si trovano oltre 2000 opere (tele, ma soprattutto disegni, acquarelli e incisioni).
Fonti e Bibl.: G. Ballo, Pittori italiani dal futurismo a oggi, Roma 1956, pp. 138 s.; M. Portalupi, Il leale M., in La Notte, 10 febbr. 1971; P. Pallottino, Storia dell’illustrazione italiana, Bologna 1988, ad ind.; S. Rebora, E. M., in Pinacoteca di Brera. Dipinti dell’Ottocento e del Novecento, II, Milano 1994, p. 501; E. M. (catal., Desenzano, 1996-97), a cura di G. Stipi, Brescia 1996 (con bibl. e documenti; con scritti di: M.P. Bagnariol, La vita di un pittore, pp. 7-18; G. Stipi, Le strade dell’incanto, pp. 19-31; V. Gadaleta, Tutti i colori del Garda nelle vetrate di M., pp. 33- 40; La biblioteca di un pittore, pp. 137-168; E. Morelli, Autopresentazione [1926], p. 169; L. Bortolon, Per M. l’autostrada è poesia [1969], p. 183; F. Monti, E. M.: dimensione memoria [1976], p. 187); E. M. 1896-1976. Una collezione e un archivio d’arte (catal., Bagnacavallo), a cura di O. Piraccini, Casalecchio di Reno 1996 (con bibl. e regesto documenti); R. Vlahov, Fotografie come appunti di viaggio, ibid., pp. 59-64; R. Breda, 1890- 1940 Artisti e mostre, Roma 2001, p. 332; www.morelli-pittore.it.