PALMIERI, Vincenzo
PALMIERI, Vincenzo. – Nacque a Genova nel 1753.
Si formò nella città natale alla scuola degli scolopi Giambattista Molinelli e Martino Natali, fu poi membro dell’oratorio filippino. Non è chiaro come sia entrato in relazione con i circoli giansenisti, non si conoscono infatti sue lettere anteriori al 1781. A metterlo in contatto con il vescovo di Prato e Pistoia Scipione de’ Ricci, nel 1784, fu l’abate giansenista Reginaldo Tanzini. Il prelato aveva lanciato la sua campagna di riforme e aveva bisogno di un teologo che lo difendesse dagli attacchi rivolti all’azione riformatrice. Palmieri confutò un’opera contro la pastorale ricciana sul Sacro Cuore con il libretto pubblicato come Supplemento ai Numeri 33, 45 e 56 degli Annali ecclesiastici dell’anno 1784 (Firenze 1785).
Cominciò così la strettissima collaborazione con il vescovo toscano, nelle pagine degli Annali ecclesiastici di Firenze e non solo. Nel 1786, uno dei suoi lavori più organici, il Trattato storico-critico-dogmatico-criticodelle indulgenze, fu pubblicato all’interno della Raccolta di opuscoli interessanti la religione, serie editoriale stampata a Pistoia sotto gli auspici di Ricci. Nell’opera Palmieri attribuiva ai «cattivi studi de’ scolastici» e all’avarizia di molti frati e monaci gli abusi nella pratica delle indulgenze (Codignola, 1941, II, p. 13). Il suo linguaggio caustico preoccupò il giansenista Paolo Marcello Del Mare, che ne attenuò i toni in qualche punto. Il Trattato ebbe varie edizioni negli anni successivi e il vescovo di Colle di Val d’Elsa, Nicola Sciarelli, ne estrasse perfino un Breve catechismo sulle indulgenze (Colle 1787). L’edizione francese dell’opera arrivò nel 1800, a Parigi, prova dell’interesse in Francia per gli esperimenti dei giansenisti italiani.
Ricci coinvolse direttamente Palmieri nel sinodo diocesano tenutosi a Pistoia dal 18 al 28 settembre 1786 in qualità di teologo deputato. Insieme con Pietro Tamburini, fu il redattore di quasi tutti i decreti approvati dall’assise. Nella seconda metà di ottobre dello stesso anno era a Genova, dove affrontò le reazioni del clero fedele a Roma contro il sinodo. Forse per sottrarsi a questo clima difficile, accettò gli inviti del granduca Pietro Leopoldo e di Ricci a trasferirsi in Toscana. Nei mesi successivi fu nominato professore di storia ecclesiastica nell’Università di Pisa e ottenne dal vescovo suo protettore un canonicato nella cattedrale di Pistoia, dove assunse anche il ruolo di lettore presso l’Accademia ecclesiastica. A Pisa inizialmente fu destinato a tenere l’insegnamento di filosofia, ma chiese con insistenza di essere impegnato nelle ‘materie sacre’, su cui si sentiva più competente (Codignola, 1941, II, pp. 48-50).
Appena stabilitosi in Toscana, fu subito impegnato con la prova più difficile della campagna riformistica di Ricci. Il granduca aveva infatti convocato a Firenze l’assemblea degli arcivescovi e dei vescovi toscani per discutere dei Cinquantasette punti ecclesiastici, il programma organico di riforme ecclesiastiche che aveva inviato ai prelati all’inizio del 1786. L’assemblea fu inaugurata a Firenze il 23 aprile 1787 e fu sciolta da Pietro Leopoldo il 5 giugno. Palmieri criticò la decisione del granduca e di Ricci di andare così precocemente al confronto con l’episcopato toscano, in maggioranza favorevole a Roma o comunque cauto nell’applicare il vasto piano di riforme, che comprendeva la razionalizzazione numerica del clero, la riduzione delle feste, la soppressione di congregazioni e parrocchie, il riordino del sistema dei benefici ecclesiastici, l’adozione della dottrina agostiniana nei seminari e prevedeva riforme devozionali nel senso di una ‘pietà illuminata’. Ciononostante, svolse un ruolo rilevante, preparando per il vescovo di Pistoia e Prato il programma dei lavori e l’elenco degli argomenti da discutere. Come teologo deputato dal sovrano all’assemblea, poi, intervenne durante i lavori per sostenere gli argomenti dei vescovi Ricci, Giuseppe Pannilini e Sciarelli, in difesa della teologia agostiniana proposta dai Cinquantasette punti e per presentare sue memorie scritte lasciate agli atti. La riunione di Firenze segnò la fine del tentativo di Pietro Leopoldo di raccogliere il consenso dei prelati toscani e, dunque, la fine dei suoi progetti radicali di riforma religiosa. Nelle sue lezioni pisane, però, Palmieri non smise di propagandare le letture teologiche proposte ai vescovi nei punti leopoldini e negli articoli scritti per gli Annali ecclesiastici.
Nel dicembre 1787, a esempio, scrisse a Scipione de’ Ricci di aver discusso con il granduca il suo piano didattico e di aver concordato di commentare i Discorsi sopra la storia ecclesiastica di Claude Fleury, bocciati all’assemblea (Codignola, 1941, II, p. 70). Mentre seguiva la scia delle battaglie toscane, scrivendo lettere pastorali per Ricci, pubblicò un’altra opera polemica contro un ex gesuita genovese, Il fanatismo nel suo carattere. Sermone commonitorio dedicato al M. R. Sig. Ab. Giuseppe Lovat, Autore di una bipartita prefazione..., Avignone (ma Genova) 1788, discussa nei salotti genovesi.
Il fitto carteggio di Palmieri con il vescovo di Prato e Pistoia dà conto della sua reazione alla Rivoluzione francese. Seguì con interesse i provvedimenti in materia ecclesiastica dei rivoluzionari, ma restò piuttosto tiepido di fronte ai loro risultati, che temeva portassero solo confusione. Nel 1791 Pietro Leopoldo, ormai imperatore del Sacro Romano Impero, lo invitò a prendere il posto di Natali a Pavia, l’altro grande centro del giansenismo italiano. Dopo il pensionamento di Giuseppe Zola nel 1794, fu nominato professore di storia ecclesiastica e nel 1795 anche censore regio. Rispetto alla militanza di cui aveva dato prova in Toscana, a Pavia condusse una vita decisamente tranquilla, più attenta all’insegnamento che all’attività di riformatore e polemista al servizio del sovrano. La speranza di poter riformare l’organizzazione ecclesiastica si riaccese solo quando l’imperatore gli chiese di organizzare una nuova accademia ecclesiastica a Pavia, tra il 1791 e il 1792, un progetto poi abbandonato quando la corte imperiale sembrò rinunciare a ogni istanza riformistica in ambito religioso.
Il suo distacco dalla politica attiva fu ancora più evidente con l’arrivo dei francesi in Italia, quando si dimise dalla propria cattedra già nell’ottobre 1796. Tornato a Genova, visse da semplice osservatore e senza entusiasmi gli anni delle rivoluzioni italiane. Benché lontano da simpatie patriottiche, nel 1797 fu compreso nella rosa di nomi consigliati dal Direttorio della Repubblica Ligure all’arcivescovo di Genova come vicario generale. Nel 1799 fu proposto addirittura come vescovo coadiutore, ma l’arcivescovo Giovanni Lercari gli preferì l’ex lazzarista Gian Felice Calleri.
Negli anni successivi restò fedele alle sue convinzioni giurisdizionaliste e regaliste, nemico tanto della mondanità della corte romana, quanto del ‘fanatismo’ dei democratici. Espressione del suo atteggiamento in questi anni è l’opera La libertà e la legge considerate nella libertà delle opinioni e nella tolleranza de’ culti religiosi (Genova 1798), in cui si scagliò contro chi politicizzava il cristianesimo in chiave democratica e contro ogni tentativo di introdurre la tolleranza religiosa nella legislazione: il cattolicesimo doveva restare la religione dominante. L’eco delle sue antiche polemiche con Roma arrivò invece con un intervento sull’alienazione dei beni ecclesiastici (Pensieri sopra la capacità e i diritti che hanno i collegi ecclesiastici o laici di possedere beni in comune e sopra le alienazioni dei medesimi, Genova 1803), messo all’Indice nel 1805.
Morì a Genova il 13 marzo 1820. Malato da tempo, su pressione dell’arcivescovo Luigi Lambruschini aveva sottoscritto poco prima una supplica di perdono al papa, trasmessa a Roma. Subito dopo la morte, però, il gruppo giansenista rese nota un’ulteriore dichiarazione che negava la ritrattazione, inducendo la Curia romana a non pubblicare la supplica.
Altre opere: Il critico ammaestrato ossia, risposta confidenziale alla Lettera di Fiorentino che sta a Bologna sopra alcuni fogli degli Annali ecclesiastici, Firenze 1784; Apologia della lettera pastorale del 16 aprile 1786 di monsig. vescovo di Chiusi e Pienza contro due pretese lettere del Santo Padre Pio VI e le censure di alcuni vescovi della Toscana, in Atti dell’assemblea degli arcivescovi e vescovi della Toscana tenuta in Firenze nell’anno MDCCLXXXVII, ibid. 1787; Istituzioni di storia ecclesiastica, Pistoia 1789; Appendice storico-apologetica del Trattato delle indulgenze..., Genova 1798; I diritti della religione e della società dimostrati nell’opera La libertà e la legge..., ibid. 1804; Riflessioni cattoliche di F.N.T. sopra una Orazione con note detta dal teologo Gian Giulio Sineo direttore dell’oratorio dell’Imperiale Università di Torino, ibid. 1808; Analisi ragionata de’ sistemi e de’ fondamenti dell’ateismo e dell’incredulità, ibid. 1811-14 (in otto volumi); La perpetuità della fede della Chiesa Cattolica intorno al dogma delle indulgenze dimostrata e difesa, ibid. 1817.
Fonti e Bibl.: Atti dell’assemblea degli arcivescovi e vescovi della Toscana, tenuta in Firenze nell’anno 1787, I-IV, Firenze 1787, passim; E. Codignola, Carteggi di giansenisti liguri, I-III, Firenze 1941, ad ind.; Lettere di vescovi e cardinali a Scipione de’ Ricci (1780-1793), a cura di C. Lamioni, Pistoia 1988, ad ind.; L.M. Manzini, Il cardinale Luigi Lambruschini, Città del Vaticano 1960; C. Caristia, Riflessi politici del giansensimo, Napoli 1965, pp. 162-180; M. Rosa, Riformatori e ribelli nel ’700 religioso italiano, Bari 1969, pp. 165-243; M. Pieroni Francini, Un vescovo toscano tra riformismo e rivoluzione. Mons. Gregorio Alessandri (1776-1802), Roma 1977; Cattolicesimo e lumi nel Settecento italiano, a cura di M. Rosa, Roma 1981; P. Stella, Il giansenismo in Italia, I-III, Roma 2006, ad indicem.