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Pernicone, Vincenzo

di Dante Della Terza - Enciclopedia Dantesca (1970)
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Pernicone, Vincenzo

Dante Della Terza

Filologo e critico (Regalbuto, Enna, 1903), professore nelle università di Torino (1942-1956) e di Genova; allievo di M. Casella e di M. Barbi; studioso eminente del Boccaccio, del Sacchetti, oltre che di D., al cui studio fu introdotto dal Barbi nella ricerca sulla corrispondenza poetica tra D. e G. Quirini (in collaborazione con M. Barbi, in " Studi d. " XXV [1940] 81-129). Se è provata, al di là di ogni dubbio, l'ammirazione del poeta veneto per D., occorre per questo riconoscere come autentici i sonetti responsivi che un certo numero di manoscritti surrettiziamente introduce tra le poesie del Quirini, attribuendoli a Dante? Il P., nel rispondere a questo quesito, respinge ogni suggestione impressionistica considerando come unica verifica valida lo spoglio esauriente di quei codici che mescolano la voce di D. a quella del suo minore confratello veneto: il Canoniciano Ital. III di Oxford e l'Ambrosiano o 63 sup., a esso affine perché risalente per una diversa via a una medesima fonte, fonte a cui pure attingono i trascrittori del Magliabechiano VII 1060 e del Marciano italiano IX 191.

Il controllo serrato dei codici affini rivela allo studioso il comportamento erratico dell'Ambrosiano nelle rubriche di attribuzione e la maggiore fedeltà alla fonte comune del Canoniciano di Oxford quando dà adespote le rime che l'Ambrosiano non esita ad attribuire a Dante. Per progressiva eliminazione, il P. è portato a concentrare la sua attenzione conclusiva sui due sonetti considerati tra le rime dubbie di D. nell'edizione del '21: Nulla mi parve mai più crudel cosa, e Non siegue umanità, ma più che drago. Certo il linguaggio del primo sonetto non è del tutto indegno di D., ma notando la disparità di comportamento tra il Canoniciano di Oxford che lo da adespota e l'Ambrosiano che lo dice di D., e considerando più quiriniano che dantesco il comportamento metrico delle volte (abbbaa), lo studioso finisce con l'orientarsi, circa una possibile attribuzione a D., verso un dubbio inclinante più al diniego che all'assenso.

Di provenienza barbiana è anche il suggerimento che porta il P. a studiare (" Studi d. " XXVII [1943] 63-93) l'intricata tradizione manoscritta del sonetto di Cino E' non è legno di sì forti nocchi, attribuito a D. perché vincolato tra l'altro a memorie dantesche da una patina petrosa e appariscente, anche se alquanto inerte.

I contributi più duraturi del P. allo studio di D. sono costituiti dal lungo rigoroso lavoro per l'edizione delle Rime della maturità e dell'esilio, in collaborazione col Barbi (Firenze 1969), e dallo scritto Per il testo critico del Convivio (" Studi d. " XXVIII [1949] 145-182), apparso in estratto nel 1942. In un certo senso, questo scritto rappresenta una messa a punto sobria e sostanziosa sull'edizione del Convivio curata dal Busnelli e dal Vandelli e apparsa nel 1937, anche se in realtà all'edizione del '37 lo studioso dà solo uno sguardo cursorio seguito da un giudizio assai equo: favorevole, per quanto riguarda il miglioramento delle lezioni che rappresentano spesso un correttivo accettabile al radicalismo congetturale dell'edizione Parodi-Pellegrini, giustamente limitativo per quanto riguarda il contributo di essa allo studio della tradizione manoscritta.

Per quanto riguarda lo ‛ stemma codicum '. del Convivio, merito del P. è stato quello di aver sbloccato la situazione presupposta dal Parodi riesaminando la tradizione manoscritta all'altezza del sottogruppo ƒ che non sarebbe derivato dal gruppo a della famiglia α, come voleva il Parodi, ma da una tradizione indipendente da α e da β pur proveniente dal comune archetipo, che il P. denomina γ.

Accanto a questi interventi tecnici, sono da segnalare del P. altri scritti dedicati a D.: un'analisi dei rapporti poetici tra D. e Cino (in Cino da Pistoia nel VI centenario della morte, Pistoia 1937, 77-83), un'esposizione dei problemi presentati dalle rime dottrinali di D. (in " Belfagor " XX [1965] 501-517), due ‛ lecturae Dantis ' (Il c. VI del Purgatorio, Bologna 1953; Il c. XXXII del Paradiso, Torino 1965), che sono prova notevole di garbo espositivo oltre che di equilibrata dottrina, l'assidua collaborazione a questa Enciclopedia per le voci relative alle Rime dantesche.

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