RUFFO, Vincenzo.
– Proveniente da una rinomata famiglia di notai, Ruffo nacque presumibilmente intorno al 1508, da Valerio Massimo e da Mathea; il nonno era Bonacossa de Rufis di S. Fermo (Paganuzzi, 1973, p. 570; Id., 1976, p. 125).
Il 27 ottobre 1520 fu accettato nella Scuola degli accoliti della cattedrale di Verona in attesa che si liberasse uno dei ventiquattro posti disponibili («ad primum accolitatum vacantem»), cosa che avvenne l’anno successivo, il 31 agosto (Paganuzzi, 1976, p. 153 nota 29) con lo stipendio di 18 minali di grano (Lockwood, 1970, p. 15); normalmente si entrava nella Scuola intorno ai dieci-dodici anni: il che permette di congetturare la data di nascita. In quegli anni il maestro era l’organista della cattedrale Biagio Rossetti, le cui teorie sull’esecuzione del canto piano in termine di corretta pronuncia (accentuazione e rispetto delle lunghezze), espresse poi nel Libellus de rudimentis musices (Verona, Nicolini e fratelli, 1529), dovettero influenzare il giovane Vincenzo. Il maestro di cappella del duomo negli anni 1527-33 era «Jacobus Gallus», identificato con Jacques Colebault, divenuto poi famoso come Jacquet di Mantova (Paganuzzi, 1991, p. 31). A partire dal 1531 venne attribuita a Ruffo la designazione clericale di «don» normalmente assegnata ai cappellani anziani, e in un documento del 27 novembre 1534 relativo alla presa di possesso di S. Elena è definito «clerico» (Paganuzzi, 1976, p. 153, n. 29). Comunque non divenne mai sacerdote; tra la fine del 1534, anno dell’ultimo pagamento, e l’inizio del 1535 lasciò la Scuola, sposò una certa Maddalena intorno al 1534-35 e intorno al 1536 nacque il primogenito Agostino, al quale seguì un secondo figlio, Girolamo, intorno al 1539 (Paganuzzi, 1973, p. 570; Id., 1976, p. 125).
Una qualche forma di collaborazione con la Scuola dovette continuare, come sembra indicare una ricevuta di pagamento del 1541 per 10 lire, 2 soldi e 6 denari (Lockwood, 1970, p. 18); da qui risulta anche che Ruffo, in quell’anno, aveva lasciato Verona per recarsi a Milano, al servizio del governatore spagnolo Alfonso III d’Avalos.
A quest’ultimo dedicò la prima pubblicazione, un libro di mottetti a cinque voci edito nel 1542 da Giovanni Antonio Castiglione (a cura di R. Sherr, New York-London 1988); nella lettera dedicatoria, firmata dal notaio milanese Pietro Maria Crivelli, Ruffo è definito «musico et servitor indefesso di V. Eccellentia». Per tale volume, tramite la supplica dello stesso Crivelli, Castiglione chiese e ottenne dal Senato milanese un privilegio di stampa decennale (Ganda, 1999, pp. 320 s.). In questo stesso anno l’editore Girolamo Scotto pubblicò a Venezia un volume di messe a quattro voci pari di Cristóbal de Morales «ac aliorum authorum in hac scientia non vulgarium»: vi compare la messa Alma redemptoris Mater di Ruffo, prima composizione di questo genere di un autore italiano data alle stampe (in Vincenzo Ruffo. Seven masses, a cura di L. Lockwood, Madison, Wis., 1979). La presenza in questo stesso libro di una messa di Jacquet di Mantova e alcuni elementi di carattere stilistico e compositivo hanno fatto ipotizzare un legame maestro-allievo tra i due musicisti (Lockwood, 1970, pp. 138 s.), rafforzando peraltro l’identificazione di quel «Jacobus Gallus» con Jacquet di Mantova.
Il 27 ottobre 1542 venne eletto maestro di cappella nella cattedrale di Savona (Tarrini, 1986, pp. 116 s., docc. I e II), incarico di durata imprecisata, comunque piuttosto breve: se le dimissioni ufficiali avvennero solo il 15 aprile 1545 (Moretti, 1990, p. 247, doc. 39), il 24 dicembre 1543 era stato emanato un decreto che vietava l’accesso alla cattedrale in via di demolizione, e nel 1544 Ruffo si trovava a Genova. Il 26 luglio di quell’anno era stato nominato magister nella cattedrale di S. Lorenzo con lo stipendio di 230 lire genovesi e l’obbligo d’insegnar musica a un ragazzo, sebbene il regolamento della cantoria prevedesse il sacerdozio per i propri maestri (Moretti, 1990, pp. 75, 246, doc. 37). I tempi d’attesa per l’indispensabile dispensa papale, richiesta dallo stesso interessato, vennero prorogati di altri tre mesi dal vicario generale Marco Cattaneo il 30 gennaio 1545 (p. 246, doc. 38), e le dimissioni dall’incarico savonese coincidono grosso modo con la fine di tale trimestre di proroga; ma una nomina ufficiale non si trova nella documentazione della cantoria di S. Lorenzo, peraltro piuttosto scarsa per questi anni, talché non si sa se Ruffo fosse stato costretto a rinunciare all’incarico per la mancanza della dispensa, forse non pervenuta, o se in qualche modo continuasse nell’incarico – nei documenti genovesi è qualificato, forse prudenzialmente, «clericus veronensis» – almeno per qualche altro mese. Il 14 novembre 1545 fu infatti nominato maestro di cappella del principe Andrea Doria con lo stipendio di 10 scudi mensili; mantenne il servizio almeno fino al 12 gennaio 1546, data dell’ultimo pagamento finora reperito (Tarrini, 1986, p. 117, doc. III).
A questo periodo risale la sua primizia, fortunatissima, nel genere del madrigale, il libro primo a quattro voci «a note negre» (Venezia, Gardano, 1545), che ebbe almeno cinque riedizioni da parte dello stesso Gardano e di Girolamo Scotto ma che, abbastanza curiosamente, non presenta alcuna dedica; tra gli autori intonati si impongono Luigi Cassola, Jacopo Sannazzaro e soprattutto Ludovico Ariosto, mentre minore è la presenza di Francesco Petrarca. Uno di questi madrigali era già apparso l’anno prima, con parole di elogio e ammirazione per Ruffo, nel Dialogo della musica di Antonfrancesco Doni, stampato a Venezia da Girolamo Scotto, uno dei principali editori del compositore veronese e concorrente di Gardano per le sue raccolte madrigalistiche.
Dopo il periodo genovese Ruffo fece forse ritorno nella città natale: ma gli storici scontano un vuoto biografico fino all’inizio del 1547. Il 9 febbraio concorse al posto di maestro di cappella dell’Accademia Filarmonica di Verona, invano almeno in prima battuta, giacché la scelta dei Filarmonici cadde su Giovanni Nasco, rimasto in carica fino al 31 ottobre 1551. Nel frattempo Ruffo era diventato maestro di cappella nella cattedrale veronese almeno dal luglio di quello stesso anno (Capricci in musica, a cura di M. Materassi, Treviso 1995, p. VI, n. 25), se non addirittura dal 1548; in assenza di documenti, potrebbe indicarlo il mottetto encomiastico Alma laetare civitas / Eia Verona fortunata civitas, scritto quasi certamente per la nomina a vescovo di Luigi Lippomano (Lockwood, 1970, pp. 41 s.). Ruffo rimase responsabile della musica della cattedrale fino al gennaio del 1561, quando venne sostituito da Giovanni Battista Girri.
Dimessosi Nasco, venne eletto maestro di cappella dell’Accademia Filarmonica il 20 novembre 1551, ma presto i reggenti dell’Accademia ebbero a lamentarsi del suo scarso impegno, dovuto presumibilmente al simultaneo incarico in cattedrale. Il 13 giugno 1552 il governatore, «vedendossi che lui non ha ore commode per servir la Compagnia, et secondo la promessa non può over non vuole servirla», mise ai voti il licenziamento (Atti dell’Accademia Filarmonica di Verona, 2015, pp. 85 s.); la proposta venne respinta, ma Ruffo lasciò comunque l’incarico entro ottobre, quando gli subentrò Alessandro Romano. I rapporti con l’Accademia dovettero comunque rimanere buoni, visto che l’11 febbraio 1554 venne nominato accademico filarmonico (Turrini, 1941, p. 266).
Sono questi gli anni in cui la sua produzione musicale si fa più intensa. Come autore di musica sacra, verosimilmente in relazione all’incarico in duomo, pubblicò un volume di mottetti a sei voci (Venezia, Scotto, 1555; ed. a cura di R. Sherr, New York-London 1988) dedicati al genovese Luca Grimaldi, un importante libro di messe a cinque voci basate su mottetti di Richafort e di Jacquet di Mantova (Venezia, Gardano, 1557; ed. delle messe Quem dicunt homines e Aspice, Domine in Vincenzo Ruffo. Seven masses, cit.) e una raccolta di Magnificat a cinque voci in tutti i toni (Venezia, Gardano, 1559). Ruffo pensò però soprattutto a consolidare la propria posizione nel genere che più di altri poteva assicurare fama e notorietà per la sua circolazione nell’editoria internazionale, ovvero il madrigale, anche grazie alla presenza in città dell’Accademia Filarmonica; nel giro di sette anni diede alle stampe due libri di madrigali a quattro voci (Venezia, Gardano, 1555 e 1560, quest’ultimo dedicato al nobile genovese Cesare Romeo), quattro libri di madrigali a cinque voci (Venezia, Gardano, 1553, 1554, 1555, 1556, ma per il terzo libro si segnala una parallela edizione di Scotto con alcune interessanti varianti musicali; cfr. Nocilli, 1997; ed. del libro I a cura di M.E. Buja, New York-London 1987; del libro IV, intitolato Opera nuova [...] armonia celeste, a cura di M. Materassi, Treviso 1997), e uno di madrigali e canzoni a sei, sette e otto voci (Venezia, Scotto, 1554; ed. a cura di M.E. Buja, New York-London 1987), dedicato agli accademici filarmonici veronesi. Singoli madrigali vennero inoltre ripubblicati in diversi florilegi italiani e stranieri dal 1555 fino ai primi del Seicento. Oltre che verso la poesia d’autore in voga – Petrarca, Ariosto, Andrea Navagero, Cassola, Pietro Barignano, Veronica Gambara – le scelte poetiche puntano su testi encomiastici o di carattere epigrammatico, che portano a soluzioni miste tra la canzonetta e il madrigaletto. Non mancano nemmeno testi di carattere spirituale, alcuni dei quali vennero ripubblicati nella celebre Musica spirituale allestita nel 1563 dal nobile veronese Giovanni del Bene (Venezia, Scotto). A questo periodo risalgono probabilmente le Passioni per la Settimana Santa tramandate manoscritte nei codici Q.23 e Q.24 del Museo della musica di Bologna.
Un documento del 1562 colloca Ruffo nuovamente a Genova. L’8 giugno, per conto della nipote Giorgetta, figlia del cognato Bartolomeo di Mezzano, stipulava un contratto d’affitto per un ammezzato ubicato nella centrale contrada di S. Siro e proprietà del patrizio genovese Domenico Centurione, comandante navale della repubblica e padre del futuro doge Giorgio (Tarrini, 1986, p. 118, doc. IV).
L’elevato importo annuo, la collocazione dell’appartamento nel palazzo dove abitava lo stesso Centurione e la presenza di importanti membri della nobilità genovese quali testimoni del contratto sembrerebbero indicare un’elevata posizione economica e sociale del musicista, acquisita presumibilmente al tempo del servizio presso Andrea Doria; tuttavia, salvo questo documento, nient’altro è noto circa il soggiorno genovese, che potrebbe anche essersi limitato unicamente a tale occasione.
Il 23 agosto 1563 Ruffo, «virum integrum et musicum presenti temporis in partibus nostris excellentem», fu eletto maestro di cappella nel duomo di Milano al posto di Bartolomeo Torresani (Torri, 1896, pp. 645 s.) con lo stipendio mensile di 20 lire imperiali.
Non è noto come i fabbriceri fossero pervenuti al compositore veronese, sul quale avevano preso informazioni preliminari («ex informationibus hac de causa per eos sumptis non habere superiorem in exercendo tale offitium»). È possibile che il suo nome fosse stato fatto e sostenuto da Nicolò Ormaneto, che in quell’anno si recò al Concilio di Trento come accompagnatore del cardinale Navagero, vescovo di Verona (Lockwood, 1970, p. 46); Ruffo era comunque persona già nota agli ambienti milanesi fin dall’epoca del suo servizio presso Alfonso d’Avalos.
Ruffo cercò subito di accedere ai circoli nobiliari cittadini, come mostra la sua prima pubblicazione milanese, i notevoli Capricci in musica a tre voci dedicati al marchese Marc’Antonio Martinengo di Villachiara (Milano, Moscheni, 1564; ed. a cura di M. Materassi, Treviso 1995; altra ed. parziale a cura di A. Bornstein, Bologna 1995), che si inseriscono nel fiorente filone della musica strumentale ivi assiduamente coltivata. I suoi impegni principali in duomo, l’elezione ad arcivescovo di Milano di Carlo Borromeo il 12 maggio 1564 e la nomina a vicario generale in sua assenza dello stesso Ormaneto nel giugno dello stesso anno (Borromeo sarebbe arrivato nella sua diocesi solo nel settembre 1565) lo distolsero da qualsiasi altra occupazione in termini musicali; soprattutto, gli assicurarono un ruolo di primo piano in occasione del sinodo milanese dell’agosto 1564 e nella discussione sulla musica in chiesa dopo la conclusione del Concilio di Trento. La preoccupazione maggiore di Borromeo, in qualità di arcivescovo e di membro della commissione preposta al controllo dell’osservanza dei decreti tridentini e sinodali da essi scaturiti, era di poter disporre di una musica in cui «le parole fossero più intelligibili che si potesse», e pertanto, in previsione dell’audizione romana del 28 aprile 1564, fece ordinare a Ruffo da Ormaneto la composizione e l’immediato invio di una messa «che fosse più chiara che si potesse» (Lockwood, 1970, pp. 92 s.; Mischiati, 1977, pp. 424-426).
I risultati vennero raccolti e pubblicati qualche anno dopo, nel 1570, nelle messe a quattro voci «ad ritum Concilii Mediolani» (Milano, Antoniano; per Missa primi toni e Missa secundi toni cfr. ed. a cura di G. Vecchi, Bologna 1963; per le altre due, ed. in Vincenzo Ruffo. Seven masses, cit.), dedicate al nobile Antonio Arcimboldi, protonotario apostolico e membro del Senato, il quale, a sua volta, spinse il compositore «ut syllabarum numeri, simulque voces et modi ab auditoribus piis plane et perspicue noscerentur ac perciperentur». In tal modo Ruffo diventò il vessillifero di uno stile compositivo assolutamente accordale e omoritmico, preoccupato unicamente della percezione auditiva del testo, e dal risultato finale talmente modesto e contrario al vero spirito tridentino che lo stesso ‘inventore’ fu indotto a mitigarlo, mentre fu in larga parte trascurato, se non del tutto abbandonato, dai musicisti coevi.
L’intervento di Borromeo riguardò anche direttamente la cappella musicale del duomo, che aveva subìto una riduzione d’organico per l’abbandono di diversi cantori per ragioni economiche; ne conseguì la pubblicazione, il 30 giugno 1572, del primo regolamento interno, nella cui redazione dovette essere coinvolto Ruffo (Mompellio,1961, pp. 777 s.).
Al più tardi il 25 giugno 1573 Ruffo lasciò la cappella milanese, per motivi ignoti, ma a quanto pare non per insoddisfazione dei reggenti nei suoi confronti. Qualche mese prima, il 3 ottobre 1572, era stato eletto maestro di cappella nel duomo di Pistoia con contratto triennale. Prese servizio formalmente il 1° aprile 1573 con lo stipendio di 60 scudi, 18 barili di vino e 18 misure di grano.
Ai canonici del duomo pistoiese presentò ufficialmente il 5 febbraio 1574 «un’opera di quattro messe in stampa» (Chiappelli, 1899, p. 6); si trattava del quarto libro di messe a sei voci «piene d’inusitata dolcezza, composte ultimamente con arte meravigliosa, conforme al decreto del sacrosanto Concilio di Trento» (così recita il frontespizio), edito a Venezia dall’erede Scotto e dedicato ai Canonici del duomo (ed. della Missa Sanctissimae Trinitatis in Vincenzo Ruffo. Seven masses, cit.). Come segno di stima gli venne aumentata di un’unità la dotazione mensile di vino e grano, «stando però in Pistoia al servitio di detto Capitulo» (Chiappelli, 1899, p. 6). Nello stesso anno, e per lo stesso editore, uscirono i salmi vespertini a cinque voci «conformi al decreto del sacro Concilio di Trento», dedicati ad Alessandro de’ Medici vescovo di Pistoia; la raccolta venne ristampata nel 1579 e nel 1588 (ed. a cura di M. Casadei Turroni Monti - C. Berlese, Lucca 1997).
Nei primi anni la cappella venne incrementata con l’apporto di nuovi cantori, ma nel corso del 1575 i rapporti tra Ruffo e il Capitolo cominciarono a incrinarsi; nonostante il rinnovo del contratto, e per motivi finora ignoti, il 25 febbraio 1577 i canonici elessero un coadiutore, Ferrante Fiorentino, il cui stipendio sarebbe stato detratto da quello del maestro di cappella. In seguito a tale delibera Ruffo decise di lasciare l’incarico (31 agosto 1577); l’eco della sua imminente partenza giunse a Firenze, tanto che Giovanna d’Austria, granduchessa di Toscana, si mise all’opera per raccomandare un suo protetto quale successore, un tal Simone Giovannini (Carter, 1996).
Abbandonata Pistoia, Ruffo rientrò a Verona; lo testimonia un volume di Magnificat a cinque voci «brevi et aierosi» (Venezia, eredi Scotto, 1578), dedicati da Verona in data 31 ottobre al conte Marc’Antonio Della Torre, preposto del duomo. Si trattò forse di un tentativo di rientrare nella cappella della cattedrale, allora retta da Gabriele Martinengo (Lockwood, 1970, p. 68); ma nient’altro è noto circa questo periodo, che forse si protrasse per qualche anno.
Il libro di messe a cinque voci composte «secondo la forma del Concilio Tridentino» stampato da Sabbio a Brescia nel 1580 non è di alcun aiuto, giacché si tratta della ripubblicazione di un libro, perduto, risalente al periodo milanese (sul frontespizio l’autore compare ancora come «maestro di capella del domo di Milano», e la dedica è a Paolo Caimo, canonico del duomo; ed. della Missa de Deprofundis in Vincenzo Ruffo. Seven masses, cit.). La partecipazione di Ruffo, con il sonetto Tra qualunque il sol gira e ’l mar circonda, alla ghirlanda di madrigali intessuta dall’Accademia Filarmonica nel 1580 in onore di Laura Peperara (Verona, Accademia Filarmonica, Ms. 220; ed. in Il primo lauro, a cura di M. Materassi, Treviso 1999) indica a sua volta una possibile ripresa di rapporti con l’istituzione veronese, o fors’anche una continuità mai interrotta.
L’ultimo incarico professionale fu a Sacile, dove il 27 agosto 1580 Ruffo venne eletto maestro di cappella per un triennio, con l’incarico di cantare la messa grande e i vespri festivi, la compieta in Quaresima, durante le processioni mensili; doveva inoltre insegnare il canto a dieci ragazzi («zaghi»). Lo stipendio, fissato in 24 ducati, 12 staia di frumento e 12 urne di vino, era piuttosto basso se confrontato a quelli di Milano e di Pistoia, ma comunque superiore a quello di tutti i suoi predecessori (Vale, 1924, pp. 78 s.).
Avvicinandosi la scadenza del contratto, Ruffo chiese il rinnovo, che venne esaminato il 1° aprile 1583. Apparentemente la supplica non ebbe risposta fino all’8 ottobre 1585, quando il vescovo di Ceneda, alla cui diocesi apparteneva Sacile, «ricercò li spett. Proveditori a ricondur M° Vincenzo Ruffo per cantore»; il giorno dopo il Consiglio lo riconfermò per un ulteriore triennio a partire dal 1° novembre successivo (p. 80). Non è noto se in occasione della prima scadenza vi fosse stato un tacito rinnovo o se vi fosse stata un’interruzione del servizio, come è stato ipotizzato sulla base del termine «ricondur» nonché della cronologia dei rinnovi triennali, che avrebbero dovuto aver luogo il 1° settembre del 1583 e del 1586 (Marchesini, 1944, p. 224). In questo periodo di ‘vuoto’ si colloca la nascita della figlia Camilla Laura, battezzata a Sacile l’8 febbraio 1584, nata da perlomeno il secondo matrimonio dell’ormai anziano compositore con una tale Caterina (ignoto il cognome; Metz, 1995, p. 71).
Le ultime opere collocabili nel periodo trascorso a Sacile risalgono certamente ad anni precedenti, e nella maggior parte dei casi sono riedizioni di libri a noi non altrimenti noti: due di mottetti a sei voci (Brescia, Sabbio, 1583, il primo dei quali dedicati al veronese Della Torre), uno di «soavissimi» responsori per la Settimana Santa (Milano, Francesco ed erede di Simone Tini, 1586, dedicati a Sforza Speciano, abate commendatario di S. Pietro all’Olmo presso Milano fino al 1582), e le postume Missae Boromeae a cinque voci (Venezia, Gardano, 1592; ed. a cura di S. Cisilino, Verona 1988).
Morì il 9 febbraio 1587 e venne sepolto nella chiesa di S. Nicolò a Sacile, nella tomba dei signori Raspi; la lapide sepolcrale, ritrovata nel 1907, è ancor oggi leggibile, seppur danneggiata dal terremoto del 1976 (riprodotta in Paganuzzi, 1976, pp. 128, 154 n. 33).
Per il catalogo completo delle opere cfr. O. Mischiati, Bibliografia delle opere pubblicate a stampa dai musicisti veronesi nei secoli XVI-XVII, Roma 1993, pp. 160-174.
Tra le edizioni moderne, oltre quelle già indicate: Missa sine nomine for 5 equal voices (Missa a voci pari), a cura di R.J. Snow, Cincinnati 1958; Completorium cum quinque vocibus. Otto salmi [...] per l’ora di Compieta, a cura di M. Tarrini, Genova-Savona 2004.
Fonti e Bibl.: L. Torri, V. R., madrigalista e compositore di musica sacra del secolo XVI, in Rivista musicale italiana, III (1896), pp. 635-683; A. Chiappelli, Il Maestro V. R. a Pistoia, in Bullettino storico pistoiese, I (1899), pp. 3-10; G. Vale, Gli ultimi anni di V. R., in Note d’archivio per la storia musicale, I (1924), pp. 78-81; G. Turrini, L’Accademia Filarmonica di Verona dalla fondazione (maggio 1543) al 1600, Verona 1941, ad ind.; G. Marchesini, Dell’eccellentissimo musico V. R. compositore del secolo XVI, in Bollettino della Società filologica friulana, XIX (1944), pp. 215-225; A. Einstein, The Italian madrigal, I, Princeton (N.J.), 1949, pp. 463- 471; F. Mompellio, La cappella del duomo da Matthias Hermann di Vercore a V. R., in Storia di Milano, IX, Milano 1961, pp. 769-785; J.A. Schmitz, Bemerkungen zu V. R.s Passionskompositionen, in Miscelánea en homenaje a monseñor Higinio Anglés, II, Barcelona 1961, pp. 821-832; L. Lockwood, The counter- reformation and the masses of V. R., Venezia 1970; E. Paganuzzi, Documenti veronesi su musicisti del XVI e XVII secolo, in Scritti in onore di mons. Giuseppe Turrini, Verona 1973, pp. 570 s.; Id., Medioevo e Rinascimento, in La musica a Verona, Verona 1976, pp. 125-129, 153 s.; O. Mischiati, Ut verba intelligerentur: circostanze e connessioni a proposito della “Missa Papae Marcelli”, in Atti del Convegno di studi palestriniani... 1975, Palestrina 1977, pp. 424-426; M. Tarrini - M. Scarrone, Un manoscritto musicale del XVI secolo e due documenti su V. R., in Liguria, XLIX (1982), 5, pp. 10-20; M. Tarrini, Contributo alla biografia di V. R.: l’attività a Savona e a Genova (1542-46, 1562), in Note d’archivio per la storia musicale, n.s., IV (1986), pp. 105-118; Dizionario enciclopedico universale della musica e dei musicisti. Le biografie, VI, Torino 1988, pp. 493 s.; M.R. Moretti, Musica e costume a Genova tra Cinquecento e Seicento, Genova 1990, ad ind.; E. Paganuzzi, I maestri di cappella della cattedrale di Verona dal 1520 al 1562 (correzioni e aggiunte), in Civiltà veronese, n.s., IV (1991), pp. 29-34; F. Metz, Messer V. R. a Sacile, in Aria di primavera ’95 [...]. Rassegna d’arte, Sacile 1995, pp. 71-73; T. Carter, Music at the Duomo in Pistoia: three new documents from the Cinquecento, in Musica Franca. Essays in honor of Frank A. D’Accone, a cura di I. Alm - A. McLamore - C. Reardon, Stuyvesant (N.Y.), 1996, pp. 99-117; C. Nocilli, Il terzo libro di madrigali a cinque voci di V. R.: edizione critica, tesi di laurea, Università di Pavia 1997; A. Ganda, Giovanni Antonio Castiglione e la stampa musicale a Milano, in Anatomie bibliologiche, Firenze 1999, pp. 320 s.; The new Grove dictionary of music and musicians, XXI, London-New York 2001, pp. 874 s.; I. Fenlon, Music and civic piety in counter-reformation Milan, in Id., Music and culture in late Renaissance Italy, Oxford 2002, ad ind.; Die Musik in Geschichte und Gegenwart. Personenteil, XIV, Kassel 2005, coll. 652-656; Atti dell’Accademia Filarmonica di Verona, I, 1543-1605, a cura di M. Materassi, Verona 2015, ad indicem.