SCAMOZZI, Vincenzo
Architetto teorico, scrittore, ingegnere idraulico, nato a Vicenza nel 1552, morto a Venezia nel 1616. S'iniziò sotto la guida del padre Giandomenico (1526-1582), architetto, geometra, carpentiere, costruttore di molti edifici e ville a Vicenza e nei dintorni. Studiò l'opera del Palladio. Nel 1572 si trasferì a Venezia, dove rimase tutta la vita, tranne i frequenti viaggi nel Veneto, in Italia e attraverso l'Europa, di cui quello a Roma durò due anni. Prestò servizio alla Repubblica Veneta in qualità d'ingegnere idraulico.
Delle numerosissime sue imprese architettoniche, le più considerevoli per la valutazione del suo stile, in ordine cronologico, sono: il palazzo Verlato a Villaverla (vicentino; 1576), la villa Pisani a Lonigo (Vicentino; 1576), il palazzo Trissino al Duomo di Vicenza (1577-1579), la chiesa di San Gaetano a Padova (1581-86), il proscenio del Teatro Olimpico del Palladio di Vicenza (1583-1585), le Procuratie Nuove di Venezia (1584-1611) fino al 16° arco, la sistemazione dell'Antisala della Libreria di Venezia (1586-97), progetti per il Ponte di Rialto (1588), il Teatro all'Antica Sabbioneta (1588-89), il palazzo Trissino al Corso di Vicenza (1592), le porte d'Aquileia, di Udine e di Cividale e il Duomo di Palmanova (1603-05), la Villa Dondi dell'Orologio alla Mandria (Padova; 1597), i progetti per la riedificazione del Duomo di Salisburgo (1606-07), il palazzo Contarini a S. Trovaso a Venezia (1609), il progetto per il Palazzo Nuovo di Bergamo, parzialmente costruito (1611).
Il processo di eclettismo, difeso dallo Scamozzi nella sua teorica, è realizzato nella sua architettura attraverso l'imitazione e la contaminazione del Serlio, del Palladio e del Sansovino. Il fenomeno accademico scamozziano ha il suo preciso parallelo nella pittura dei Caracci. È evidente nell'opera dello S. lo sforzo d'imitare il Palladio (palazzo Verlato, villa Pisani riecheggiante la Rotonda palladiana); ma, tranne che nella facciata di S. Gaetano a Padova, il suo gusto sembra polemicamente opporsi a quello pittorico e chiaroscurale palladiano. Già in un'opera della giovinezza, nel palazzo Trissino al Duomo di Vicenza, lo S. s'era accostato al gusto serliano, quasi cercando nell'architetto emiliano motivi arcaici e linearistici che temperassero il fermento pittorico insito nell'architettura veneta contemporanea. Ma nel teatro di Sabbioneta il gusto scamozziano si risolve in un equilibrio sobriamente decorativo. La definizione geometrica degli elementi tettonici e la loro riposata articolazione suggeriscono, come nel palazzo Contarini di Venezia, che è il suo capolavoro, una composta dignità di ritmo, un'eleganza volutamente classicheggiante, ma tanto più raffinata e manieristica. La contaminazione del gusto palladiano con quello sansovinesco, spesso tentata e che ha il suo massimo esempio nelle Procuratie Nuove,. non produce migliori frutti; anzi dà risalto al compromesso causato dall'imitazione accademica di due intenzioni stilistiche così differenziate. Nel palazzo Contarini, dove lo S. sembra dare il meglio di sé stesso, partendo da schemi decorativi sansovineschi, egli ne opera una riduzione, acquietando ogni contrasto chiaroscurale per rafforzare la nettezza dell'organismo linearistico dell'edificio.
Lo S. si può dire il primo interprete neoclassico che il Palladio ebbe nel Veneto.
Gli scriui dello S. chiariscono l'indirizzo della sua personalità artistica. Oltre a numerose pubblicazioni di carattere archeologico, dove è rivelato il suo entusiasmo verso il culto di Roma antica, la fama dello S. è legata al suo trattato, che può dirsi l'ultima "Summa" del pensiero architettonico del Rinascimento. Dopo anni di ricerche, di viaggi e di raccolta di notizie, lo S. pubblica nel 1615 L'Idea dell'architettura Universale, progettata nel 1591 in 12 libri, ridotta a 10, ripresa a fondo nel 1607 e finalmente ridotta a 6 libri. L'opera ha la sua giustificazione nel titolo stesso, in quanto lo S. non si limita all'esposizione di una teoria classica, ma abbraccia tutte le cognizioni dell'edilizia del mondo conosciuto. È evidente lo stacco fra la trattazione dottrinaria, di carattere classicistico, e quella di puro interesse informativo. Mediante il dogma degli ordini, quali forme eterne, lo S. giunge a stabilire la perfezione del gusto classico; ma nel VI libro, attraverso l'unità di misura del modulo, egli determina le leggi degli ordini, secondo un proprio canone, ispirato in parte a quello vitruviano. Infatti, in nome di un'antichità ideale, gli ordini scamozziani vogliono essere una rettifica di quelli realizzati dal Palladio e dal Sansovino. Il gusto accademico dello S. insegna all'architetto la continua e successiva elaborazione e scelta di elementi formali, negando la spontanea creazione. Ancora lo S. subordina il concetto di bellezza alla finalità pratica dell'edilizia, quasi preludendo alla concezione razionale dell'architettura cara al Milizia.
Bibl.: R. Pallucchini, in Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, XXIX, Lipsia 1935 (con bibliografia); id., V. S. e l'architettura veneziana, in L'Arte, XXXIX (1936), 3-30.