SINATRA, Vincenzo
– Nacque a Noto da Antonio e da Paola Gaita nel 1707, in un momento in cui la città stava vivendo un’eccezionale attività edificatoria, esito dello sforzo ricostruttivo successivo al devastante terremoto del 1693, che aveva determinato la rifondazione integrale del centro urbano sull’altopiano del Meti, a una decina di chilometri dall’antico insediamento.
Gli esordi della sua attività professionale sono documentati a partire dal 1726 nel cantiere del monastero di S. Maria dell’Arco, sotto la direzione di Rosario Gagliardi, architetto di spicco dell’ambiente professionale del tempo, del quale è unanimemente considerato allievo. Al pari del suo maestro, in base ai supporti documentali noti, la sua formazione si svolse prevalentemente attraverso la pratica cantieristica, prima come semplice intagliatore lapideo e «faber murarius», poi, intorno al 1739, come capomastro «et architectus» (Canale, 1976, pp. 271, 291). A differenza di Gagliardi, la cui maturità professionale è stata ricondotta a un completamento degli studi teorici presso il collegio dei Gesuiti di Palermo, per Sinatra il titolo di architetto, comunque associato ricorrentemente a quello di mastro o capomastro, in assenza di informazioni riferite alla sua formazione, sembra sostanzialmente ottenuto 'sul campo' come riconoscimento, da parte dell’ambiente netino, delle raggiunte competenze tecniche, nella gestione dei cantieri, nelle tecnologie costruttive, nella scelta e stima dei materiali e nella stereotomia. In quest’ultimo ambito, da un dispaccio senatorio del 1760 (Di Blasi, 1990, p. 54, Bares, in Rosario Gagliardi, 2013, pp. 72 s.) si apprende che Sinatra fu istruito dal sacerdote Francesco Maria Sortino, matematico e filosofo, e figura di primo piano della vita culturale netina della prima metà del XVIII secolo. Dallo stesso documento si viene a conoscenza di un suo apprendistato sui «principj dell’Architettura» con il nobile netino Francesco Landolina, dilettante della disciplina.
Luigi Di Blasi, senza fornire alcun supporto documentario, riporta la notizia di un suo periodo di detenzione a partire dalla fine del 1730 (1990, p. 17), da ritenersi comunque già concluso nel 1733, anno in cui Sinatra sposò Corrada Blanca, dalla quale ebbe quattro figli. Tuttavia l’attività di Sinatra negli anni Trenta del Settecento risulta sostanzialmente sconosciuta, se si escludono il perdurare dell’impegno nel cantiere di S. Maria dell’Arco (1730) e un non chiaro né documentato intervento nel 1736 nella chiesa dell’Annunziata a Ispica (Di Blasi, 1990, p.18). Allo stato attuale degli studi, la sua attività sembra aver decollato solo nel 1739, anno al quale possiamo ricondurre il suo primo impegno progettuale per il portale dell’infermeria del convento di S. Giovanni di Dio a Noto (Canale, 1976, p. 291).
La consacrazione professionale giunse nel 1742, quando gli venne affidato l’incarico della costruzione ex novo del palazzo senatorio di Noto (Canale, 1976, p. 275; Tobriner, 1982, 1989, p. 232), opera che egli seguì con continuità e scrupolo per diversi anni fino al compimento (l’ultimo documento che lega Sinatra al cantiere è del 1757). In sede storiografica, si è ricorrentemente supposto che l’affidamento di tale importante cantiere cittadino possa essere stato agevolato dai legami con Gagliardi, il quale in quegli anni era concentrato in altri impegnativi progetti fuori di Noto, primo tra tutti quello per il duomo di S. Giorgio a Ragusa Ibla (dal 1738), considerata la sua opera più significativa. Non vi è dubbio, tuttavia, che il prestigioso incarico per il palazzo municipale deve essere anche interpretato come l’esito di un ormai consolidata fiducia nei riguardi di Sinatra da parte dell’oligarchia cittadina, colta, aggiornata e attivamente coinvolta nel dibattito architettonico, e composta da famiglie di più antico lignaggio, come quella dei Trigona, dei Landolina e dei Deodato, e da personaggi di più recente ascesa sociale, tra i quali spiccavano in quegli anni Pietro Maria Di Lorenzo e Giacomo Nicolaci (Montana, in Rosario Gagliardi, 2013). Proprio da quest’ultimo Sinatra era stato coinvolto già nel 1739 nel cantiere del suo palazzo in relazione all’acquisto dei materiali (Luminati, 2009, p. 56).
A riprova delle sue articolate competenze tecniche e della fiducia raggiunta in sede municipale, Sinatra fu nominato deputato per le imposte sugli edifici in occasione del «rivelo» (censimento fiscale delle persone e dei beni) del 1747-48 (Tobriner, 1982, 1989, pp. 113, 169; Luminati, 2009, p. 43). Nel frattempo, nel 1745, in seguito alla morte, l’anno precedente, della prima moglie, i legami con il suo maestro erano stati rinsaldati grazie al matrimonio con Alfia Capodicasa, figlia della sorella maggiore di Gagliardi (Di Blasi - Genovesi, 1972, p. 30). Nel citato «rivelo» del 1747, nel nucleo familiare di Sinatra vengono censiti cinque figli: Giuseppe d’anni 13, Antonio d’anni 9, Maria d’anni 8, Francesco d’anni 5 e Rosario di un anno, nato dalla seconda moglie, ai quali si aggiunse nel 1752 la figlia Giuseppa.
La formazione di Sinatra e la sua progressiva affermazione nei principali cantieri di Noto e del suo territorio si pongono all’interno di una delle tematiche storiografiche centrali del Settecento in Val di Noto, focalizzata sull’antagonismo, tra capomastri e architetti intellettuali, ricorrentemente documentato dalle fonti, e non di rado sfociante in infiammate polemiche nel circuito dei cantieri più ambiti. Nel caso specifico di Sinatra, esse si palesarono soprattutto nei riguardi di Paolo Labisi, anch’egli netino e più giovane di una decina d’anni, di certo influenzato dallo stesso Gagliardi ma formatosi attraverso un più solido supporto teorico, grazie anche ai documentati rapporti con Sortino. Dopo un periodo di collaborazione nei cantieri del monastero di S. Agata (1751), dell’oratorio di S. Filippo Neri (1753; Tobriner, 1982, 1989, p. 174) e, nello stesso anno, come periti nominati dai giurati di Noto per una contesa con i padri domenicani (Dufour - Raymond, 1990, pp. 130 s.), l’antagonismo tra i due colleghi si manifestò nel 1760 per la carica di architetto della città di Noto: i giurati, che intendevano promuovere Labisi, a loro giudizio dotato di una più consistente e colta formazione, stroncarono Sinatra, nello stesso dispaccio in cui si citava il suo apprendistato con Sortino e Landolina, per il suo «gusto gotico» e perché «malamente» sapeva leggere e scrivere (Di Blasi, 1990, p. 54). Fu comunque nel cantiere del complesso dei Padri Crociferi di Noto – opera progettata e diretta da Labisi fin dal 1749 – che si giunse all’aperto conflitto. Da una serie di documenti risalenti agli anni 1767-70 (Canale, 1976, pp. 281, 288 s.; Tobriner, 1982, 1989, pp. 233 s.) si apprende infatti che, a causa di crescenti controversie sui costi e sulla gestione delle opere, in relazione ad alcuni problemi statici in parte causati dal terremoto del 1766, Labisi fu prima affiancato e poi sostituito da Sinatra, che acquistò il pieno controllo dell’opera modificando in più parti il progetto originario. Nel suo atto di protesta Labisi ebbe modo in prima persona di sottolineare la poca professionalità del suo antagonista, «che giornalmente va pensando disfare in pregiudizio della casa o per capriccio o per l’ispertezza del medesimo, giacché si è dichiarato di non avere sin oggi compreso il disegno» (Tobriner, 1982, 1989, p. 234).
Nel corso degli anni Cinquanta Sinatra aveva in realtà raggiunto ormai un ruolo del tutto preminente nell’ambiente professionale della città, proprio in forza delle sue indiscusse competenze tecniche, posizione che era stata poi ulteriormente consolidata dopo la procura generale ricevuta l’11 dicembre 1762 da parte di Gagliardi pochi giorni prima della sua morte (Di Blasi - Genovesi, 1972, p. 71). S’ignorano tuttavia le sue capacità disegnative, essendoci giunti, come sue uniche memorie grafiche, un rilievo del feudo di San Lorenzo, datato 1760 (Antista, 2017, p. 87), e una grossolana planimetria del 1764 della città di Noto e del suo territorio (Tobriner, 1982, 1989, p. 67), legate alla sua parallela attività di agrimensore. Numerosi sono invece i riscontri documentari dell’ampliamento delle sue competenze e dell’affermazione professionale anche oltre i confini del territorio netino, come testimoniano il progetto del 1749 per la piazza porticata di S. Maria Maggiore a Ispica (Nifosì, 2010); l’ideazione e il tracciamento nel 1759 del centro feudale di Xibini (attuale Pachino) su incarico di Gaetano Starabba, principe di Giardinelli (Di Blasi, 1990, p. 19); la riconfigurazione della facciata della chiesa Madre di Floridia (1761-62, Fidone - Susan, 1997); la presenza, in qualità di «ingignere» estimatore dei lavori, nel cantiere della chiesa di S. Giovanni Evangelista a Scicli (Nifosì, 1988); la direzione del cantiere, nel 1772, delle case nel fondo di Capo Passero di Corradino Nicolaci (Tobriner, 1982, 1989, p. 233); e l’elaborazione, nel 1777, della pianta della città di Eliopoli, nuovo centro feudale nel territorio di Noto, che non venne poi impiantato per il sopraggiunto mancato interesse del suo fondatore, il principe Girolamo Landolina (Di Blasi, 1990, p. 19).
Nel contesto netino, in quegli anni la presenza di Sinatra, a vario titolo ma comunque con un ruolo dirigenziale, è documentata nei cantieri della chiesa di S. Francesco d’Assisi all’Immacolata (1750; Canale, 1976, pp. 278 s.), del monastero del SS. Salvatore (1750; pp. 279 s.; Tobriner, 1982, 1989, p. 232), della chiesa di S. Francesco di Paola (1751; Canale, 1976, p. 280), del palazzo Zappata (1756, p. 285), del complesso extra moenia di S. Maria della Scala (1771), e del collegio dei Gesuiti (1776). In quest’ultimo caso la sua mansione si limitò comunque al coordinamento di «ripari», eseguiti dal mastro Corrado Mazza, su incarico di Bernardo Maria Trigona e Deodato, deputato per l’amministrazione dei beni dell’abolito istituto gesuitico (Canale, 1976, p. 297). Sempre nel contesto netino vengono attribuiti a Sinatra i progetti per la chiesa di S. Maria di Gesù (Tobriner, 1982, 1989, p. 174), il palazzo Impellizzeri (Di Blasi, 1990, p. 49, senza supporti documentari) e la chiesa del Carmine, da ricondurre al proseguimento dei lavori nel complesso conventuale dopo la morte di Gagliardi, che ne aveva seguito l’edificazione fin dal 1732 (Di Blasi - Genovesi, 1972, p. 46). Il nome di Sinatra ricorre infine, in qualità di architetto dal ruolo non chiarito, nei documenti riguardanti l’edificazione del nuovo duomo di Noto, portati avanti, dalla ripresa decisiva del cantiere nel 1765 fino ad almeno il 1769, dal figlio Giuseppe, in qualità di capomastro della «Nuova Matrice chiesa» (Canale, 1976, pp. 292 s.).
La documentata presenza di Sinatra in numerosi cantieri, spesso in compresenza di altri tecnici o nel contesto di opere già in corso e dalla cronologia incerta, oltre all’accertata e duratura collaborazione con Gagliardi, se da un lato aiuta a comprendere l’ampio raggio delle sue competenze e della sua versatilità, dall’altro rende difficile l’identificazione dei sui effettivi contributi e orientamenti progettuali. La storiografia tende comunque a sottrargli la paternità di alcune delle opere più impegnative, cui il suo nome risulta tuttavia saldamente legato. È il caso del palazzo senatorio di Noto. Per quanto infatti Sinatra ne seguì fin dalle fondazioni la costruzione, ricevendo compensi anche «per i modelli e per i disegni» (Pisani, 1950, p. 80), Vincenzo Arezzo Prado, uno storico netino dell’Ottocento, riferisce che fu Giacomo Nicolaci a portare il disegno da Montpellier (Arezzo Prado, 1862, p. 156). Sebbene le ascendenze francesi dell’impianto originario, da identificare nel solo primo ordine (il secondo fu aggiunto nel XIX secolo), e la sua appartenenza a un più ampio circuito internazionale di idee, in riferimento soprattutto all’estroflessione della sala circolare, siano state già ampiamente poste in evidenza (Tobriner, 1982, 1989, pp. 169-174), risulta comunque inverosimile, anche in ragione della destinazione d’uso, la riproposizione pedissequa in sede locale di un progetto elaborato in Francia. A Sinatra, con lo stesso Gagliardi presumibilmente al fianco, vanno quanto meno ricondotti i dettagli architettonici, come il michelangiolesco ordine ionico delle colonne di prospetto, e il 'taglio' secondo ampie curve dei quattro angoli dell’impianto, che innestano un dinamico contrappunto al corpo centrale, divenendo occasione di virtuosismo costruttivo, esibito con padronanza nel raffinato gioco stereotomico di archi concavi e convessi, e nei sistemi di copertura dei corpi retrostanti (Bares, 2013, in Rosario Gagliardi, pp. 77-80).
Nel caso, invece, dei monumentali complessi religiosi del collegio dei Gesuiti, del monastero del SS. Salvatore e dello stesso duomo di Noto, la letteratura storiografica, a partire dagli studi di Stephen Tobriner (1982), fino ai più recenti contributi (Krämer, 2002; Piazza, 2008; Nobile - Bares, 2013), tende in modo praticamente unanime a ricondurre la fase ideativa, almeno delle parti essenziali e caratterizzanti, a Gagliardi.
Si può invece essere propensi a individuare una maggiore responsabilità progettuale di Sinatra nella facciata della chiesa di Montevergini a Noto (1747-48), nella piazza porticata antistante alla chiesa di S. Maria Maggiore a Ispica (1749) – complessi in cui risulta comunque attivo Gagliardi rispettivamente nel 1740 e nel 1738 – e nella facciata-torre della chiesa Madre di Floridia (1761-62), una delle poche architetture assegnatagli con certezza, almeno nello sviluppo dei primi due ordini. Sono tutte opere caratterizzate da un atteggiamento moderato – rispetto alla più accentuata e vitale indole inventiva del suo maestro e dello stesso Labisi – basato su un cauto lessico classicista e sull’uso di geometrie elementari (il semicerchio concavo per la facciata di Montevergini, il semicerchio convesso per la facciata della chiesa di Floridia, la semiellisse per la piazza di Ispica), che risulta coerente con quanto attribuitogli nel palazzo del Senato. In quest’ottica Sinatra può essere interpretato come un 'semplificatore' delle complesse sperimentazioni di Gagliardi, sia nel lessico architettonico, ricondotto all’interno della trattatistica tradizionale con episodiche aperture verso soluzioni più aggiornate comunque ad ampia circolazione, sia nei congegni murari e planimetrici, in grado tuttavia di elaborare soluzioni valide e scenograficamente efficaci.
L’orientamento 'moderato' imputabile a Sinatra sembra approdare a un’inerzia creativa nei progetti minori, come i prospetti delle chiese netine di S. Francesco di Paola, di S. Francesco d’Assisi all’Immacolata e di S. Maria di Gesù, opere la cui paternità resta comunque tutt’altro che certa. Resterebbero invece fuori da questo tracciato interpretativo le ben più complesse e articolate facciate della chiesa del Carmine a Noto e di S. Giovanni Evangelista a Scicli, tanto da poterne mettere in dubbio la congetturale attribuzione.
Di difficile interpretazione e identificazione risulta anche il possibile apporto progettuale nel grande complesso dei Crociferi di Noto, opera in realtà progettata in tutti i dettagli da Labisi e già ampiamente avviata al momento dell’insediamento di Sinatra con un ruolo decisionale. Sulla scorta di alcune scarne indicazioni deducibili dai documenti e incrociando i dati leggibili nei disegni di Labisi con il costruito, Tobriner ha identificato l’apporto di Sinatra negli elementi decorativi dell’atrio e delle scale e nelle arcate mistilinee sulle colonne del refettorio (1982, 1989, pp. 176 s.), soluzioni che non trovano riscontro in nessuna altra opera che veda coinvolto l’architetto e per le quali, pertanto, non si può escludere che si tratti di ripensamenti in corso d’opera dello stesso Labisi, prima dell’allontanamento dal cantiere, o comunque di una rielaborazione dei suoi disegni da parte di Sinatra.
Negli anni 1779-80 l’ormai anziano architetto ritornò a collaborare con il figlio Giuseppe, nei rispettivi ruoli di architetto e capomastro, nel complesso di S. Maria della Scala di Noto per il completamento del prospetto (Canale, 1976, p. 297), da considerare il suo ultimo impegno professionale, insieme al «disegno del quarto del palazzo» del barone Giuseppe Di Lorenzo a Noto (Di Blasi, 1990, p. 22), che lasciò incompiuto.
Infermo e costretto a letto nella sua casa di Noto, Sinatra dettò il suo testamento il 12 agosto 1781, dichiarando di voler essere seppellito «nella venerabile chiesa del venerabile convento di S. Maria del Carmine […] e nella fossa innanzi l’altare de’ Santi Incoronati, de’ mastri muratori ed intagliatori di questa suddetta città» (ibid.).
Morì il 26 agosto 1782.
Fonti e Bibl: V. Arezzo Prado, Cenni storici sugli avvenimenti netini, Noto 1862, p. 156; N. Pisani, Noto, barocco e opere d’arte (con documenti inediti e illustrazioni), Siracusa 1950, pp. 80 s.; S. Bottari, Contributi all’architettura del ’700 in Sicilia: Gagliardi e Sinatra, in Palladio, VIII, 1958, 2, pp. 69-77; L. Di Blasi - F. Genovesi, Rosario Gagliardi «architetto dell’ingegnosa città di Noto», Catania 1972, passim; C.G. Canale, Noto – la struttura continua della città tardo-barocca. Il potere di una società urbana nel Settecento, Palermo 1976, passim; S. Tobriner, The genesis of Noto. An Eighteenth Sicilian city, Berkley-Los Angeles 1982 (trad. it. Bari 1989, passim); P. Nifosì, Scicli, una via tardobarocca, Scicli 1988, pp. 14-16; L. Di Blasi, Architettura e urbanistica a Noto nell’opera di V. S. architetto del ‘700, Noto 1990; L. Dufour - H. Raymond, Dalle baracche al barocco, la ricostruzione di Noto. Il caso e la necessità, Palermo 1990, pp. 130 s.; M. Vitella, S., V., in L. Sarullo, Dizionario degli artisti siciliani, I, Architettura, a cura di M.C. Ruggieri Tricoli, Palermo 1993, pp. 400 s.; E. Fidone - G. Susan, Un intervento inedito di Vincenzo Sinatra: il cantiere della Chiesa Madre di Floridia, in L’architettura del Settecento in Sicilia, a cura di M. Giuffrè, Palermo 1997, pp. 151-172; A. Krämer, Rosario Gagliardi e i “progetti” per la Chiesa Madre di Noto, in Lexicon, storie e architettura in Sicilia, 2002, n. 1, pp. 49-58; S. Piazza, Le città tardobarocche del Val di Noto nella World Heritage List dell’UNESCO, Palermo 2008, passim; M. Luminati, Storia di Palazzo Nicolaci, in Palazzo Nicolaci di Villadorata a Noto, a cura di G. Susan, Milano 2009, pp. 32-67; P. Nifosì, La basilica di Santa Maria Maggiore in Ispica, Ispica 2010, pp. 151 s.; Rosario Gagliardi (1690 ca.- 1762) (catal., Noto), a cura di M.R. Nobile - M.M. Bares, Palermo 2013 (in partic. M.R. Nobile, Rosario Gagliardi (1690 ca-1762), pp. 13-59; M.M. Bares, L’architetto e la costruzione, pp. 61-91; S. Montana, L’architetto e l’aristocrazia, pp. 109-121); A. Antista, Un rilievo di V. S. per il feudo di San Lorenzo a Noto, in Lexicon. Storie e architettura in Sicilia e nel Mediterraneo, 2017, n. 25, pp. 86-88.