SPINOLA, Vincenzo
– Nacque a Genova il 24 ottobre 1752 da Domenico, dei marchesi di Campofreddo, oggi Campo Ligure, e da Benedetta Serra. Orfano di padre quando era ancora in fasce, non aveva fratelli né prese moglie, e non ebbe dunque neppure figli, quantomeno legittimi.
Si guadagnò fama di capace uomo di governo, di filantropo, e soprattutto di aristocratico aperto ai progressi delle scienze e delle tecniche. Propensione, quest’ultima, di cui diede prova figurando in un’accolita di genovesi dedita a esperimenti di aerostatica. Nel 1784, questo gruppo, guidato dal nobile Antonio Maria Maggioli, fece volare per la prima volta nei cieli di Genova un pallone aerostatico, che ascese proprio davanti all’abitazione di Spinola, nella zona di Carignano. Particolare non insignificante, perché fu probabilmente il patrocinio di Vincenzo a rendere possibile un’iniziativa di lì a poco soffocata dai provvedimenti ostativi delle autorità genovesi. Forse è esagerato attribuirgli una caratura di nobile illuminato, ma, per curiosità e vivacità intellettuali, Vincenzo spiccava in un contesto arido e misoneista come quello genovese. In più, le sue simpatie per le istanze democratiche che si stavano agitando in Francia lo rendevano particolarmente adatto a muoversi nei marosi internazionali alle viste.
Nel 1792, quando le armate francesi attaccarono il Regno sardo invadendone alcuni domini, fu nominato governatore di Sanremo e commissario militare del Ponente ligure. Tra i territori sabaudi occupati, vi era la contea di Nizza, che era a ridosso dei confini occidentali della Repubblica di Genova, e che divenne una centrale di propaganda giacobina animata da Augustin Robespierre. Genova non era in guerra con Parigi, anzi: sfruttando la sua neutralità, stava facendo buoni affari con l’esecutivo francese. Ma la Révolution era alle porte, e il rischio che potesse traboccare in Liguria era concreto; tanto più che, soltanto pochi decenni prima, Sanremo si era ribellata al potere centrale. Difficile dire quanto abbia inciso l’operato di Spinola in quelle circostanze; ma nuovi tentativi insurrezionali si verificarono in quelle zone: piccoli focolai rivoltosi che egli domò usando abilmente il bastone e la carota. Parlamentò, inviò soldatesche, scese a compromessi; e, in buona sostanza, per quanto fosse in suo potere, che era poca cosa, si portò bene.
Nel 1794, le armate francesi varcarono i confini dello Stato genovese. La temuta invasione si era verificata; e, con essa, l’occupazione di quasi l’intera Riviera di Ponente, da Ventimiglia a Savona. L’attacco, avvenuto senza una dichiarazione di guerra, evidentemente ritenuta superflua, metteva in luce tutte le debolezze della Repubblica. Spinola protestò presso due dei generali francesi che guidavano la spedizione, Andrea Massena e Napoleone Bonaparte; ma la sua era una voce flebile.
Con cruda semplicità, Bonaparte giustificò l’accaduto con ragioni di ordine strategico: gli austriaci stavano rafforzando le loro posizioni in Piemonte; e, per parare il colpo, i francesi avevano dovuto procedere all’occupazione di un settore bellico divenuto di primaria importanza. Una situazione che costringeva l’oligarchia genovese a uscire dal suo attendismo: il che significava schierarsi con la Francia rivoluzionaria. Viceversa, suggerì minaccioso il futuro imperatore, difficilmente Parigi avrebbe potuto considerare temporanea quell’occupazione militare.
La Repubblica riuscì a temporeggiare ancora per poco tempo, mentre i suoi domini diventavano teatro di guerra. Nel 1795, a Parigi s’instaurò il Direttorio; e, profittando di quella situazione d’instabilità politica, gli austro-piemontesi contrattaccarono in Liguria. Ma, quando l’armée d’Italie passò nelle mani di Bonaparte, ottenendo un successo dietro l’altro, fino a penetrare nella pianura Padana e assicurandosi il controllo della penisola, il governo genovese non poteva più tergiversare. Per trattare si affidò a Spinola, che fu nominato ambasciatore straordinario a Parigi, con mansioni di ministro plenipotenziario.
Nella capitale francese, Spinola andò a ingrossare un gruppo di emissari italiani giunti per strappare le migliori condizioni possibili: Alvise Querini per Venezia, Prospero Balbo per Torino, Neri Corsini per Firenze e Antonio Pignatelli per Napoli. Diplomatici che avevano poco o nulla da offrire, e che dovevano perciò impiegare molta pazienza di fronte alle sprezzanti richieste francesi. Il ministro degli Esteri francese Charles de Contaut Delacroix rassicurò che il Direttorio non voleva rovesciare la Repubblica; ma intimò di far cessare le persecuzioni di cui erano fatti oggetto i filofrancesi a Genova. Parigi manteneva insomma la pistola puntata alla tempia della Repubblica, e stava all’oligarchia genovese scaricarla. Spinola avviò le trattative per giungere a un’alleanza, adoperandosi per rendere meno amaro il boccone delle pretese del Direttorio, a cui interessava soprattutto ottenere ingenti finanziamenti e la chiusura agli inglesi dei porti liguri. Su quest’ultimo punto, che portava Genova verso la guerra con l’Inghilterra, Spinola non poté far nulla; ma gli riuscì di rendere meno esorbitanti le contribuzioni finanziarie. Inoltre, evitò che s’installassero guarnigioni francesi in Liguria, e scongiurò il rischio che si celebrassero a Genova processi sommari contro chi era accusato di aver trescato contro la Francia.
Ottenuto il placet dal governo genovese, nel novembre del 1796 firmò un trattato di alleanza sul quale non doveva essersi fatto soverchie illusioni. Anzi, nei suoi dispacci mostrava di aver ben compreso le reali intenzioni del Direttorio. Del resto, non era necessario molto acume per capirlo. Il ministro francese a Genova Guillaume-Charles Faypoult de Maisoncelle non perdeva occasione per creare occasioni di disordine e di provocazione, a cui si accodava Bonaparte per minacciare azioni di forza contro la Repubblica. Spinola pregava il suo governo di mantenere l’ordine in città; ma era ben difficile frenare gli eventi, che stavano portando alla caduta della Repubblica aristocratica: fatto che si verificò nel giugno del 1797.
Un mese più tardi, Spinola ottenne di essere sollevato dall’incarico. Ma, rientrato a Genova, finì impelagato in un processo farsesco: imputato, insieme ad altri diplomatici genovesi precedentemente attivi a Parigi, di cospirazione contro la neonata Repubblica ligure. Un procedimento talmente infondato e squisitamente politico che si chiuse presto con l’assoluzione per tutti gli accusati. L’intento era quello di gettare discredito su chi aveva servito la Repubblica oligarchica, così da poterlo escludere dal processo di costituzione del nuovo Stato democratico. Una beffa per il filofrancese, anche se moderato, Spinola che, dopo aver contribuito ad avvicinare Genova a Parigi, veniva brutalmente estromesso dalla vita politica genovese. Insieme ad altri otto colleghi, decadde dalla carica di senatore dopo una votazione che, a dispetto delle forme, aveva ben poco di democratico, se non nell’accezione giacobina del termine. D’altronde la consultazione era stata condizionata dal rivoluzionario corso Antonio Cristoforo Saliceti, giunto a Genova per modellare la Repubblica ligure secondo i desideri di Parigi.
Uomo dell’emergenza, quando Genova fu sottoposta al duro assedio anglo-austriaco nel 1800, Spinola fu per qualche tempo al seguito del generale Massena, nel solito tentativo di moderare lo strapotere francese. Nel 1805, poco dopo la soppressione della Repubblica ligure e l’annessione dei suoi territori all’Impero, entrò nel Consiglio municipale cittadino. Nel 1812, venne nominato maire di Genova: una designazione che dimostrava la stima di Bonaparte nei suoi confronti. Ma l’epopea napoleonica volgeva al crepuscolo; soltanto due anni dopo, Genova dovette vedersela con gli inglesi, che aveva combattuto suo malgrado, e che adesso attaccavano militarmente la città. Dopo una breve resistenza, i francesi capitolarono; e fu proprio il maire de Gênes Spinola a predisporre un ordinato passaggio di poteri nelle mani del generale inglese lord William Bentinck. L’anno successivo, Genova e i suoi domini venivano inglobati nel Regno di Sardegna. Inviso ai Savoia per i suoi precedenti, Spinola chiuse la sua carriera politica e diplomatica.
Morì a Genova nell’ottobre del 1829.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Genova, Archivio segreto, 170, 1745, 1957, 2266, 2709; Genova, Archivio Durazzo Giustiniani, Archivio Durazzo, 330; Archivio di Stato di Torino, Corte, Materie politiche, 9; Gazzetta di Genova, 28 dicembre 1805, 7 novembre 1829.
A.F. Trucco, Gli ultimi giorni della Repubblica di Genova e la comunità di Nove, Milano 1901, pp. 94, 103-107, 163; G. Colucci, La Repubblica di Genova e la Rivoluzione francese, III, Roma 1902, pp. 198-376; L.M. Levati, I dogi di Genova dal 1771 al 1797 e vita genovese negli stessi anni, Genova 1916, pp. 54, 73, 82, 326 s., 558, 589, 614, 630 s., 659; G. Serra, Memorie per la storia di Genova dagli ultimi anni del secolo XVIII alla fine dell’anno 1814, in Atti della Società ligure di storia patria, 1930, vol. 58, ad ind.; V. Vitale, Onofrio Scassi e la vita genovese del suo tempo (1768-1836), ibid., 1932, vol. 59, ad ind.; P. Nurra, La coalizione europea contro la Repubblica di Genova (1793-1796), ibid., 1933, vol. 62, ad ind.; G. Assereto, La Repubblica Ligure, Lotte politiche e problemi finanziari (1797-1799), Torino 1975, ad ind.; Id., La Liguria occidentale al tempo di Napoleone, in Bagliori d’Europa. Sanremo e Napoleone nel bicentenario dell’annessione all’Impero (1805-2005), a cura di L. Fucini, Ventimiglia 2005, pp. 20-36.